Come è cambiata la resilienza climatica degli oceani e perché oggi cambia più rapidamente

Con un riscaldamento di 5° C, 56 milioni di anni fa c’erano “solo” il 2% di aree con anossia. Ma oggi è tutto più rapido a causa di fertilizzanti e inquinamento

[19 Gennaio 2021]

Lo studio “Upper limits on the extent of seafloor anoxia during the PETM from uranium isotopes”, pubblicato su Nature Communications da un team di ricercatori svizzeri dellETH Zürich e delle università britanniche di Exeter, Cardiff, Cambridge e Royal Holloway, ha utilizzato campioni geologici per stimare l’ossigeno degli oceani durante un periodo di riscaldamento globale di 56 milioni di anni fa, scoprendo così «Una “espansione limitata” dell’anossia del fondo marino (assenza di ossigeno)».

Il riscaldamento globale, sia passato che presente, esaurisce l’ossigeno dell’oceano, ma il nuovo studio suggerisce che «Il riscaldamento di 5° C nel Paleocene Eocene Thermal Maximum (PETM) ha portato a un’anossia che si estendeva su non più del 2% del fondale marino globale».

I ricercatori avvertono però che  «Tuttavia, le condizioni oggi sono diverse rispetto al PETM: il tasso di emissioni di carbonio di oggi è molto più veloce e stiamo aggiungendo inquinamento da nutrienti agli oceani, entrambe le cose potrebbero determinare una perdita di ossigeno più rapida ed espansiva».

Il principale autore dello studio, Matthew Clarkson del Dipartimento scienze della Terra dell’ETH Zürich, sottolinea che «La buona notizia dal nostro studio è che, nonostante il forte riscaldamento globale. 56 milioni di anni fa il sistema terrestre è stato resiliente alla deossigenazione del fondo marino. Tuttavia, ci sono ragioni per cui le cose oggi sono diverse. In particolare, pensiamo che il Paleocene avesse l’ossigeno atmosferico più elevato di oggi, il che avrebbe reso meno probabile l’anossia. Inoltre, l’attività umana sta immettendo più nutrienti nell’oceano attraverso i fertilizzanti e l’inquinamento, che possono causare la perdita di ossigeno e accelerare il deterioramento ambientale».

Per stimare i livelli di ossigeno dell’oceano durante il PETM, i ricercatori svizzeri e britannici hanno analizzato la composizione isotopica dell’uranio nei sedimenti oceanici, che tiene traccia delle concentrazioni di ossigeno e dicono che «Sorprendentemente, questi sono cambiati a malapena durante il PETM. Questo stabilisce un limite massimo di quanto i livelli di ossigeno nell’oceano potrebbero essere cambiati».

Le simulazioni al computer basate sui risultati suggeriscono un aumento massimo di 10 volte dell’area del fondale marino priva di ossigeno, portando il totale a non più del 2% del fondale marino globale. Si tratta di un  dato comunque significativo – circa 10 volte l’area colpia da anossia in epoca moderna – e ci sono stati chiaramente impatti dannosi ed estinzioni della vita marina in alcune parti dell’oceano.

Un altro autore dello studio, Timothy Lenton, direttore del Global Systems Institute di Exeter, fa notare che «Questo studio dimostra come la resilienza del sistema climatico della Terra sia cambiata nel tempo. L’ordine dei mammiferi a cui apparteniamo – i primati – ha avuto origine nel PETM. Sfortunatamente, poiché noi primati ci siamo evoluti negli ultimi 56 milioni di anni, sembra che gli oceani stiano diventando meno resilienti. Sebbene in passato gli oceani fossero più resilienti  di quanto pensassimo, nulla dovrebbe distrarci dall’urgente necessità di ridurre le emissioni e di affrontare la crisi climatica oggi».