Se la biodiversità sparisce dalla transizione ecologica

Le nomine di sottosegretari e viceministri non fanno ben sperare su una transizione ecologica basata sulla natura

[25 Febbraio 2021]

Proprio mentre a Nairobi si concludeva l’United Nations Environment Assembly e la direttrice esecutiva dell’Unep Inger Andersen ribadiva che la pandemia di Covid-19 ha dimostrato lo stretto legame tra benessere – presente e futuro – umano e una biodiversità in salute, mentre il segretario generale dell’Onu ricordava che la biodiversità sarà al centro dell’attività politica ed economica mondiale con i summit della Convention on biological diversity e degli Oceani dell’Onu (senza dimenticare gli strettissimi legami di entrambi con la COP26 Unfccc sul clima) e del decennio Onu per il Ripristino dell’ecosistema 2021-2030, a Roma si svolgeva il tragicomico mercato dei sottosegretari del Governo, con veti incrociati ai quali sembra che abbia posto fine Mario Draghi in persona, imponendo ai partiti di scegliere. Ma il risultato non sembra all’altezza neanche delle peggiori previsioni.

Il ministero della Transizione ecologica, che tanto aveva fatto sperare – e forse illuso – le associazioni ambientaliste potrebbe diventare rapidamente quello che qualcuno temeva: il ministero della transizione senza l’ecologia. E il sacrificio del ministero dell’Ambiente (che, va detto, salvo rare eccezioni, non aveva certo mostrato di contare molto in quasi tutta la sua storia) sembra aver sacrificato anche la natura, i parchi, la biodiversità come parte integrante di quella transizione che deve avvalersi sempre di più delle soluzioni basate sulla natura, come ci hanno appena detto i ministri dell’Ambiente a Nairobi e come chiede l’Ue con le direttive biodiversità, Farm to Fork e con l’European green deal.

Mentre in molti si aspettavano che Liberi e Uguali chiedesse con forza che al ministero della Transizione ecologica andasse la ex presidente di Legambiente Rossella Muroni, sono invece spuntate Ilaria Fontana del Movimento 5 Stelle e la leghista Vannia Gava. LeU ha invece confermato la ex sottosegretaria al Lavoro Maria Cecilia Guerra (Articolo 1) spostandola all’Economia. Quel che resta della sinistra non passata all’opposizione sembra volersi immolare sulla trincea della difesa del ministro della Salute Roberto Speranza, che in questi giorni sembra più il ministro della Croce Rossa sul quale sparano a palle di cannone Salvini e tutta la destra, governativa e all’opposizione.

Tra le due sottosegretarie alla Transizione ecologica la leghista Gava, che faceva parte della Commissione di inchiesta sui rifiuti e che era già stata, senza infamia e senza gloria, sottosegretario all’Ambiente nel governo Conte 1 (Lega-M5S), sembra la meno attrezzata (ma al peggio non c’è mai fine) per assumere una delega alla biodiversità e alle aree protette: scarsissima la sua attività parlamentare autonoma in campo ambientale, che si limita a un paio di interrogazioni sul tema dei rifiuti e in appoggio alla battaglia della Lega contro la plastic tax. La Gava ha poi co-firmato una serie di proposte di legge leghiste che quasi mai hanno al centro l’ambiente e mai la biodiversità o i parchi, e che comunque sono in gran parte sideralmente lontane da una qualche idea di transizione ecologica.

Il curriculum della Fontana – che sembra essere una delle leader emergenti del M5S – è meno ambientalmente scarno: faceva parte della commissione Ambiente della Camera, si e è occupata soprattutto di economia circolare e rifiuti, ma tra le sue attività parlamentari ha anche qualche interrogazione nel campo della tutela della biodiversità, come l’istituzione delle arre marine protette di Capo Zafferano e Golfo di Taranto, sui parchi geominerari e delle miniere-museo e una proposta di “Modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, in materia di esercizio delle funzioni di guardiaparco da parte dei dipendenti degli organismi di gestione di aree naturali protette ai fini della sorveglianza sui territori delle medesime”.

Anche la novità della nomina di Enrico Giovannini (Club di Roma e già portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) a ministro delle Infrastrutture potrebbe essere “anestetizzata” dalla nomina a sottosegretari di due fan dello sviluppismo vecchio stile e delle grandi opere come la ex ministra dell’Agricoltura, la renziana Teresa Bellanova, e il leghista Alessandro Morelli, ex direttore di Radio Padania. A fare la guardia ai Trasporti e alle infrastrutture sostenibili resta Giancarlo Cancelleri del M5S, che non ha certo brillato nello stesso ruolo nel governo Conte II (M5S-PD-LeU).

Lo sviluppo economico sembra essere saldamente in mani leghiste: un’egemonia che le nomine a viceministri di Gilberto Pichetto Fratin (una vita in migrazione tra Forza Italia, Udc e partitini vari del centro-destra) e Alessandra Todde (M5S), oltre alla sottosegretaria di Anna Ascani (Pd), già viceministro dell’Istruzione nel governo Conte II, non sembrano minimamente scalfire.

L’impressione è che quello che era stato annunciato come il governo dei migliori stia sprofondando – a partire dall’ambiente – nella mediocrità e nel già visto e che il sacrificio del ministero dell’Ambiente, se non si correrà presto ai ripari, significherà solo un peggioramento della già scarsa attenzione della politica italiana per la salvaguardia della biodiversità e delle risorse ecosistemiche, con le ricadute a catena che tutto questo comporterà per una transizione ecologica vera e che cambi i paradigmi produttivi e dei consumi.

Ovvero quello che ha appena chiesto sir David Attenborough al Consiglio di sicurezza dell’Onu di fronte ai potenti del mondo. Un drammatico appello che evidentemente non è arrivato nelle stanze della politica dove ci si spartivano i sottosegretari.

Non ci resta che aspettare i nuovi ministri, viceministri e sottosegretari alla prova della transizione ecologica e dei summit mondiali che dovranno darle forza e gambe, con obiettivi obbligatori per tutti i Paesi.  La partenza sembra falsa e già vista. Una transizione alla normalità di una politica auto-paralizzante, gattopardesca, che fa finta di accettare le novità perché tutto resti come è.

Speriamo di essere smentiti e sorpresi da una nuova consapevolezza di una politica italiana che, più che alla transizione ecologica, sembra preoccupata di come far transitare da Bruxelles alla casse romane i 209 miliardi del Recovery fund.