Solo il 15% delle regioni costiere del mondo è rimasto intatto

Necessari e urgenti il ripristino e conservazione delle coste a livello globale. Un nuovo dataset globale a libero accesso

[8 Febbraio 2022]

Il nuovo studio “Global rarity of intact coastal regions”, pubblicato su Conservation Biology da un team internazionale di scienziati guidato da Brooke Williams della School of Earth and Environmental Sciences e del Centre for Biodiversity and Conservation Science dell’università del Queensland, ha rivelato che «solo il 15% delle aree costiere di tutto il mondo rimane intatto, evidenziando la necessità di un urgente ripristino e conservazione delle coste su scala globale».

Lo studio ha mappato l’impatto delle pressioni causate dall’uomo sulle regioni costiere per identificare quelle che sono già fortemente degradate e quelle che restano intatte e la Williams ha detto che  «I risultati, che sono stati raccolti in un dataset ad accesso gratuito e utilizzabile, forniscono utilissime informazioni sugli impatti diffusi dell’umanità sui preziosi ecosistemi costieri della Terra. Le regioni costiere contengono alti livelli di biodiversità e sono utilizzate da milioni di persone per i servizi ecosistemici come il cibo e la protezione dalle tempeste. I nostri risultati dimostrano che se speriamo di poter preservare le regioni costiere che rimangono intatte e ripristinare quelle fortemente degradate, dobbiamo agire in modo rapido e deciso, soprattutto se intendiamo mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. La velocità con cui queste regioni si stanno degradando pone enormi minacce non solo alle specie e agli habitat costieri, ma anche alla salute, alla sicurezza fisica e alla sicurezza economica di innumerevoli persone che ci vivono o dipendono dalle regioni costiere di tutto il mondo».

Il team di ricercatori ha scoperto che, del 15,5% delle aree costiere rimaste intatte nel 2013, il Canada aveva la più grande distesa di regione costiera rimasta intatta. Altri litorali ancora integri si trovano in Russia, Groenlandia, Cile, Australia e Stati Uniti». Ma la Williams fa notare che «Le regioni costiere contenenti fanerogame, praterie sottomarine e barriere coralline hanno avuto i livelli più alti di pressione umana rispetto ad altri ecosistemi costieri».

Un’altra autrice dello studio, Amelia Wenger, anche lei dell’università del Queensland, ha concluso: «L’approccio di ricerca collaborativo, che prevedeva l’esame di due dataset – uno, incentrato sugli impatti umani sulla terra e l’altro che osservava gli impatti umani da una prospettiva marina – ha fornito una visione chiara su quali dovrebbero essere i prossimi passi. Mentre sapevamo già quanto sia importante proteggere la biodiversità e i servizi ecosistemici in queste regioni costiere, essere in grado di vedere chiaramente quanto rapidamente e fino a che punto si è diffuso questo degrado, è davvero sorprendente. Capire perché gli ecosistemi costieri sono sotto pressione può aiutarci a progettare e implementare strategie di gestione più mirate e, si spera, a rallentare questo degrado e persino a ribaltarlo. Stiamo esortando i governi ei custodi di questi ambienti a preservare in modo proattivo le preziose regioni costiere intatte rimaste di cui sono responsabili, ripristinando al contempo quelle degradate. Pensiamo che il nostro dataset sarà uno strumento vitale per raggiungere tale ambizione, motivo per cui lo stiamo rendendo pubblicamente disponibile e gratuito».