Clima, la lezione ‘dirigista’ e infelice del Covid-19: con la pandemia emissioni in linea con Parigi
Il lockdown ha dimostrato che è possibile rispettare gli obiettivi climatici richiesti, ma anche il prezzo pagato per farlo, con questa modalità, non è sostenibile
[2 Luglio 2020]
La notizia è che, volendo, rispettare l’accordo di Parigi sul clima del 2015 si può. Il rovescio della medaglia è però che c’è voluta una pandemia, che se non ci ha ucciso, ci ha impoverito drammaticamente. La riflessione non è nostra, ma di Sandro Fuzzi dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr, commentando i risultati, pubblicati sulla rivista Nature, di due gruppi di ricerca che si son concentrati sui dati delle emissioni di carbonio durante il lockdown e li hanno confrontati con i dati relativi alle emissioni dello stesso periodo del 2019.
Tanti anni fa, noi di greenreport, un po’ provocatoriamente, strizzavamo l’occhio al “dirigismo” per alzare il livello del conflitto politico propedeutico a trovare una soluzione ai guai ambientali che l’uomo stava da tempo perpetrando ai danni del Pianeta. La tesi era che di fronte a un mondo dove un click spostava miliardi di dollari e il mercato, segnatamente quello finanziario, faceva il bello e cattivo tempo massacrando le materie prime e caldeggiando i consumi a tutti i costi, forse solo un governo planetario avrebbe potuto rispondere nei tempi (nanosecondi) richiesti. E laddove non sono bastate le crisi economiche, che anzi nella logica della shock economy sono servite per allargare ancora di più la forbice tra ricchi e poveri, è arrivo l’inaspettato. Il Covid-19, la pandemia, e il blocco. Il blocco totale, il lockdown.
Così, spiega il Cnr, la risposta internazionale alla pandemia di coronavirus ha abbassato le emissioni di CO2 dell’8,3% nei primi quattro mesi del 2020 a livello globale (un dato confermato anche da Bankitalia), rispetto agli stessi mesi del 2019. Si tratta di una percentuale significativa – osserva Fuzzi – Ma per comprendere correttamente i dati bisogna tenere conto di “un doppio fattore”, perché a influire son state sia le restrizioni applicate dai governi, sia la quantità di emissioni prodotte in condizioni ordinarie. “La Cina ha registrato un grosso calo di emissioni perché è il principale responsabile delle emissioni a livello globale”. Infatti, attualmente circa il 25% del totale delle emissioni di CO2 in atmosfera è prodotto dalla Cina. Il Paese ha anche osservato restrizioni ferree durante il lockdown, e i cali di emissioni sono stati registrati principalmente nel settore dei trasporti e nell’industria. Seguono gli Stati Uniti, altro paese fortemente colpito dall’epidemia, in cui però, le restrizioni sono state attuate in modi e tempi differenti da stato a stato. A differenza della Cina, il calo maggiore si concentra da marzo nel settore dei trasporti. Lo stesso trend si è registrato anche in Europa, con le emissioni causate dai trasporti in picchiata, mentre per quanto riguarda l’energia e l’industria, l’andamento è stato in ribasso, ma comunque simile a quello del 2019.
In Italia con il lockdown non solo sono (temporaneamente) diminuite le concentrazioni di inquinamento atmosferico, ma si profila ormai un calo sensibile (ma solo temporaneo, anche in questo caso) per quanto riguarda le emissioni di gas serra. Nel dossier “Gli effetti del lockdown sulle emissioni di CO2 in Italia”, una prima analisi congiunturale si stima infatti che nel mese di marzo in Italia ci sia stato un calo delle emissioni di CO2 da combustibili fossili di circa 17% rispetto allo stesso mese del 2019, pari a circa 5,7 milioni di tonnellate di CO2 in meno; nelle prime settimane di aprile si arriva invece a una riduzione delle emissioni del 23% per l’energia elettrica, del 26% per il gas e del 50% per i prodotti petroliferi.
Il lockdown ha dimostrato, quindi, che è possibile rispettare gli obiettivi richiesti, ma anche che “il prezzo pagato per farlo, con questa modalità, non è sostenibile dal punto di vista economico”. Non può essere questa la soluzione, sottolinea Fuzzi. è necessario intervenire sui paradigmi, cambiarli, ma senza penalizzare l’economia. Il cambiamento deve partire dalle fonti di approvvigionamento dell’energia. Fuzzi però evidenzia anche che è molto importante che non venga allentata la stretta sugli obblighi presi in sede dell’accordo di Parigi per far fronte alla crisi economica dovuta a Covid-19, perché “sarebbe il più grosso errore che l’umanità potrebbe fare”.
Ed eccoci quindi la quintessenza della sostenibilità ambientale: le soluzioni ci sono, ma hanno un prezzo. Per non farlo pagare solo ad alcuni, serve un governo che faccia della sostenibilità ambientale e sociale il perno sul quale costruire la sua azione.