Dove stanno andando i parchi italiani?

[5 Maggio 2016]

È innegabile che forse mai come in questo momento anche chi ha una certa dimestichezza con le vicende dei parchi fatichi  non poco a raccapezzarsi su quel che sta succedendo, e ancor più su dove si sta andando. Buio pesto sull’operato del ministero nonostante in Parlamento si stiano discutendo e approvando  normative di cui tutto si può dire tranne che arriveranno in porto, ma soprattutto che se ciò avvenisse le cose potrebbero finalmente migliorare.

D’altronde se il Collegato ambientale che recentemente ha stanziato 1,8 milioni di euro per le aree protette marine e il ministro dell’Ambiente dice che ci sono anche altre cose nel Collegato che richiederanno oltre 20 decreti attuativi, e poi senti ripetere un giorno sì e l’altro pure che finalmente dopo decenni di immobilismo stiamo semplificando e a grande velocità le cose tanto da risultare tra  più bravi se non i migliori in assoluto non puoi non chiederti legittimamente dove sta il trucco.

Non dimenticando naturalmente che tutto prese le mosse con il consenso e il sostegno di chi aveva e avrebbe tuttora il compito di non farsi infinocchiare e soprattutto non fare imbrogliare: i parchi che – si disse – se volevamo farli funzionare a dovere si doveva e alla svelta svecchiare la legge 394 ormai troppo acciaccata e paralizzante.

Che si trattasse di una panzana o meglio di un imbroglio bello e buono fu subito chiaro ( ma non a tutti) specie  quando potemmo leggere il Disegno di legge – o meglio lo scarabocchio di legge – che dopo il nuovo Codice dei Beni culturali che ai parchi aveva inopinatamente sottratto il paesaggio, toglieva alle regioni qualsiasi competenza sulle aree protette marine, permetteva interventi non ecosostenibili in territori protetti (a pagamento!), l’inserimento negli enti di gestione di rappresentanze di categoria non certo preposte al governo del territorio specialmente quello protetto.

Se da allora è iniziato quell’indecoroso balletto politico e istituzionale che continua senza ritegno e che vede parchi nazionali senza piani, senza presidenti, senza direttori, senza vigilanza a terra con travagli come quello dello Stelvio, e non parliamo per carità di patria a mare a partire dal Santuario dei cetacei dove da anni siamo sotto tiro del governo francese per la nostra non gestione.

Ci vuol poco a capire perché il ministero dell’Ambiente ha rifiutato e rifiuta la terza Conferenza nazionale dei parchi dove dovrebbe rispondere e spiegare e non solo ai parchi ma alla Corte dei Conti, alle associazioni ambientaliste, alle stesse regioni come è perché siamo finiti in questo ginepraio. E dove le stesse regioni dovrebbero spiegare perché in tanti parchi regionali anche sperimentati e con strumenti  aggiornati di gestione che mancano invece in troppi parchi nazionali le cose non vanno granché meglio. Penso al Piemonte, alla Toscana, alla Liguria, alle Marche etc.

E quel che riserva alle Regioni il nuovo Titolo V non le aiuterà certo, visto che proprio l’ambiente risulta il più penalizzato dal ritorno neocentralistico che tanto piace al presidente del Consiglio e alla ministra Boschi.  D’altronde come sorprendersi se in questa situazione si stia cercando di varare operazioni balorde come quella di passare parchi regionali importanti come Portofino e la Valle del Po allo Stato per pure ragioni di ‘cassa’. E pensare che l’artritica legge 394 pretendeva addirittura di costruire un vero sistema nazionale di parchi con la Carta della Natura, il piano della Biodiversità, l’integrazione terra-mare. Vuoi mettere quanto è più all’altezza dei tempi e dei nuovi problemi di una seria politica di tutela questo traffico scriteriato e indecoroso!

Il che spiega come sia possibile prevedere nella legge in discussione da anni al Senato per le aree protette marine considerate più bisognose di sostegno norme scandalose di ulteriore separazione dal restante territorio e soggette al grottesco piano triennale ministeriale e relativa privatizzazione di importanti servizi. Quando si dice piano triennale ministeriale significa che gli ambiti marini non figureranno neppure nella perimetrazione dei parchi a mare. Chi avrà avuto questa brillantissima idea che i più continuano ad ignorare?

E qui si viene al dunque. Di questa situazione ormai prossima ad un vero tracollo delle nostre aree protette le forze politiche a partire da quelle di governo nazionali e regionali in barba agli accordi di Parigi, agli osanna per l’Expo, l’Enciclica papale e la green economy sono latitanti da tempo. Sotto questo profilo considero esemplare l’Unità su cui  la parola “parco” non ricorre neppure per sbaglio. Cito l’organo del Pd, partito con la maggiore responsabilità di governo, perché per molti di noi a suo tempo impegnati nei parchi fu l’Unità il giornale che ci permise confronti e scontri prima per far approvare la legge 394 poi per farla attuare. Ora è calata la tela e gli effetti è facile vederli.

L’esperienza del Gruppo di San Rossore è servita se non altro a verificare che chi cerca trova, e noi cerchiamo il confronto per mettere a punto non qualche sgangherato emendamento destinato giustamente – se va bene – al cestino, ma ipotesi e idee a cui abbiamo dedicato anche recentemente libri utili come base di discussione. Lo abbiamo visto già in più di un incontro, e sicuramente sarà così anche nei prossimi già previsti.

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