Chi sono gli asintomatici della crisi climatica?

Perché dare attenzione e un nome a chi per primo necessita di aiuto, cioè a coloro che oggi faticano a realizzare che la nostra specie ha un grosso problema

[26 Novembre 2021]

Chi sono per Simona Re – curatrice del nuovo libro Comunicare ambiente e salute (ETS 2021) – gli asintomatici della crisi climatica?

«Gli asintomatici della crisi climatica sono la naturale risposta della specie umana a un problema molto più grande di quelli a cui siamo abituati a pensare. Come suggerisce lo psicologo Peter Sandman, la generale apatia che osserviamo in tante persone di fronte a questa emergenza globale potrebbe nascondere in realtà un grande sentimento di preoccupazione. Da qui nasce la mia definizione di “asintomatici della crisi climatica”. Noi tutti lo siamo in modo e misura diversi. Sono persone diversamente preoccupate che non necessariamente negano l’importanza e l’urgenza della crisi, bensì che si comportano come se la crisi climatica non esistesse, attraverso un rifiuto psicologico istintivo di livelli inimmaginabili di ansia e tristezza per gli impatti dei cambiamenti climatici, senso di colpa per le emissioni prodotte dal sistema economico che noi stessi alimentiamo con i nostri consumi, indignazione e frustrazione per le mancate azioni.

Comunicare bene il rischio climatico è fondamentale per innescare la cooperazione necessaria per la risoluzione di questa crisi, e per questo motivo penso che volgere la nostra attenzione e dare un nome a chi per primo necessita di aiuto, cioè a coloro che oggi faticano a realizzare che la nostra specie ha un grosso problema, sia il primo passo da affrontare per favorire un dialogo urgente e necessario su soluzioni efficaci e condivise».

La comunicazione del rischio tra gli esperti e le persone include diverse strategie per motivare la risposta alle minacce alla nostra salute o al nostro benessere. Tra queste c’è la precaution advocacy, di cui parli anche nel libro. Cos’è e perché è importante?

«La precaution advocacy entra in gioco quando una comunità di persone fatica a percepire un serio pericolo, e serve a motivarle ad adottare o chiedere più precauzioni per proteggersi. Il segreto sta nel destare preoccupazione evitando di scatenare troppa paura e rabbia, i cui eccessi possono essere controproducenti e compromettere la risposta. Per l’emergenza climatica l’obiettivo è far sì che le persone possano comprendere e “sentire” il rischio climatico, parlando di rischi presenti e locali, facendo leva su valori condivisi e norme dei gruppi sociali, e accompagnando gli “appelli alla paura” con messaggi di efficacia dell’adozione delle precauzioni.

Fondamentale a mio parere è che questa precaution advocacy viaggi in tandem con la comunicazione di una “risposta co-benefica” alla crisi, per guidare e supportare le persone nel proteggersi e nel mitigare la minaccia climatica, puntando ai molti e importanti co-benefici delle soluzioni. Detto questo, il punto oggi è che non può esistere comunicazione del rischio climatico fino a quando non comprenderemo che l’emergenza climatica è una minaccia non tanto per il pianeta che ci ospita, ma piuttosto per la salute e il benessere della specie umana».

Gli scienziati, negli anni, non sono stati in grado di comunicare adeguatamente l’urgenza della crisi climatica. Quanto contano le emozioni nell’inevitabile processo di semplificazione dei messaggi scientifici?

«Penso che gli scienziati finora abbiano fatto il loro mestiere. Ma i tempi sono cambiati, e difficilmente oggi un ricercatore può ignorare l’impatto sociale, etico, ambientale, politico ed economico del suo lavoro e l’importanza di comunicarlo agli altri. Lo stesso vale per tutti gli altri attori del rischio climatico come politici, media, attivisti e cittadini.

Nel giro di un paio di secoli la popolazione umana è passata da un miliardo a oltre sette miliardi di persone. La convivenza è possibile ma più complessa, abbiamo nuovi problemi, e questo richiede un impegno extra in termini di dialogo e di responsabilità per mantenere un equilibrio. Di fronte alle attuali crisi ambientali, sanitarie e sociali serve che tutti gli attori, a partire proprio dagli scienziati, si impegnino sempre più per comunicare meglio. Sia nell’ascoltare e comprendere il prossimo, sia nel tradurre i propri messaggi.

In questo le emozioni giocano un ruolo fondamentale, perché sono un linguaggio che tutti conosciamo e possono aiutarci a capirci meglio tra noi. Come vale anche per la semplificazione dei messaggi, ignorare le emozioni, così come abusarne, sarebbe come darci una zappa sui piedi».

Il libro Comunicare ambiente e salute è il primo della collana PiGreco dedicata a Pietro Greco e si occupa, per questo, anche del tema della cittadinanza scientifica. Vuoi portare un tuo ricordo di Pietro Greco al riguardo?

«Comunicare ambiente e salute è un compito necessario, difficile, e possibile. Questo è quello che il nostro libro cerca di raccontare. I comunicatori del rischio sono scienziati, istituzioni, giornalisti e attivisti, cioè persone che parlano a tante persone e che detengono l’informazione per rispondere alle emergenze sanitarie e ambientali. Una posizione delicata e non facile, che richiede una crescente collaborazione con psicologi, sociologi, antropologi, scienziati ed esperti di comunicazione del rischio per creare insieme nuovi linguaggi sempre più efficaci.

Ricordo sempre Pietro Greco con grande affetto e stima, e cito le sue parole: “[…] attenzione massima alle parole che usiamo, quando parliamo. Ma tenendo conto sia del rigore che della comunicabilità. Perché solo il giusto equilibrio tra queste due dimensioni può rendere la comunicazione davvero efficace. E, dopo tutto, questo è ciò che noi vogliamo: che la comunicazione sui cambiamenti del clima e sulla crisi per la società degli umani che essi indicano sia la più efficace possibile”.

È nelle mani dei comunicatori che risiede il prezioso potere di favorire la cooperazione per la prevenzione e la gestione delle emergenze sanitarie e ambientali, nutrendo i diritti di cittadinanza scientifica di tutte le persone, di accedere e contribuire alla conoscenza, e di partecipare alle decisioni. Qualcosa che ha molto a che fare con la sincera volontà di comunicare e con la responsabilità e l’onestà di tanti dialoghi tra noi tutti».