Cambiamento climatico: la Corte internazionale di giustizia si esprimerà sugli obblighi degli Stati

Una vittoria nata da un’iniziativa degli studenti delle Fiji portata avanti da Vanuatu

[30 Marzo 2023]

L’Assemblea generale dell’Onu ha adottato all’unanimità una risoluzione che chiede alla Corte internazionale di giustizia (ICJ), la più alta corte giudiziaria delle Nazioni Unite, un parere consultivo che cerchi di stabilire le basi legali per la giustizia climatica e quali siano gli obblighi degli Stati rispetto al cambiamento climatico. La richiesta – co-sponsorizzata da oltre 120 paesi –  è stata avanzata da Vanuatu, un piccolo e poverissimo Stato insulare del Pacifico  che recentemente e stato devastato da due cicloni di categoria 4 consecutivi in una settimana.

La risoluzione chiede il parere della ICJ  in merito «Alle conseguenze legali che gli Stati devono affrontare per i loro “atti e omissioni che hanno causato danni significativi al sistema climatico e ad altri elementi dell’ambiente», danneggiando in particolare i piccoli Stati insulari in via di sviluppo, che «A causa delle loro circostanze geografiche e del loro livello di sviluppo, sono particolarmente colpite o sono più vulnerabili agli effetti negativi del cambiamento climatico».

Inoltre, il documento chiede all’ICJ «Quali sono gli obblighi che gli Stati hanno ai sensi del diritto internazionale per garantire la protezione del sistema climatico e di altri elementi dell’ambiente contro le emissioni antropogeniche di gas serra a favore degli Stati e delle generazioni presenti e future».

Il ministro per i cambiamenti climatici di Vanuatu, Ralph Regenvanu, ha sottolineato che «Vanuatu non sta cercando di mettere in atto nuove restrizioni, ma di chiarire gli obblighi esistenti per prevenire danni all’ambiente, come previsto nell’United Nations Convention on the Law of the Sea e nella Dichiarazione universale dei diritti umani».

Si tratta di una risoluzione “prudente” che evita di incolpare i Paesi che hanno maggiormente contribuito al riscaldamento dei gas che stanno aumentando le temperature. Ralph Regenvanu ha evidenziato: «Vorrei essere molto chiaro sul fatto che i procedimenti consultivi dell’ICJ che chiediamo in questa risoluzione non sono contenziosi e la nostra domanda non è diretta a nessuno Stato, non intende incolpare, svergognare o altrimenti chiedere un giudizio».

L’iniziativa di Vanuatu  è arrivata dopo che nel suo ultimo report l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha avvertito che è ancora possibile limitare l’aumento delle temperature entro 1,5° C entro la fine del secolo rispetto ai livelli preindustriali, ma che c’è sempre meno tempo per farlo e che il cambiamento climatico causato dall’uomo sta già influenzando molti eventi meteorologici e climatici estremi in tutto il mondo.

Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, è intervenuto in plenaria all’Assemblea generale per ricordare che «La finestra per evitare i peggiori impatti della crisi climatica si sta rapidamente chiudendo. Coloro che hanno contribuito di meno alla crisi climatica stanno già affrontando condizioni meteorologiche infernali e acqua alta. Per alcuni Paesi le minacce climatiche sono una condanna a morte. E’ stata proprio l’iniziativa di quei Paesi a portare al voto sulla risoluzione. Le opinioni dell’ICJ, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, hanno un’enorme importanza e possono avere un impatto sull’ordine legale internazionale. Una tale opinione aiuterebbe le Nazioni Unite e gli Stati membri a intraprendere l’azione climatica più audace e forte di cui il mondo ha “disperatamente” bisogno. Potrebbe anche indirizzare le relazioni tra gli stati e tra gli Stati e i loro cittadini. La giustizia climatica è un imperativo morale e un requisito per l’azione per il clima. La crisi climatica può essere superata solo attraverso la cooperazione tra popoli, culture, nazioni, generazioni. Ma la crescente ingiustizia climatica alimenta le divisioni e minaccia di paralizzare l’azione globale per il clima. Per coloro che stanno già pagando il prezzo del riscaldamento globale senza causarlo, la giustizia climatica è sia un riconoscimento vitale che uno strumento: un riconoscimento che tutte le persone sul nostro pianeta hanno lo stesso valore e uno strumento per costruire la resilienza di fronte ai crescenti impatti climatici. Il mondo non è mai stato meglio attrezzato di adesso per risolvere la crisi climatica. Facciamo il lavoro insieme. Niente è più potente di un’idea per la quale è arrivato il tempo di attuarla. Ora è il momento dell’azione per il clima e della giustizia climatica».

L’Alto commissario Onu per i diritti umani, Volker Türk, ha definito quella presa dall’Assemblea generale dell’Onu «Una storica risoluzione che risponde alle suppliche dei Piccoli Stati insulari la cui stessa esistenza è in pericolo. Il parere consultivo avrà un enorme potenziale per focalizzare più chiaramente tali obblighi, anche nei confronti delle persone in situazioni vulnerabili, e sulla cooperazione internazionale, nonché per fornire orientamenti per future politiche e contenziosi. Questo potrebbe essere un importante catalizzatore per l’azione climatica urgente, ambiziosa ed equa necessaria per fermare il riscaldamento globale e limitare e porre rimedio ai danni ai diritti umani indotti dal clima».

Türk ha sottolineato «L’impegno della società civile e in particolare dei giovani del Sud Pacifico nella campagna di Vanuatu culminata con l’approvazione della risoluzione. L’organismo da me diretto ha ampiamente documentato gli impatti del cambiamento climatico sui diritti umani e ha stabilito gli obblighi in materia di diritti umani degli Stati e di altri attori. Gli Stati hanno l’obbligo di mitigare, adattarsi e affrontare le perdite e i danni derivanti dal cambiamento climatico. Non vediamo l’ora di condividere questa esperienza in questo processo molto importante davanti alla Corte internazionale di giustizia. In definitiva, si tratta del patrimonio comune dell’umanità, per le generazioni presenti e future».

Infatti, il voto all’Onu è arrivato 4 anni dopo che il gruppo dei Pacific Island Students Fighting Climate Change  dell’University of the South Pacific delle Fiji hanno proposto per la prima volta l’idea di chiedere alla Corte internazionale di giustizia di decidere sugli obblighi di un Paese per combattere l’aumento delle temperature. Cynthia Houniuhi, presidente dei Pacific Island Students Fighting Climate Change, ha commentato  « Qui diventiamo reali. Come ha potuto un piccolo gruppo di studenti del Pacifico convincere la maggioranza dei membri delle Nazioni Unite a sostenere questa iniziativa?»

Gli avvocati che hanno preparato la risoluzione approvata all’Onu e che sostengono il caso ritengono che «Questo procedimento sia necessario poiché in questo momento, in base all’Accordo sul clima di Parigi, c’è confusione sulle responsabilità relative alle cause del cambiamento climatico».

Jorge Viñuales, professore di diritto e politica ambientale all’università di Cambridge, che ha redatto il quesito legale da sottoporre alla ICJ. Ha detto a BBC News: «Se chiedi, in buona fede, a 10 avvocati ambientali internazionali se ciò che sta accadendo con le emissioni in molti stati è illegale ai sensi dell’Accordo di Parigi, otterrai un’onesta divisione. Secondo il diritto internazionale, questo non ha senso. Quindi, invece di guardare all’Accordo di Parigi, rimpicciolisci e guardi l’intero diritto internazionale. Non è possibile che distruggere il pianeta sia legale».

Sebbene una decisione dell’ICJ non sia vincolante, probabilmente avrebbe un effetto galvanizzante per l’azione climatica in tutto il mondo: i governi potrebbero essere costretti a smetterla con il greenwashing e a capire che non ridurre i gas serra viola il diritto internazionale e in tutto il mondo i tribunali potrebbero trarre vantaggio dalla decisione, mentre potrebbe indirizzare e dare sostanza giuridica ai negoziati Unfccc sui cambiamenti climatici e influire sulle decisioni di investimento a lungo termine delle compagnie dei combustibili fossili.

Viñuales  concorda: «Penso che darà forma al discorso; potrebbe essere un punto di svolta per nuove politiche e per inasprire le politiche esistenti. Potrebbe autorizzare e incoraggiare la società civile a fare di più e potrebbe creare una nuova narrativa politica che può essere utilizzata, ad esempio, durante le elezioni».