Canada, un giornale ecoscettico dovrà risarcire lo scienziato climatico diffamato

Multa da 50.000 dollari al sito del National Post e deve rimuovere tutti i commenti offensivi

[11 Febbraio 2015]

Al National Post è costata cara la campagna lanciata contro Andrew Weaver, un importante climatologo canadese. Weaver, che è anche leader del Green Party of British Columbia, che ha vinto la causa intentata contro il giornale conservatore ecoscettico, che è stato condannato per diffamazione, e si è visto riconoscere un risarcimento da 50.000 dollari. Secondo la British Columbia Supreme Court Justice  il Post ha  pubblicato diversi articoli inesatti e diffamatori contro Weaver, cercando di diminuirne la sua credibilità come scienziato, dipingendolo falsamente come incompetente.

Gli imputati, tra i quali l’editore del Post Gordon Fisher ed i giornalisti Terence Corcoran, Peter Foster e Kevin Libin, hanno 30 giorni di tempo per presentare ricorso alla  Corte d’Appello della British Columbia. La campagna del National post  contro Weaver, un ex membro dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), lo presentava come «inaffidabile, non scientifico e incompetente» e lo accusava: «Distorce e nasconde i dati scientifici per promuovere una agenda pubblica e ricevere finanziamenti pubblici».

La condanna del Post non riguarda la precisione della scienza del clima in sé, concentrandosi invece sulle accuse che  il post Post ed i  suoi editorialisti hanno ripetutamente fatto a Weaver, come quella di cercare di distrarre l’opinione pubblica da un presunto scandalo poi rivelatosi privo di fondamento)  che si basava su uno scambio di e-mail  tra gli scienziati climatici; oppure che Weaver era un dipendente del governo; che voleva far dimettere il capo dell’IPCC ; e che ha usato  dati pur sapendo che erano “pura spazzatura”.

La suprema Corte della British Columbia, presieduta dal giudice  Emily Burke, ha indagato ed ha scoperto che le accuse del National Post «Erano o false o fuorvianti» e, pur riconoscendo il diritto diffondere messaggi scettici  verso la scienza climatica, ha detto che gli articoli non sono stati onesti nel loro eco-scetticismo. Nella sentenza la Burke scrive che gli imputati «hanno definitivamente sposato una visione scettica del cambiamento climatico e sono risoluti nell’esprimerla. Mentre hanno certamente il diritto di esprimerla, in questo caso, come parte di questa espressione, hanno deliberatamente creato un’impressione negativa del dottor Weaver.  In tal modo, si conclude che gli imputati sono stati negligenti  o indifferenti alla veridicità dei fatti».

Si tratta di una sentenza importante perché mostra la natura di questi tipi di cause legali. Quando uno scienziato climatico denuncia la pubblicazione di notizie diffamatorie, di solito la cosa non riguarda la scienza, ma il fatto che quanto viene pubblicato o affermato diffama gli scienziati.

Anche la querela di Michael Mann contro l’iper-conservatrice National Review  non riguarda le critiche al suo grafico del “bastone da hockey” che è la bestia nera dei climate-skeptical, ma il fatto che il sito di news eco-scettiche, per criticare il suo grafico,  lo abbia paragonato ad un molestatore di bambini pregiudicato.

A quanto pare è un vizietto della stampa neoconservatrice, visto che anche il National Post pur di screditare  Weaver come scienziato lo ha presentato come un uomo intrinsecamente disonesto.

Queste spregiudicate campagne anti-ambientaliste non sono prive di conseguenze: nella sua denuncia Weaver ha indicato la sezione commenti del sito del Post come dimostrazione della vera e propria persecuzione mediatica alla quale è stato sottoposto e il giudice Burke ha concordato con lui: «La gente sosteneva che era un frodatore;  un bugiardo; molte persone lo hanno attaccato per telefono,  durante le sue presentazioni. Non sapeva cosa fare per difendersi. Tutto questo si è basato su fatti totalmente inventati».

Come prove il giudice Burke ha anche portato  alcuni dei commenti, perle come «Il Dr. Weaver è grande un ipocrita ed è anche è un truffatore. Lui è alla testa ed al centro delle bugie e dell’inganno del  “global warming” e dovrebbe rimborsare i fondi per la sua ricerca e di perdere il suo mandato ed i suoi gradi. Alcuni secoli di carcere gli darebbero il tempo di riflettere sulla sua parte nella più grande frode della storia dell’umanità.  O forse dovrebbe accontentarsi di una condanna a 100 anni come esempio verso  i suoi compagni  truffatori?»

Accuse che chiunque faccia una qualche attività collegata alla difesa dell’ambiente è ormai abituato a sopportare, soprattutto se viene preso di mira sui blog anonimi o sulle pagine di Facebook, dove il complottisti indignati pascolano numerosi, ma Weaver ha ricevuto così tanti insulti ed accuse che fuori del suo ufficio ha creato un “Wall of Hate”, un muro dell’odio, dove dal 2010 attacca tutti gli insulti e gli articoli di giornale pubblicati contro di lui. Sul quel “Wall of Hate” non ci sono però i commenti dei lettori del Post, perché ad un certo punto Weaver  ha smesso di leggerli: stavano diventando troppo pesanti ed inquietanti.  Al contrario, la teoria degli avvocati del Post era che quei minacciosi commenti  non riguardassero la persona del dottor Weaver ma il suo ruolo come scienziato climatico (sic!) e che comunque le opinioni espresse negli articoli ed i commenti sono protette dalla “fair comment defence”.

Ma la sentenza canadese va in direzione contraria e potrebbe rappresentare un precedente anche per altri Paesi, infatti il caso Weaver è stato il primo in Canada ad affrontare la questione se una pubblicazione on-line possa essere ritenuta responsabile di come i lettori reagiscono nella sezione commenti a quanto viene pubblicato dal giornale. Alla fine il National Post non solo ha dovuto pagare una multa salata, ma ha anche dovuto rimuovere  i commenti minacciosi ed offensivi dal suo sito e ritirare il permesso dato ad altri giornali neoconservatori di pubblicare gli articoli contro Weaver.

Tempi duri (almeno in Canada) per i giornali che danno spazio ai diffamatori on-line.