Alpi Giulie, i ghiacciai del Canin si sono ridotti del 96% nell’ultimo secolo

«Le grandi quantità di neve di questi ultimi anni compensano solo in minima parte gli effetti dei cambiamenti climatici»

[31 Agosto 2021]

I piccoli ghiacciai del Canin in Friuli Venezia Giulia, che insieme al ghiacciaio del Montasio rappresentano i corpi glaciali a più bassa quota del sistema alpino, negli ultimi anni si sono mostrati particolarmente resilienti all’avanzare della crisi climatica, che comunque sta lasciando un segno indelebile.

Come mostra il monitoraggio effettuato nella terza tappa della Carovana dei ghiacciai di Legambiente – condotta con il supporto del Comitato glaciologico italiano (Cgi) –, i ghiacciai del Canin hanno perso complessivamente in un secolo circa l’84% dell’area che ricoprivano ed il 96% del loro volume.

«I dati conoscitivi complessivi sulla deglaciazione delle Alpi Giulie – spiegano dal Cigno verde – raccontano di come la superficie glacializzata sia passata dai 2.37 km2 di fine Piccola età glaciale (Peg), terminata intorno al 1850,  ai 0.38 km2 attuali. Le stime della riduzione volumetrica indicano un passaggio delle masse glaciali dai 0.07 km3 circa della Peg ai circa 0.002 km3 di oggi. Alla fine della Peg, alcuni settori del ghiacciaio del Canin superavano i 90 m di spessore, mentre oggi il ghiacciaio orientale del Canin ha uno spessore medio di 11.7 m con valori massimi di circa 20. I cambiamenti climatici caratterizzati da estati sempre più roventi ma anche dall’aumento di eventi estremi di precipitazione nevosa, hanno comportato un lieve aumento di volume dei piccoli corpi glaciali delle Alpi Giulie negli ultimi 15 anni di osservazioni».

Nonostante le temperature medie estive siano aumentate in maniera significativa nel corso degli ultimi 30 anni allungando il periodo di fusione dei ghiacci, il corrispondente aumento di eventi estremi di precipitazione nevosa è andato infatti a compensare temporaneamente le perdite di massa, indotte da estati sempre più lunghe e sempre più calde.

«La stranissima situazione climatica della Carnia non può e non deve trarci in inganno – argomenta Vanda Bonardo, responsabile Alpi Legambiente – Le grandi quantità di neve di questi ultimi anni compensano solo in minima parte gli effetti dei cambiamenti climatici. Sono infatti il sintomo di una situazione anomala dove gli eventi estremi quali le precipitazioni persistenti di neve o di pioggia sono da considerare come eventi casuali sui quali non si può fare nessun affidamento, poiché condizionate esse stesse dalla rapida e poco prevedibile evoluzione della crisi climatica. Inoltre la Lan (Linea di affidabilità della neve) che indica l’altitudine sotto la quale sarà impossibile garantire la tenuta della neve sciabile, oggi attorno ai 1500 metri s.l.m., sta salendo a vista d’occhio e continuerà a crescere nella misura di 150 m per ogni grado di aumento di temperatura. È davvero un peccato che le istituzioni regionali e locali non abbiamo acquisito questa consapevolezza tanto da continuare ad insistere su progetti di impianti che non avranno futuro come nel caso del progetto di ripristino di piste e di impianti di Sella Nevea».

«Lo studio del differente comportamento che queste piccole masse glaciali delle Alpi Giulie rispetto ad altri ghiacciai alpini è di fondamentale importanza dal punto di vista scientifico e applicativo – conferma Marco Giardino, segretario del Comitato glaciologico italiano – Da un lato permette di chiarire le relazioni fra i fenomeni atmosferici e i meccanismi di alimentazione dei ghiacciai, dall’altro offre interpretazioni utili per gestire al meglio gli ambienti glaciali. Tutti questi risultati confermano l’importanza del confronto fra il monitoraggio tecnologico locale e i dati delle campagne glaciologiche annuali che il Cgi coordina sin dal 1914 in Italia».