Se fossero cuccioli. I rifugiati della conservazione (VIDEO)

Le riflessioni di Survival sul leone Cecil, i safari e i diritti popoli indigeni

[12 Agosto 2015]

Domenica, 9 agosto, è stata la Giornata internazionale Onu per i popoli indigeni. Una ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel 1994 per richiamare l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica sulle sistematiche violazioni dei diritti umani subite dai popoli indigeni di ogni continente.
Un’occasione importante per denunciare una delle crisi umanitarie più urgenti e raccapriccianti del nostro tempo, che l’ONU stesso ha definito “i più silenziosi olocausti dell’umanità”. Un’opportunità concreta per dar seguito ai doverosi atti di contrizione e sdegno celebrati ogni anno il 27 gennaio, nel Giorno della Memoria, quando ognuno di noi ribadisce con dolore “mai più”.
Ma a parte qualche rarissima eccezione, di questo atto di solidarietà e giustizia verso popoli che le nostre società industrializzate continuano a sottoporre a violenza genocida, a schiavitù e razzismo nel nome del “progresso” e della “civilizzazione”, in Italia non si è vista traccia.
Eppure, le occasioni non sono mancate. Basti pensare al caso di Cecil, il leone ucciso da un cacciatore di trofei in Zimbabwe, e al problema del bracconaggio, a cui è stata data ampia copertura in questi giorni.
Gli organi d’informazione avrebbero potuto sfruttare proprio la cronaca per parlare delle responsabilità di un’industria della conservazione che, mentre incoraggia i collezionisti di trofei a uccidere in cambio di denaro, accusa gli indigeni di “bracconaggio” solo perché cacciano per procurarsi il cibo sottoponendoli al rischio di arresti, pestaggi, torture e morte.
Avrebbero potuto denunciare gli effetti drammatici e paradossali di un modello di conservazione che anziché riconoscere il ruolo cruciale giocato dai popoli indigeni nel proteggere flora e fauna e alimentare la biodiversità, li sfratta illegalmente dalle terre ancestrali per trasformarle in parchi e riserve. Come ben documenta la campagna di Survival Parks Need Peoples, i rifugiati della conservazione oggi sono milioni, e si tratta in gran parte di comunità indigene condannate a perdere, insieme alle loro terre, anche l’autosufficienza, la salute e spesso la vita.
Ma non l’hanno fatto.
A noi resta l’amarezza di constatare, ancora una volta, che se fossero cuccioli, i popoli indigeni probabilmente avrebbero maggiori possibilità di sopravvivere. E il difficile compito di continuare a lottare con risorse impari per dare loro una voce. A beneficio non solo della nostra umanità ma anche di flora e fauna. Perché, senza i popoli indigeni, domani non avremo più né natura né futuro.

Francesca Casella
Survival International Italia