Un rospo estinto “risorge” dopo 13 anni in Ecuador (Fotogallery)

E’ stata la prima specie del Centro e Sud America ad essere stata infettata dal chytrid

[1 Settembre 2015]

Dall’Ecuador arriva una buona notizia per chi si occupa di salvaguardia della natura: una specie data per estinta è ricomparsa, si tratta  del rospo Azuay (Atelopus bomolochos) che era stato avvistato l’ultima volta nel 2002.

National Geographic dice che alla riscoperta hanno partecipato tre team di ricercatori (l’avvistamento iniziale è stato fatto dagli scienziati del ministero dell’ambiente dell’Ecuador e dell’università di Azuay) che hanno trovato una piccola popolazioni di Azuay stubfoot toad  nelle foreste montane Cuenca  e che, cosa molto importante, gli anfibi ritrovati non mostrano segni di chytrid, il fungo killer che 13 anni fa era stato ritenuto la causa della loro estinzione. La “resurrezione” di questo magnifico animale è particolarmente importante, dato che è stata la prima specie del Centro e del Sud America per la quale si è avuta la conferma di un’infezione da chytrid.  Gli Atelopus bomolochos  sono stati colpiti duramente dal fungo che, insieme ad altri fattori ambientali e climatici, negli ultimi 25 anni ha devastato le popolazioni di anfibi, spingendone molte verso l’estinzione.

Secondo Juan Manuel Guayasamín, direttore del Centro di ricerca sulla biodiversità e il cambiamento climatico dell’Universidad Tecnológica Indoamérica di Quito, «I rospi Arlecchino [il termine generico usato per il genere Atelopus] sono l’equivalente dei Dodo o dei lupi della Tasmania. Sappiamo che ad un certo punto della storia erano abbondanti e poi, non lo erano più. Di tanto in tanto qualcuno diceva di avener visto uno, ma era sempre uno sbaglio. Fino ad ora».

L’ International Union for Conservation of Nature (Iuicn) definisce un animale estinto quando «non vi è alcun dubbio che l’ultimo individuo sia morto», dopo indagini esaustive nell’habitat conosciuto o previsto. Ma il rospo Azuay è risorto e Guayasamín spiega: «Gli Atelopus bomolochos  sono diurni, dai colori vivaci ed erano comuni, per cui la loro improvvisa scomparsa è stata notata non solo dagli scienziati, ma dalla gente del posto». Così, quando è diventato impossibile trovare uno di questi anfibi dopo il 2002, la specie  è stata dichiarata estinta e Guayasamín  sottolinea: «Non è stato un caso di cattivo campionamento o di rarità».

Non è il primo caso di anfibi che “ritornano” dall’estinzione: altre due specie sono ricomparse nel 2014 ​​in Costa Rica e nel 2010 una ricerca internazionale ha fatto 15 riscoperte e trovato 2 nuove specie, comprese due rane africane e una salamandra messicana “estinte”, oltre a 6 specie di Haiti che nessuno aveva più visto da  20 anni.

Anche se i rospi Azuay non hanno il chytrid, questo non garantisce che sopravviveranno. Della lot ro biologia si sa molto poco, tranne che il loro accoppiamento non è un’operazione rapida. «Le coppie sono molto testardo quando si tratta di riproduzione – dice Guayasamín – Lo fanno in ruscelli e l’”amplexus” [la loro posizione sessuale, con la femmina che trasporta il maschio sul dorso] può durare per più di un mese, durante il quale il maschio non mangia». La femmina può depositare centinaia di uova che però vengono predate da pesci come la trota andina che possono inghiottire rapidamente l’intera deposizione.

Oltre al chytrid, la più grande minaccia per le rane arlecchino e gli altri anfibi del Centro e Sud America è rappresentata dalla distruzione degli habitat, dovuta in particolare alla rapida crescita delle piantagioni di palma da olio, ma anche i cambiamenti climatici in atto preoccupano gli erpetologi. «Così – scrive National Geographic – , mentre trovare una specie perduta offre una speranza, gli ostacoli  per evitare che scompaia sono davvero titanici».

Guayasamín conferma e conclude: «La parte più complicata è di fronte a noi: cercare di capire cosa si può fare per garantire la persistenza della popolazione scoperta, in un Paese in cui luoghi selvaggi  si stanno trasformando radicalmente, richiede finanziamenti e la collaborazione tra università, governo, e centri di ricerca e una continua battaglia su come vivere fianco a fianco con la fauna selvatica sfruttando le risorse naturali del Paese. Non è facile, ma ogni riscoperta ci dà una seconda possibilità di fare le cose per bene».