Tanti gli interventi sul tema al Festival di Trento

Carbon tax: sì, no, forse. Ma soprattutto non c’è più tempo

Il monito dell'economista Krussel: "Il sistema mondiale non sta funzionando perché oggi chi inquina non paga"

[28 Settembre 2020]

Cara vecchia carbon Tax, dopo cento anni sei ancora un faro, ma ancora in pochi ti vogliono e il dibattito è sempre aperto tra gli esperti… è questa la sintesi della speciosa situazione in cui ci troviamo di fronte a questa “tassa” ambientale che da anni viene detto sarebbe uno dei contributi più decisivi per favorire la decarbonizzazione dell’economia e dunque, oggi più che mai, il “cannone” per colpire il cambiamento climatico.

A ricordarcelo stavolta è Per Krusell, professore di economia all’Università di Stoccolma intervenuto al Festival di Trento che sostiene: “Dal punto di vista dell’economia classica il cambiamento climatico è semplicissimo: il riscaldamento è un effetto indesiderato di un’attività economica. Nel momento in cui svolgiamo un’attività economica, produciamo riscaldamento. Si tratta di un’esternalità negativa che si ripercuote sull’intero pianeta”.

Come far pagare, allora, questa esternalità? Krusell cita Pigou, che nel 1920 propose di introdurre una tassa che ripagasse il danno ambientale prodotto dall’attività economica. Le idee dell’economista non sono state però seguite.

“Il sistema mondiale non sta funzionando perché oggi chi inquina non paga – ha spiegato Krusell – È fondamentale introdurla, questa tassa, e deve essere pagata in modo uguale a Trento, Pechino o Stoccolma, visto che la produzione di anidride carbonica ha gli stessi effetti in ogni parte del mondo”. Gli economisti hanno continuato a ripetere questo messaggio “come dei pappagalli”, ma senza produrre alcun effetto”.

Krussell forse dimentica di dire che non tutti gli economisti hanno dato questa interpretazione della carbon tax, ma ha comunque ragione quando sostiene che è “Forse la parola tassa che non piace”  e che “forse sarebbe meglio introdurre una legge. Inoltre in molti non si rendono conto che la tassa potrebbe essere davvero una soluzione al problema”.

Assieme a due colleghi dell’Università di Stoccolma Krusell ha messo a confronto l’imposta pigouviana con altri possibili tipi di intervento. “Abbiamo notato come tutte le alternative siano peggiori della tassa di Pigou. La tassa, inoltre, quando viene applicata ha aliquote o troppo alte o troppo basse. Si utilizzano poi aliquote diverse a seconda dei paesi del mondo, privilegiando i paesi in via di sviluppo, ma una tassa non uniforme è una pessima idea. Oppure, un’altra cosa che abbiamo notato nel nostro studio è che invece di tassare il carbonio si finanziano iniziative green: questo non aiuta il clima, ma fa aumentare l’uso di energia, perché l’energia verde ci aiuta a utilizzare di più anche l’energia fossile, che nel frattempo viene a costare meno. Quindi, in definitiva, l’energia verde non ci libera dal carbone”.

Il pensiero di Per Krusell è insomma molto chiaro. “Tassare le emissioni di anidride carbonica, attraverso una carbon tax, è una misura precauzionale molto utile per scoraggiarne la produzione. I risultati della mancata applicazione della tassa sono molto elevati, e nessuna delle alternative proposte è migliore”. “Per migliorare la situazione in cui ci troviamo – conclude l’economista – bisogna lavorare a livello di economia mondiale e a livello di proposte, conducendo un’analisi costi-benefici e applicandola ai cambiamenti climatici. Dunque, dopo aver fatto la mia ricerca, sono sempre più convinto che bisogna andare avanti con la Carbon tax, convincendo i politici di tutto il mondo, Cina in primis, a risolvere il problema del cambiamento climatico”.

Un posizione condivisa solo in parte da Gernot Wagner, economista classe 1980 che insegna alla New York University, anche lui intervenuto al festival dove prima ha spiegato che “Secondo i calcoli, il costo è di circa 50 dollari per tonnellata di anidride carbonica emessa, ma in realtà il numero è molto maggiore se pensiamo che l’innalzamento della temperatura può avere un rapporto non solo quadratico, ma  anche con una variabile maggiore. Il costo sociale dell’anidride carbonica, cioè quelli che sono i costi che ogni tonnellata di Co2 causa nel corso della sua vita, non è ancora chiaro”. E poi che  “Una Carbon tax non basta a risolvere tutti i problemi. Non possiamo pensare che basti pagare una tassa per ogni emissione, perché questo non porta a raggiungere il risultato a cui auspichiamo”.

Intervendo sul tema, Rick van der Ploeg, docente a Oxford con interessi di ricerca su macroeconomia e finanza pubblica, sostiene che ciò che servirebbe è “un tetto al consumo dei combustibili fossili che ponga un freno al riscaldamento globale”, inoltre  “porre fine allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, usare tecnologie pulite, non penalizzare i Paesi poveri che sono costretti all’uso dell’energia per crescere, investire per combattere il cambiamento climatico”. Ma soprattutto: “Il tempo sta per scadere: abbiamo solo trent’anni a disposizione per impedire l’innalzamento della temperatura terrestre di due gradi, con le disastrose conseguenze che comporta, ha spiegato van der Ploeg: servono investimenti economici, ma anche un cambiamento sociale”.