Sinodo per l’Amazzonia. Il discorso di apertura di Papa Francesco

Il motto "Civiltà e barbarie" è servito ad annientare i popoli. Una prospettiva paradigmatica che nasce dalla realtà dei popoli

[8 Ottobre 2019]

Pubblichiamo il discorso di Papa Francesco che ha aperto ieri ufficialmente i lavori dell’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per la Regione Panamazzonica “Nuove strade per la chiesa e per un’economia integrale”. Oltre a fare riferimento alle dittature fasciste che hanno insanguinato il Sudamerica, il Papa si leva anche qualche sassolino dalle scarpe rispetto alle critiche e accuse delle quali il Sinodo amazzonico stato fatto oggetto da parte della destra integralista cattolica. Il tutto naturalmente all’interno di un forte richiamo alla dottrina della Chiesa Cattolica e alla prudenza mediatica, che deve essere ancora più attenta in occasione di un Sinodo.  

Ecco cosa ha detto il Papa:

Sorelle e fratelli, buongiorno!

Benvenuti a tutti e grazie per il vostro lavoro di preparazione: tutti hanno lavorato così tanto, ai tempi di Puerto Maldonado fina ad oggi. Grazie tante.

Si può dire che iIl Sinodo per l’Amazzonia ha quattro dimensioni: la dimensione pastorale, la dimensione culturale, la dimensione sociale e la dimensione ecologica. La prima, la dimensione pastorale è quella essenziale, che comprende tutto. Ci avviciniamo con un cuore cristiano e vediamo la realtà dell’Amazzonia con gli occhi di un discepolo per comprenderla e interpretarla con gli occhi di un discepolo, perché non esistono ermeneutiche neutre, ermeneutiche asettiche, sono sempre condizionate da un’opzione precedente, la nostra opzione precedente è quella dei discepoli. E anche con gli occhi dei missionari, perché l’amore che lo Spirito Santo ha posto in noi ci spinge all’annuncio di Gesù Cristo; un annuncio – lo sappiamo tutti – che non dovrebbe essere confuso con il proselitismo, però ci avviciniamo a considerare la realtà amazzonica con questo cuore pastorale con gli occhi di discepoli e missionari perché ci affretta l’annuncio del Signore.

E ci avviciniamo anche alle popolazioni amazzoniche in punta di piedi, rispettando la loro storia, le loro culture, il loro stile di vita, nel senso etimologico della parola, non nel senso sociale che gli diamo così tante volte, perché i popoli hanno un’entità propria, tutti i popoli hanno la loro saggezza, consapevolezza di sé, i popoli hanno un sentimento, un modo di vedere la realtà, una storia, un’ermeneutica e tendono ad essere protagonisti della propria storia con queste cose, con queste qualità. E ci avviciniamo allo straniero, alle colonizzazioni ideologiche che distruggono o riducono le idiosincrasie dei popoli. Oggi questa colonizzazione ideologica è così comune. E ci avviciniamo senza il desiderio imprenditoriale di realizzare programmi pre-preparati, “disciplinare” i popoli amazzonici, disciplinare la loro storia, la loro cultura; questo no, questo desiderio di addomesticare i popoli nativi. Quando la Chiesa dimenticò questo, come deve avvicinarsi a un popolo, non si acculturò; ma giunse a disprezzare alcuni popoli. E quanti sono i fallimenti dei quali ci pentiamo oggi. Pensiamo a De Nobile in India, Ricci in Cina e molti altri. Il centralismo “omogeneizzante” e “omogeneizzante” non ha rivelato l’autenticità della cultura dei popoli. Ricci in Cina e tanti altri. Il centralismo “omogeneizzato” e “omogeneizzante” non ha rivelato l’autenticità della cultura dei popoli. Ricci in Cina e tanti altri. Il centralismo “omogeneizzante” e “omogeneizzatore” non ha rivelato l’autenticità della cultura dei popoli.

Le ideologie sono un’arma pericolosa, tendiamo sempre ad afferrare un’ideologia per interpretare un popolo. Le ideologie sono riduttive e ci portano all’esagerazione nella nostra pretesa di comprendere intellettualmente, ma senza accettare, comprendere senza ammirare, comprendere senza assumere, e quindi riceviamo la realtà in categorie, le più comuni sono le categorie degli “ismi”. Quindi quando dobbiamo avvicinarci alla realtà di alcuni popoli indigeni, parliamo di indigenismi e quando vogliamo dare loro una strada per una loro vita migliore, non chiediamo loro, parliamo di sviluppismo.  Questi “ismi” riformulano la vita dal laboratorio illustrato e illuminista. Sono slogan che stanno mettendo radici e programmano l’approccio ai popoli originari. Nel nostro Paese, un motto: “civiltà e barbarie” è servito a dividere, per annichilire, e ha raggiunto il culmine verso la fine degli anni ’80, ad annientare la maggior parte dei popoli originari, perché erano “barbari” e la “civiltà” veniva da altrove. E’ il disprezzo dei popoli e – guardo all’esperienza della mia terra – che la “civiltà e barbarie”, è servita ad annientare i popoli, tuttavia, nella mia terra natale, con parole offensive, si parla ancora di civiltà di secondo grado, quelli che provengono dalla barbarie; e oggi sono i ““bolitas, i paraguayos, i paraguas, le cabecitas negras”, il che ci allontana sempre dalla realtà di un popolo, qualificandolo e mettendo le distanze. Questa è l’esperienza del mio paese. E poi il disprezzo. Ieri sono stato molto triste di sentire qui un commento beffardo su quel signore devoto che portava le offerte con le piume in testa, ditemi: Qual è la differenza tra indossare piume sulla testa e il “tricorno” usato da alcuni officianti dei nostri dicasteri? Quindi corriamo il rischio di proporre misure semplicemente pragmatiche, quando, al contrario, ci viene chiesta una contemplazione dei popoli, una capacità di ammirazione, di pensarli in modo paradigmatico. Se qualcuno viene con intenzioni pragmatiche, prega il “sé peccatore”, si converta e apra il cuore a una prospettiva paradigmatica che nasce dalla realtà dei popoli.

Non siamo venuti qui per inventare programmi di sviluppo sociale o di custodia culturale, di tipo museale o di azioni pastorali con lo stesso stile non contemplativo con cui si portano avanti le azioni del segno opposto: deforestazione, uniformazione, sfruttamento. Lo fanno anche i programmi che non rispettano la poesia – mi si conceda la parola – e la realtà dei popoli che è sovrana. Dobbiamo anche occuparci della mondanità in termini di punti di vista esigenti, cambiamenti nell’organizzazione. La mondanità si infiltra sempre e ci tiene lontani dalla poesia dei popoli. Veniamo a contemplare, a capire, a servire i popoli; e lo facciamo lungo un percorso sinodale, lo facciamo nel sinodo, non nelle tavole rotonde, non nelle conferenze o nelle discussioni successive; lo facciamo nel sinodo, perché un sinodo non è un parlamento, non è un call center, non è dimostrare chi ha più potere sui media e chi ha più potere tra le reti per imporre qualunque idea o qualunque piano. Questo configurerebbe una Chiesa congregazionalista, se intendiamo cercare attraverso i sondaggi chi ha la maggioranza. O una Chiesa sensazionalista così lontana, così distante dalla nostra Santa Madre Chiesa cattolica, o come piaceva dire a Sant’Ignazio: “nostra Santa Madre la Chiesa gerarchica”.

Il Sinodo è camminare insieme sotto l’ispirazione e la guida dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è l’attore principale del Sinodo. Per favore, non buttiamolo fuori dalla stanza. Sono state fatte consultazioni, discusse nelle Conferenze episcopali, nel Consiglio presinodale, il Non è per mostrare chi ha più potere sui media e chi ha più potere tra le reti per imporre qualsiasi idea o piano. Ciò costituirebbe una Chiesa congregazionalista, se intendiamo cercare tra i sondaggi che hanno la maggioranza. O una Chiesa sensazionalista così lontana, così distante dalla nostra Santa Madre Chiesa cattolica, o come piaceva dire a Sant’Ignazio: “la nostra Santa Madre la Chiesa gerarchica”. Il Sinodo è camminare insieme sotto l’ispirazione e la guida dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è l’attore principale del Sinodo. Per favore, non buttiamolo fuori dalla stanza. Sono state fatte consultazioni, discusse nelle Conferenze episcopali, nel Consiglio presinodale, il Non è per mostrare chi ha più potere sui media e chi ha più potere tra le reti per imporre qualsiasi idea o piano. Ciò costituirebbe una Chiesa congregazionalista, se intendiamo cercare tra i sondaggi che hanno la maggioranza. O una Chiesa sensazionalista così lontana, così distante dalla nostra Santa Madre Chiesa cattolica, o come piaceva dire a Sant’Ignazio: “la nostra Santa Madre la Chiesa gerarchica”. Il Sinodo è camminare insieme sotto l’ispirazione e la guida dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è l’attore principale del Sinodo. Per favore, non buttiamolo fuori dalla stanza. Sono state fatte consultazioni, discusse nelle Conferenze episcopali, nel Consiglio presinodale, il se intendiamo cercare tra i sondaggi che hanno la maggioranza. O una Chiesa sensazionalista così lontana, così distante dalla nostra Santa Madre Chiesa cattolica, o come piaceva dire a Sant’Ignazio: “la nostra Santa Madre la Chiesa gerarchica”. Il Sinodo è camminare insieme sotto l’ispirazione e la guida dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è l’attore principale del Sinodo. Per favore, non buttiamolo fuori dalla stanza. Sono state fatte consultazioni, discusse nelle Conferenze episcopali, nel Consiglio presinodale, il se intendiamo cercare tra i sondaggi che hanno la maggioranza. O una Chiesa sensazionalista così lontana, così distante dalla nostra Santa Madre Chiesa cattolica, o come piaceva dire a Sant’Ignazio: “la nostra Santa Madre la Chiesa gerarchica”. Sinodo è camminare insieme sotto l’ispirazione e la guida dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è l’attore principale del Sinodo. Per favore, non buttiamolo fuori dalla sala. Sono state fatte consultazioni, si è discusso nelle Conferenze episcopali, nel Consiglio presinodale, si è elaborato uno Instrumentum laboris che, come sapete, è un testo martire, destinato a essere distrutto, perché è un punto di partenza per ciò che lo Spirito farà in noi e, ora, camminiamo sotto la guida dello Spirito Santo. Ora dobbiamo lasciare che lo Spirito Santo si esprima in questa Assemblea, si esprima in mezzo a noi, si esprima con noi, attraverso di noi e si esprima “nonostante” noi, nonostante le nostre resistenze, che è normale che ci siano, perché La vita del cristiano è così.

E poi, quale sarà il nostro lavoro qui per garantire che questa presenza dello Spirito Santo sia fruttuosa? Prima di tutto, pregare. Sorelle e fratelli: vi chiedo di pregare molto. Riflettere, dialogare, ascoltare con umiltà, sapendo che non conosco tutto. E parlare con coraggio, con la parresia, anche se devo vergognarmi, dire quello che sento, discernere e, all’interno di tutto questo, custodire la fraternità che deve esistere qui dentro. E favorire questo atteggiamento di riflessione, preghiera, discernimento, ascolto con umiltà e parlare con coraggio. Dopo quattro interventi avremo uno spazio di quattro minuti di silenzio.

Qualcuno ha detto: “È pericoloso, padre, perché dormiranno”. L’esperienza del Sinodo sui giovani, dove abbiamo fatto lo stesso, è stato piuttosto l’opposto, perché tendevano ad addormentarsi durante gli interventi, almeno per alcuni, e si svegliavano nel silenzio. Infine, stare nel sinodo significa essere incoraggiati ad entrare in un processo. Non a occupare uno spazio nella sala. Entrare in un processo. E i processi ecclesiali hanno una necessità: devono essere sorvegliati, curati, come un bambino, accompagnati fin dall’inizio. Curati con delicatezza. Hanno bisogno del calore della comunità, hanno bisogno del calore della Chiesa Madre. Un processo ecclesiale cresce così. Per questo, l’attitudine al rispetto, di curare l’atmosfera fraterna, l’aria dell’intimità è importante. E si tratta di non dare sfogo a tutto, come viene, fuori. Però non si tratta neanche di chi deve informare di un segreto più tipico delle logge che della comunità ecclesiale, ma di delicatezza e prudenza nella comunicazione che faremo all’esterno. E questa necessità di comunicare a così tanta gente che vuole sapere, ai nostri fratelli giornalisti che hanno la vocazione di servire affinchè si sappia, e per aiutarli sono previsti servizi stampa, i briefing , ecc.

Ma un processo come quello di un sinodo può essere un po’ rovinato se entro nella sala e dico quel che penso, dico la mia, e poi c’è quella caratteristica che si è già vista in alcuni sinodi: il sinodo da dentro e il sinodo da fuori. Il sinodo interno che segue un percorso della Chiesa Madre, la cura dei processi e il sinodo esterno che, per un’informazione data con leggerezza, data con imprudenza, porta gli informatori ufficiali ad equivocare. Grazie per quello che state facendo, grazie per pregare gli uni per gli altri e animo. E per favore, non perdiamo il nostro senso dell’umorismo.

Papa Francesco