Scoperto l’antenato della pseudorca e dei delfini che si nutrono di mammiferi marini
Nuovo studio di università di Pisa e New York Institute of Technology ha fatto luce anche sull’origine dell’orca
[8 Marzo 2022]
Quando è che i cetacei hanno cominciato a nutrirsi di altri mammiferi marini? Secondo lo studio “The origins of the killer whale ecomorph”, pubblicato su Current Biology da un team di paleontologi dell’università di Pisa e del New York Institute of Technology, «Probabilmente in tempi molto recenti»,
Lo studio, frutto del ritrovamento in Grecia di uno straordinario delfino fossile, simile e imparentato con l’attuale pseudorca (Pseudorca crassidens), riscrivere la storia evolutiva di questi grandi predatori dei mari. All’università di Pisa spiegano che «Questo fossile è stato, infatti, ritrovato insieme al suo ultimo pasto, rappresentato da resti di pesci. La conferma arriva anche dallo studio di un reperto scoperto in Toscana oltre un secolo fa, parente stretto dell’attuale orca (Orcinus orca)».
I ricercatori ricordano che «La pseudorca e l’orca sono gli unici cetacei attuali che si nutrono di altri mammiferi marini. Le pseudorche catturano spesso altri delfini, mentre le orche predano non solo foche e piccoli cetacei ma anche balenottere lunghe più di 10 metri. Entrambi questi cetacei si nutrono di grosse prede che cacciano in branchi, sferrando potenti morsi per lacerare la carne delle loro vittime in maniera analoga agli squali. Fino ad oggi, però, mancavano delle prove fossili che illustrassero l’origine di questo comportamento alimentare, sebbene le analisi genetiche indichino che esso si sia evoluto indipendentemente nelle due linee evolutive distinte dell’orca e della pseudorca».
Le ricerche sono state svolte in due siti separati da oltre un secolo di storia: un nuovo straordinario reperto fossile da poco rinvenuto a Rodi, in Grecia, e l’unico antenato della moderna orca, scoperto a Cetona, in Toscana, nella seconda metà dell’800.
All’ateneo pisano ricordano che «Il fossile di Rodi consiste di uno scheletro scoperto nel 2020 da Polychronis Stamatiadis, esperto di geologia e di paleontologia, nelle rocce argillose che affiorano nella baia di Pefkos sulla costa sudorientale dell’isola. Queste rocce derivano da sedimenti che si deposero sul fondale marino tra 1,5 e 1,3 milioni di anni fa. Il fossile rappresenta uno dei più completi scheletri di cetacei del Pleistocene mai rinvenuti fino ad ora».
Giovanni Bianucci, paleontologo del Dipartimento di scienze della Terra dell’università di Pisa e primo autore dello studio pubblicato su Current Biology racconta come è andata: «Appena ho ricevuto da Polychronis le foto di questo reperto mi sono subito reso conto dell’importanza di questa scoperta, confermata poi dalla mia visita a Rodi dove, grazie all’ospitalità di Polychronis, ho avuto modo di studiare in dettaglio il reperto. Durante lo studio ho potuto constatare che si trattava di un delfino nuovo alla scienza, un cetaceo affine alla pseudorca ma con alcuni caratteri del globicefalo, che abbiamo chiamato Rododelphis stamatiadisi dedicandolo all’isola greca dove è stato ritrovato ed al suo scopritore».
Ma Bianucci e i suoi colleghi Sara Citron e Alberto Collareta e Jonathan Geisler del New York Institute of Technology e del National Museum of Natural Hystory di Washington D.C. volevano capire anche di cosa e come si nutrisse questo nuovo delfino: era un feroce predatore che catturava anche altri cetacei come fanno oggi l’orca e la pseudorca o si alimentava in maniera più tranquilla in acque profonde aspirando per suzione polpi e calamari come il globicefalo?
I ricercatori rispondono che «Lo studio del cranio e dei denti chiariscono solo in parte questi dubbi sulle abitudini alimentari di Rododelphis. Se è vero, infatti, che il delfino di Rodi presenta alcune affinità macropredatorie con pseudorca, quali la presenza di 11 denti robusti impiantati sulla mandibola e l’ampia fossa temporale (l’area del cranio dove si inserisce la muscolatura boccale); d’altra parte la forma arrotondata della mandibola, la posizione arretrata dell’ultimo dente mascellare e l’usura limitata dei denti sono caratteri che si riscontrano nel globicefalo e in altri cetacei che praticano la suzione».
Collareta evidenzia che «La soluzione di questo rompicapo viene dall’eccezionale ritrovamento dei resti fossili dell’ultimo pasto del delfino di Rodi, rinvenuti intorno allo scheletro al momento dello scavo e della sua preparazione. Si tratta di otoliti, concrezioni di carbonato di calcio che si trovano nell’orecchio interno dei vertebrati. Gli otoliti sono spesso l’unica parte che si conserva allo stato fossile nei pesci. Quelli trovati associati a Rododelphis appartengono a Micromesistius poutassou, comunemente noto con il nome di melù, un pesce che vive tutt’oggi anche nel Mediterraneo tra 300 e 400 metri di profondità circa. Grazie all’esame di questi otoliti è stato anche possibile stimare intorno ai 30 cm la lunghezza dei pesci catturati dal delfino».
Grazie al ritrovamento di questi otoliti, gli scienziati hanno capito che «Rododelphis si cibava di pesci di media taglia e quindi che, forse, non era in grado di catturare altri delfini, come invece fa la pseudorca; ma anche che, diversamente dal globicefalo, non si nutriva di piccoli cefalopodi».
Mentre Polychronis scopriva lo scheletro di Rododelphis, la Citron aveva appena terminato la sua tesi di laurea magistrale in conservazione ed evoluzione all’università di Pisa sull’Orcinus citoniensis, l’orca fossile scoperta a Cetona in sabbie marine plioceniche di 3-4 milioni di anni fa. Uno scheletro eccezionale che fu descritto per la prima volta nel 1883 dal grande naturalista Giovanni Capellini che ha dato il nome al Museo di Geologia e Paleontologia dell’Università di Bologna, dove il fossile è tutt’ora conservato ed esposto. Ora la Citron racconta che «Con il mio lavoro di tesi, ho avuto l’occasione di studiare in dettaglio questo fossile e di ricavare indizi importanti sulla dieta di questo antenato del più grande predatore attivo tra tutti i cetacei attuali. L’orca di Cetona sembra una versione ridotta della specie attuale Orcinus orca: la forma del suo scheletro è molto simile alla specie moderna, ma la lunghezza del corpo non doveva superare di molto i tre metri, circa la metà dell‘orca attuale. Con una taglia così piccola è quindi improbabile che Orcinus citoniensis fosse in grado di catturare grosse prede come fa invece la specie attuale. Il cranio presenta un rostro più lungo e più stretto e una fossa temporale più piccola rispetto a Orcinus orca, supportando ulteriormente l’ipotesi che anche l’orca di Cetona, come il delfino di Rodi, non fosse in grado di catturare prede grandi come delfini o balene».
E’ emerso che l’usura e la microusura apicale dei denti di Orcinus citoniensis confermano le osservazioni fatte sulla forma del cranio e sulla taglia: «Queste abrasioni, causate dall’attività di predazione, sono compatibili con un’alimentazione a base di pesce, in analogia con quanto osservato in alcune popolazioni attuali di orche». Lo studio condotto dalla Citron suggerisce, quindi, che «Anche Orcinus citoniensis si alimentasse di pesci di media taglia».
Rimaneva da capire quali fossero le relazioni di parentela tra queste due specie fossili e le attuali orca e pseudorca e i ricercatori spiegano che «Per risolvere questo mistero è stato necessario ricostruire la filogenesi (una sorta di albero genealogico) dei Delfinidi, la famiglia di cetacei di cui fanno parte il delfino di Rodi, la pseudorca, l’orca di Cetona e l’orca attuale. Lo studio ha messo in evidenza speciali affinità di Rododelphis e Orcinus citoniensis rispettivamente con Pseudorca e Orcinus orca. In pratica, questa analisi ha confermato che il delfino di Rodi e l’orca di Cetona rappresentano due stadi evolutivi simili ma distinti che hanno poi portato all’orca ed alla pseudorca attuali. In questa fase la predazione avveniva preferenzialmente ai danni di pesci di taglia media, piuttosto che su foche, delfini, balene e altri tetrapodi come invece nelle due specie attuali. Riuscire a catturare pesci di media taglia può essere considerata una tappa evolutiva intermedia verso l’alimentazione di tetrapodi. Questo avvenne in tempi molto recenti, quando le balene erano già molto grandi. Non fu quindi la predazione delle orche, come invece ipotizzato in passato da qualcuno, ad accelerare la tendenza al gigantismo delle balene».
Bianucci conclude: «Questo studio fornisce un piccolo ma importante tassello per arrivare a comprendere appieno la messa in posto della fauna moderna a delfinidi e più in generale a cetacei, ancora in gran parte avvolta nel mistero a causa dell’estrema scarsità globale di fossili significativi di cetacei del Pleistocene. Il ritrovamento di Rododelphis incoraggia a continuare ad indagare aree come la Grecia e l’Italia meridionale dove sono abbondantemente esposti sedimenti marini pleistocenici, potenzialmente ricchi in cetacei fossili».