Sinodo per l’Amazzonia: Chiesa impegnata contro le violazioni dei diritti dei popoli

Survival: La Chiesa Cattolica complice dell’invasione e nella distruzione coloniale, ma la sua ala progressista svolge una funzione cruciale (spesso l’unica) per la giustizia sociale nell’America Latina

[15 Ottobre 2019]

Con la nona Congregazione Generale ha avuto inizio la seconda delle tre settimane del Sinodo speciale per la Regione Panamazzonica che si concluderà il 27 ottobre. Riassumendo i lavori, Vatican News sottolinea che «Il Sinodo è un Kairos, tempo di grazia: la Chiesa si pone in ascolto, in atteggiamento empatico e cammina accanto ai popoli originari della selva: periferie geografiche ed esistenziali che hanno ricevuto il dono di contemplare quotidianamente il “Fiat”, la prima parola pronunciata da Dio. La creazione è infatti una Bibbia verde che svela il Creatore e nella celebrazione dei sacramenti l’impegno ecologico trova il suo fondamento più profondo».

Il Sinodo lamenta che in Amazzonia c’è una sensibile diminuzione di comunità religiose e fa l’esempio dello Stato di Parà in Brasile «dove si sta passando da una pastorale di presenza ad una di visita« e per questo «si chiede alle Congregazioni religiose di recuperare l’entusiasmo missionario. Al contempo occorre offrire una formazione costante e cammini di catecumenato imperniati non solo su libri di studio, ma sull’esperienza sul campo a diretto contatto con la cultura locale. Assumere un volto amazzonico vuol dire comprendere segni e simboli, proprie di questi popoli e convivere in un’ottica di dialogo e interculturazione, incoraggiando l’approfondimento di una teologia india, perché la liturgia risponda sempre più alla cultura locale. Ciò implica un dinamismo: uscire fuori cioè dalle nostre strutture e prospettive. In alcuni casi la Chiesa in uscita in Amazzonia è già una realtà. Sono molti gli esempi di presenza pastorale finalizzata ad incoraggiare gli indigeni, dimenticati dal mondo, a prendere in mano le redini del loro destino. Mai però cedere alla tentazione di un’evangelizzazione basata esclusivamente su programmi assistenziali. Nel contempo la Chiesa è chiamata a fronteggiare le sfide poste da un lato dal proliferare delle sette religiose e dall’altro da una cultura relativista proveniente dai paesi industrializzati».

Ma la Chiesa Cattolica deve sentire la sua voce. «C’è chi ha detto che le rappresentanze pontificie potrebbero continuare a svolgere un ruolo essenziale presso Governi e Organismi Internazionali al fine di promuovere le istanze delle popolazioni amazzoniche, circa i loro diritti alla terra, all’acqua, alla foresta. Inoltre la Chiesa in Amazzonia è chiamata promuovere un’economia circolare rispettosa della saggezza e delle pratiche locali. Invocata inoltre la creazione di un osservatorio ecclesiale internazionale sulla violazione dei diritti umani delle popolazioni amazzoniche». Da qui l’esortazione ai Paesi industrializzati: «Esprimano maggiore solidarietà verso i Paesi con economie fragili, anche per il fatto che costituiscono un tasso più elevato di inquinamento».

Come a rispondere all’ala più conservatrice e reazionaria che agita lo spauracchio dell’indigenizzazione della Chiesa, il Sinodo ricorda che «L’Amazzonia è un mondo multietnico, multiculturale e multireligioso dove molti semi del Verbo hanno già attecchito e stanno dando frutto. È auspicabile la creazione di un ecosistema di comunicazione ecclesiale panamazzonico che sia riflesso dell’interconnessione dell’umanità intera. L’idea è quella di tessere non tanto una rete di cavi, ma di persone umane. Le grandi difficoltà di mobilità nella sconfinata regione esigono infatti con urgenza una maggiore efficacia e capillarità dei mezzi di comunicazione sociale. Occorre nel contempo aiutare i popoli a saper leggere criticamente l’informazione diffusa in modo superficiale da alcuni media, smascherando ogni forma di manipolazione, distorsione o spettacolarizzazione».

Inoltre, sempre nell’ambito dell’educazione, il Sinodo amazzonico ha posta in luce «l’urgenza di trasmettere la fede, motivare i giovani a costruire il proprio progetto di vita, promuovere la cura della Casa Comune, accrescere il rigetto della piaga del traffico di persone, contrastare analfabetismo e abbandono scolastico. I giovani devono essere aiutati ad integrare le conoscenze ancestrali con i saperi più moderni al fine che ambedue concorrano al “buon vivere”».

E’ stata anche avanzata l’idea di creare «comunità cristiane eco-interculturali aperte al dialogo interistituzionale e interreligioso che insegnino nuovi stili di vita orientati alla cura della Casa Comune. Le compagnie petrolifere e di sfruttamento del legno – è stata la denuncia – danneggiano l’ambiente e minano l’esistenza dei popoli. Gli indigeni infatti non traggono alcun profitto dall’estrazione delle risorse, forestali e minerarie delle loro terre. Occorre quindi smascherare con forza la dilagante corruzione che alimenta disparità e ingiustizie e interrogarsi su cosa lasceremo alle future generazioni. Anche la grande minaccia costituita dal narcotraffico va contrastata assieme ad ogni connivenza che lo alimenta».

Spazio anche al tema della sovranità alimentare: «Ogni popolo ha il diritto di scegliere cosa coltivare, cosa magiare e come garantire l’accesso al cibo nel rispetto degli ecosistemi. Una parte rilevante di biodiversità agroalimentare in Amazzonia è ancora sconosciuta ed è stata preservata finora dalle popolazioni locali. Essa non può finire sfruttata da pochi e sottratta alla moltitudine, come accaduto sul fronte medico, dove piante e principi attivi hanno arricchito multinazionali farmaceutiche, senza nulla restituire al popolo».

Nel contesto di “Amazzonia: casa comune”, Survival International partecipa agli eventi paralleli al Sinodo, per diffondere la voce dei popoli indigeni nel mondo con il progetto Tribal Voice e Leila Rocha, leader Guarani Ñandeva del Mato Grosso do Sul ha denunciato che «Il nuovo governo vorrebbe distruggerci, distruggere gli indigeni e lasciare la nostra terra ai grandi imprenditori agricoli. Questi fazendeiro stanno già uccidendo nostra madre, stanno già uccidendo i nostri fiumi. Chiediamo al mondo intero: aiutateci, per favore aiutateci a salvare questa terra, che appartiene a noi popoli indigeni».

Francesca Casella direttrice di Survival International Italia, ha sottolineato i cambiamenti in atto: «La Chiesa Cattolica Romana ha giocato un ruolo fondamentale nell’invasione e nella distruzione coloniale dell’America indigena. Allo stesso tempo, tuttavia, alcune delle prime voci che in Europa si sono levate a sostegno dei diritti degli indigeni, erano membri del suo clero. Nel corso delle ultime generazioni, la sua ala progressista ha svolto una funzione cruciale (spesso l’unica) nel perseguire la giustizia sociale nell’America Latina, schierandosi con i diseredati e i perseguitati, e molti del suo clero, incluso il clero indigeno, sono stati assassinati per questo loro impegno. Il Sinodo costituisce pertanto non solo un’occasione straordinaria per catalizzare la forza dell’opinione pubblica a sostegno dei diritti dei popoli indigeni, ma anche un’opportunità unica per rafforzare il ruolo di questa chiesa progressista nello schierarsi al loro fianco».

Una delegazione di leader indigeni, Sonia Guajajara, Alberto Terena, Angela Kaxuyana, Celia Xakriabà, Dinaman Tuxà, Elizeu Guarani Kaiowà e Kreta Kaingang visiterà 12 Paesi europei, tra cui l’Italia, dal 17 ottobre fino al 20 novembre, per denunciare le sistematiche violazioni ai diritti delle popolazioni indigene del Brasile, che si sono intensificate dall’entrata in carica del Presidente Jair Bolsonaro. Il viaggio inizierà a Roma, in Vaticano, con la presenza dei leader indigeni al Sinodo sull’Amazzonia. Dopo Città del Vaticano e Roma, la delegazione visiterà anche Torino (il 20-21 ottobre) e Bologna, per poi proseguire in Germania (Berlino e Monaco), Svezia (a Stoccolma), Norvegia (Oslo), Paesi Bassi (Amsterdam), Belgio (Bruxelles), Svizzera (Ginevra e Berna), Francia (Parigi), Portogallo (Porto), Regno Unito (Londra) e si concluderà in Spagna (Madrid, Barcellona e Valencia).

Guidata dall’Articulação dos Povos Indígenas do Brasil -APIB, in collaborazione con le organizzazioni della società civile, la campagna “Sangue indigeno: non una goccia di più” punta a fare pressione sul governo brasiliano e sulle aziende del settore agroalimentare perché rispettino gli accordi internazionali sui cambiamenti climatici e sui diritti umani sottoscritti dal Brasile – tra cui l’Accordo di Parigi, la Convenzione 169 dell’International labour organization (Ilo), la Dichiarazione Onu sui diritti dei Popoli Indigeni e la Dichiarazione di New York sulle foreste. Per l’APIB, «intraprendere un viaggio in Europa significa avere l’opportunità di sensibilizzare numerosi interlocutori sul genocidio dei Popoli Indigeni e ottenere sostegno».

Survival sottolinea che «Questo viaggio in Europa non è il primo atto di denuncia dell’APIB. Il rapporto “Complicity in Destruction II. How northern consumers and financiers enable Bolsonaro’s assault on the Brazilian Amazon” pubblicato dall’APIB in collaborazione con Amazon Watch lo scorso aprile, mostra come numerose aziende e banche europee e statunitensi stiano finanziando la deforestazione nella regione amazzonica, inclusi i territori indigeni. Quanto affermato dall’APIB è corroborato da altre organizzazioni. Secondo il Consiglio Indigeno Missionario (CIMI), ad esempio, a partire dal 2019 le invasioni nei territori indigeni si sono intensificate: da gennaio a settembre di quest’anno sono state registrate 160 invasioni in 153 terre indigene, rispetto ai 111 casi simili registrati in 76 territori indigeni nel 2018. Lo scorso agosto un report dell’Ipcc ha riconosciuto il ruolo dei Popoli Indigeni come guardiani delle foreste, confermando l’importanza del loro contributo alla lotta contro i cambiamenti climatici».