Specie selvatiche: almeno una su cinque viene commercializzata, potrebbero diventare una su tre

Il commercio di animali selvatici è la prima causa di estinzione di specie. Gli hotspot del commercio mondiale di specie selvatiche

[7 Ottobre 2019]

Con lo studioGlobal wildlife trade across the tree of life”, pubblicato su Science, un team di ricercatori statunitensi e britannici ha quantificato per la prima volta l’estensione del commercio mondiale di specie selvatiche, scoprendo che «almeno una specie su cinque terrestre viene acquistata e venduta sul mercato mondiale», circa il 50% in più delle stime precedenti.

Il team di ricercatori britannico/statunitense ha utilizzato i dati della Convention on international trade in endangered species of wild flora and fauna (Cites) e dell’International union for conservation of nature (Iucn) che comprendono circa 30.000 specie di uccelli, mammiferi, anfibi e rettili. Non hanno tenuto conto degli invertebrati o degli animali marini, oggetto comunque di un florido e spesso illegale commercio. Secondo la loro analisi, 5.579 animali – il 18% dei vertebrati – sono attualmente oggetto di commercio a livello globale. E gli scienziati fanno notare che «Questo non significa che le altre 4 specie su 5 siano al sicuro. Lo studio prevede che fino a 3.196 specie in più sono a rischio di estinzione a causa del commercio»., per un totale di 8.775 specie, o circa una su tre di quelle incluse negli elenchi Cites e Iucn.

Brett Scheffers, del Department of wildlife ecology and conservation, dell’Institute of Food and Agricultural Sciences (IFAS) dell’università della Florida, che ha condotto il team di ricerca insieme a David Edwards del Department of animal and plant sciences dell’università di Sheffield, ha commentato: «Mostriamo che, dati i modelli attuali, la proporzione di specie interessate dal commercio della fauna selvatica ha il potenziale per crescere. In futuro potremmo vedere commercializzate una specie su quattro o una specie su tre».

La ricerca ha anche determinato gli hotspot dove vivono le specie più vendute, identificandoli in particolare nelle Ande e nell’Amazzonia, nell’Africa sub-sahariana, nel Sud-est asiatico e in Australia.

Edwards ha ricordato che «Il commercio mondiale di specie selvatiche è un’industria da miliardi di dollari e il nostro studio evidenzia che c’è un’iper-diversità di specie che entrano sul mercato. Prevediamo che in futuro altre migliaia di specie potrebbero essere a rischio commercializzazione. Insieme alle specie già note per essere commercializzate, questo rappresenta una grave minaccia di estinzione per diverse migliaia di specie di uccelli, mammiferi, anfibi e rettili. Senza porre urgentemente attenzione a come arginare sia l’offerta che la domanda di specie catturate in natura, esiste un reale pericolo che perderemo molte specie commercializzate».

Il team di ricerca, che comprende anche Brunno Oliveira dall’Auburn University – Montgomery  e Ieuan Lamb dell’università di Sheffield, ha determinato la quantità di animali commercializzati a livello globale analizzando i dati di oltre 30.000 specie terrestri di mammiferi, uccelli, rettili e anfibi. Scheffers evidenzia che «Il commercio della fauna selvatica è la prima causa di estinzione di specie, legata solo allo sviluppo del territorio. Il commercio di animali selvatici comprende animali scambiati come animali da compagnia e prodotti di origine animale, come corna, piume o carne. Il fatto che un animale faccia parte del commercio di animali selvatici dipende dalla serie di caratteristiche desiderabili delle quali è dotato. Sul mercato gli animali sono preziosi perché hanno qualcosa di speciale: ad esempio, sono richiesti uccelli dai colori vivaci, così come gli animali che sono una fonte di avorio».

Questi tratti desiderabili sono stati il ​​secondo obiettivo dello studio. I ricercatori spiegano che Le caratteristiche fisiche sono determinate dall’evoluzione e tendono a manifestarsi in gruppi di specie affini. Quindi, anche i tratti desiderabili saranno concentrati in aree particolari nell’albero evolutivo della vita.

E dove si concentrano questi tratti desiderabili, così è per l’attività commerciale».

Scheffers aggiunge: «Se una specie viene commercializzata, è probabile che vengano venduti anche i suoi cugini evolutivi. Una volta scoperto quel modello, potremmo sviluppare un modello che preveda quali specie verranno probabilmente scambiate in futuro, anche se non sono commerciate ora».

Un trend già visibile ora nel commercio di alcuni specifici animali, ma questo studio dimostra che questo modello si applica più ampiamente all’intero albero della vita. Scheffers spiega ancora: «Una volta esaurita una specie commercializzata, le specie con caratteristiche simili diventeranno il target del commercio. Se esauriamo una specie di uccello giallo brillante, passiamo alla successiva più simile ad essa».

Gli autori dello studio sono convinti che questi risultati che possono potenzialmente rimodellare l’attuale approccio alla conservazione della fauna selvatica e Scheffers fa notare che «La conservazione della fauna selvatica è spesso reattiva. Le protezioni vengono messe in atto quando una specie è in pericolo, non prima. Il nostro modello consente ai gestori della fauna selvatica e ai responsabili politici di essere proattivi e di tenere d’occhio i target del commercio di specie selvatiche attuali e previsti per il futuro. Una specie potrebbe non essere a rischio oggi, ma come dimostra il nostro studio, questo può cambiare con i cambiamenti nella domanda e nell’offerta».

I risultati dello studio possono anche aiutare a prevenire o individuare le transazioni di specie selvatiche a rischio su piattaforme online come eBay e le transazioni dirette che ormai si svolgono su Facebook, ma anche il personale che lavora alle dogane o negli uffici che controllano le importazioni.

Scheffers fa notare che «Mentre l’uso dei big data per comprendere il commercio mondiale di specie selvatiche può sembrare una novità, il commercio di specie selvatiche in sé non è una novità. Una caratteristica della fauna selvatica, la dimensione corporea, ha guidato per millenni l’economia della fauna selvatica, Molti ricercatori hanno sostenuto che gli esseri umani sono la ragione per cui molti dei grandi animali dell’era glaciale, come il mammut lanoso o il bradipo gigante, si sono estinti. E’ interessante il fatto che oggi la dimensione corporea sia ancora un forte indicatore del fatto che una specie venga commercializzata. Tuttavia, oggi la differenza è che conserviamo attivamente le specie e speriamo che questo studio fornisca la scienza necessaria per indirizzare la politica e la gestione».