Il punto dalla Cop25 di Madrid con la riunione strategica Ituc (International trade union confederation)

Contro la crisi climatica in corso i sindacati propongono il controllo democratico dell’energia

A livello globale si stanno muovendo forze politiche con proposte per la ripubblicizzazione dell’energia, e aumentano le forze sindacali che aderiscono al movimento

[9 Dicembre 2019]

MADRID. Il sistema neoliberista, privatizzando le risorse naturali e i servizi pubblici – anche in relazione all’energia – ha avuto conseguenze drammatiche su lavoratori e comunità, privilegi di pochi e povertà, anche energetica, della maggioranza della popolazione, difesa dei profitti a scapito dei diritti umani, aumento delle tariffe e dei costi dei servizi.

La transizione non sta avvenendo, cresce la domanda di energia, crescono i combustibile fossili e le emissioni. Crescono anche le rinnovabili, ma non tanto quanto i consumi, che continuano a essere dominati (80%) da petrolio, carbone e gas. Con il calo del prezzo delle rinnovabili, calano anche i profitti e, di conseguenza, gli investimenti  (la Cina  detiene il 40% degli investimenti in solare).

A livello globale si stanno muovendo forze politiche con proposte per la ripubblicizzazione dell’energia (vedi il partito laburista Uk o il Green new deal di Bernie Sanders negli Usa) e aumentano le forze sindacali che aderiscono al movimento per la democrazia energetica.

È una crisi di capitale, una crisi di sistema, il sindacato deve guidare il movimento per riprendere lo spazio che gli Stati hanno ceduto alle imprese e fare pressione sui governi che, attuando politiche di austerità, hanno contratto fortemente gli investimenti pubblici e accelerato il dominio del capitale privato anche nelle infrastrutture energetiche e, in generale, nei servizi pubblici.

Allo stesso tempo, tuttavia, gli Stati continuano a pagare ingenti sussidi alle fonti fossili (in Italia circa 19 miliardi di euro nel 2017), e parallelamente sussidi alle fonti rinnovabili che, anche attraverso il prelievo in bolletta, consentono ai privati di costruire nuove infrastrutture e nuovi impianti in sostituzione del pubblico. Tali risorse potrebbero essere utilizzate dallo Stato per investimenti diretti in efficienza energetica, rinnovabili, sistemi di accumulo e reti intelligenti, per consentire una completa transizione energetica.

Nel dibattito dei sindacati, a livello globale, si propone di far diventare centrale la proprietà pubblica, o il controllo democratico dell’energia.

Il rispetto dei diritti umani è vincolante nell’azione climatica. La giustizia sociale e la giustizia climatica, le lotte femministe, dei popoli indigeni, per la libertà di movimento dei migranti, sono tutti aspetti della nostra battaglia contro il sistema neoliberista. L’azione sindacale deve tenere insieme diritti umani, rispetto dell’ambiente, accesso universale ai diritti essenziali (salute, abitare, acqua, energia, educazione, etc), diritti del lavoro e piena occupazione.

La giusta transizione necessita di condivisione delle scelte politiche, pieno coinvolgimento dei sindacati e delle comunità a tutti i livelli, solidi meccanismi di solidarietà, sistemi di protezione sociale per accompagnare la transizione. Il radicale cambiamento per la riconversione ecologia è una grande opportunità, se gestita, per la crescita inclusiva, lo sviluppo e l’occupazione.

In questo senso la contrattazione e la mobilitazione sono cruciali, così come le alleanze con i movimenti per i diritti umani, i FridaysForFuture, i movimenti femministi, le associazioni ambientaliste, i popoli indigeni. L’intersezionalità delle lotte è fondamentale per contrastare il sistema dominante ed il movimento per la giustizia climatica ha il carattere politico e di trasversalità per rappresentare l’elemento di unione.

Anche nella battaglia per la giustizia climatica, la storia e i valori devono essere una guida etica per il movimento sindacale, a partire dalla solidarietà. Per questo, nelle nostre rivendicazioni, la definizione degli impegni volontari nazionali di riduzione delle emissioni devono tenere conto delle responsabilità storiche dei vari Paesi, in termini sia di emissioni che di colonialismo, sfruttamento delle risorse e schiavismo, neocolonialismo nei Paesi del sud del mondo e impatto dei consumi da importazioni, rendendo così necessaria una drastica riduzione delle emissioni nei paesi più ricchi, che consenta a quelli più poveri di crescere e garantire l’accesso ai diritti universali, anche tenendo conto delle crescita della popolazione globale.

Per il movimento sindacale il Green deal evocato in vari Paesi deve essere più ambizioso, mirare alla fine del neoliberismo, includere la lotta per i beni comuni e il diritto a cibo, terra, acqua e energia per tutti, salari dignitosi e diritti del lavoro a livello globale.

di Simona Fabiani e Laura Mariani