Calamità naturali, in Italia sgravi fiscali anche a imprese che non hanno subito danni

Un’indagine della Commissione europea avviata nel 2012 svela diversi “trucchi”

[14 Agosto 2015]

Dopo un’indagine approfondita, la Commissione europea ha constatato che «determinate misure di riduzione delle imposte e dei contributi previdenziali obbligatori in zone colpite da calamità naturali adottate dall’Italia sono andate a vantaggio anche di imprese che non hanno subito danni e hanno dato luogo a sovracompensazioni.

In una nota pubblicata oggi la Commissione Ue ricorda che «Le norme dell’Ue in materia di aiuti di Stato sostengono pienamente le misure pubbliche di aiuto alle imprese che hanno subito danni a causa di calamità naturali. Tuttavia, se tali misure non sono ben impostate e mirate possono conferire un vantaggio concorrenziale iniquo alle imprese, falsando la concorrenza nel mercato unico, e non possono essere giustificate ai sensi delle norme dell’UE in materia di aiuti di Stato».

Questa ennesima figuraccia del nostro Paese ha inizio nel  2011, dopo una richiesta di un giudice italiano all’Ue, è allora che la Commissione è venuta a conoscenza di «diverse misure che l’Italia ha introdotto tra il 2002 e il 2011 ai fini della riduzione delle imposte e dei contributi previdenziali a carico di imprese situate in zone colpite da calamità naturali. Le misure riguardavano, in particolare, sei calamità naturali verificatesi in Italia tra il 1990 e il 2009. La Commissione ha avviato un’indagine approfondita nell’ottobre 2012 per valutare se tali misure fossero in linea con le norme dell’Ue in materia di aiuti di Stato».

Le norme dell’Ue sugli  aiuti di Stato danno gli Stati membri un ampio margine di intervento per indennizzare le imprese per i danni effettivi subiti a seguito di calamità naturali, ma dall’indagine della Commissione europea  è emerso che «le misure in esame adottate in Italia non erano ben orientate allo scopo di indennizzare i danni arrecati alle imprese a seguito di calamità naturali».

L’indagine della Commissione riguardava una serie di leggi che l’Italia ha promulgato in relazione a calamità naturali, nessuna delle quali è stata notificata alla Commissione prima dell’attuazione:

dopo il terremoto del 1990 in Sicilia e le inondazioni del 1994 in Italia settentrionale, le autorità italiane hanno consentito alle imprese di sospendere e rinviare il pagamento delle imposte, dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi obbligatori in caso di ubicazione nelle zone colpite da tali calamità naturali. La normativa italiana adottata tra il 2002 e il 2005 ha convertito tali rinvii e sospensioni in misure di condono che hanno ridotto del 90% il debito fiscale e contributivo delle imprese. La Corte di Cassazione ha stabilito che tutte le imprese colpite dalle calamità naturali in Sicilia e in Italia settentrionale avevano diritto a un’agevolazione fiscale e previdenziale del 90%, anche se avevano già versato tali imposte e contributi. Ciò ha indotto centinaia di imprese a chiedere il recupero dei relativi importi debitamente versati. A tutt’oggi, centinaia di queste cause sono ancora pendenti davanti alle corti nazionali;

nel periodo 2007-2011, l’Italia ha adottato misure analoghe nell’ambito dei terremoti in Umbria e nelle Marche (1997), in Molise e in Puglia (2002) e in Abruzzo (2009), riducendo del 60% gli importi di imposte o contributi sociali dovuti dalle imprese situate nelle aree colpite;

una misura analoga ha ridotto del 50% gli importi dovuti da imprese situate nell’area colpita dall’eruzione vulcanica e dal terremoto in Sicilia (2002).

Per alcune delle zone colpite la Commissione aveva già approvato regimi di compensazione specifici che l’Italia le aveva debitamente notificato. Ad esempio, per il terremoto in Molise del 2002 (N174a/2004) e per il terremoto in Abruzzo del 2009 (N459a/2009). Questi regimi sono in linea con le norme UE in materia di aiuti di Stato, che consentono agli Stati membri di concedere aiuti per compensare i danni effettivamente causati da calamità naturali, e non sono interessati dalla decisione odierna.

La nota della Commissione Ue scende nei particolari: «Le misure (ad eccezione della misura relativa alle alluvioni del 1994 in Italia settentrionale) non obbligavano le imprese a dimostrare di avere subito un danno: un’impresa situata in una zona ammissibile poteva beneficiare degli aiuti a prescindere dal fatto di avere subito o meno un danno a causa di una data calamità naturale. Questo significa, ad esempio, che un’impresa con sede legale all’interno della zona colpita, ma senza alcuna presenza fisica o attività economica in loco, avrebbe avuto il diritto di ottenere aiuti; Inoltre le misure non imponevano alle imprese di provare l’importo dei danni subiti, il che significa che l’importo dell’aiuto non era commisurato al valore effettivo del danno. Di conseguenza, alcune imprese hanno ottenuto un indennizzo senza aver subito alcun danno, mentre altre hanno beneficiato di una sovracompensazione dei danni. Ciò conferisce a tali imprese un indebito vantaggio economico rispetto alla concorrenza, che deve invece operare senza tale finanziamento pubblico, ed equivale a un aiuto di Stato incompatibile ai sensi delle norme Ue».

La Commissione evidenzia che «In linea di principio, le norme dell’Ue sugli aiuti di Stato richiedono che un aiuto di Stato incompatibile sia recuperato al fine di ridurre la distorsione della concorrenza determinata dallo stesso. Nel caso di specie, per calamità naturali verificatesi oltre dieci anni fa (ossia, tutte le catastrofi tranne il terremoto del 2009 in Abruzzo), la Commissione non impone il recupero dell’aiuto dalle imprese che esercitavano un’attività economica nelle zone disastrate. Ciò è dovuto al fatto che in Italia le imprese non hanno l’obbligo di tenere documentazione contabile per più di dieci anni, il che rende impossibile quantificare la sovracompensazione che un’impresa con attività economica nella zona interessata avrebbe percepito ai tempi. Ciò significa che, a norma della decisione della Commissione, le autorità italiane sono tenute a recuperare gli aiuti di Stato incompatibili erogati nell’ambito delle misure in esame solamente nei casi in cui i beneficiari non possono aver subito alcun danno perché non avevano alcuna attività economica in zona. Per la misura più recente relativa al terremoto del 2009 in Abruzzo, le autorità italiane devono recuperare anche l’importo della sovracompensazione ottenuta dalle imprese. Infine, in entrambi i casi, il recupero è necessario soltanto se l’importo degli aiuti di Stato incompatibili ricevuti dall’impresa è sufficientemente elevato da essere in grado di falsare la concorrenza, e se non è oggetto di un’altra misura di aiuto di Stato approvata o esente».