Altro che neve artificiale, per l’Appennino (e le Alpi) serve una politica per la riconversione

Wwf: «Per l’innevamento di base di una pista di 1 ettaro occorrono 1.000 metri cubi d’acqua»

[12 Gennaio 2023]

La mancanza di neve sull’Appennino, conseguenza della crisi climatica in corso, sta causando danni diretti al turismo stimati in 50 mln di euro, arrivando a 150 mln contando i danni indiretti. È questa la stima emersa dal tavolo di confronto sul tema varato dal ministero del Turismo insieme alle Regioni direttamente coinvolte. Che fare?

Dal vertice istituzionale non sono arrivate risposte strutturali, ma principalmente ipotesi per tamponare l’emergenza. Si profila un ennesimo piano straordinario di aiuti, che possa attingere da una parte alle somme non spese dalle Regioni inserite nel decreto 41 che prevede aiuti alle imprese del turismo montano che hanno riportato danni economici a causa del blocco per Covid-19 (circa 3,3 mln di euro), e dall’altra dalle risorse Imu riscosse dallo Stato in virtù del decreto varato dal governo Monti: una misura che prevede di destinare il 50% del gettito Imu nei Comuni con una particolare quantità di seconde case ad un fondo ministeriale per poi direzionarlo su altri Comuni disagiati.

Ancora buio pesto invece su quale futuro dare all’Appennino e alle Alpi che non sia legato agli impianti di risalita, con l’industria dello sci che è stata anzi abbondantemente sussidiata in questi anni nonostante fosse chiara la tendenza dettata dal riscaldamento globale.

Già nel 2007 l’Ocse tracciava i confini di questo rischio, così come anche il Wwf col suo report Alpi e turismo. Proprio gli ambientalisti del Panda tornano oggi a ribadire l’assurdità di puntare sulla neve artificiale, quando l’ultimo anno si è chiuso con un deficit idrico pari a circa 50 miliardi di metri cubi d’acqua e con la siccità che è ancora presente in tutto il nord Italia e oltre.  Se è dunque evidente l’urgenza di ammortizzatori sociali nell’immediato, è impensabile continuare a sussidiare un turismo destinato al declino.

«Occorre invece riconvertire il settore, ampliando l’offerta alternativa e non investendo più nei settori destinati a un drastico ridimensionamento, come quello sciistico. Se pure ci sono state occasionalmente copiose nevicate, la tendenza è ben chiara», osservano dal Wwf documentando i costi – ambientali ed economici – dell’innevamento artificiale.

«Per l’innevamento di base (circa 30 cm di neve, spesso anche di più) di una pista di 1 ettaro, occorrono almeno un milione di litri, cioè 1.000 metri cubi d’acqua, mentre gli innevamenti successivi richiedono, a seconda della situazione, un consumo d’acqua nettamente superiore, il che corrisponde approssimativamente al consumo annuo d’acqua di una città di 1,5 milioni di abitanti. L’acqua viene attinta da torrenti, fiumi, sorgenti o dalla rete dell’acqua potabile, in un periodo di estrema scarsità», spiegano dal Wwf.

È bene poi ricordare l’altissimo consumo d’energia: «Per assicurare piste innevate su tutte le Alpi si è calcolato che occorrerebbero 600 GWh di energia elettrica. Peraltro anche l’utilizzo di questi cannoni sparaneve risulta anche inutile perché le alte temperature spesso fanno sciogliere rapidamente la neve “sparata”. In un dossier su Alpi e turismo del 2007, il Wwf suggeriva, tra l’altro, di escludere la realizzazione di nuovi impianti sciistici con prevalente sviluppo al di sotto dei 1.500 metri e, per le altitudini superiori, una moratoria dei nuovi impianti di almeno 5 anni, per valutare adeguatamente gli effetti delle forti criticità ambientali collegate ai cambiamenti climatici. È bene ricordare che negli ultimi 15 anni, invece, i nuovi impianti realizzati lo sono stati spesso (per non dire sempre) grazie ad investimenti pubblici», concludono dal Panda.