Ma molte specie sono già a rischio per il riscaldamento globale e le attività antropiche

Scoperte 12 nuove specie nelle profondità dell’Oceano Atlantico (VIDEO)

Il progetto Deep Sea ha gettato le basi per salvaguardare l'oceano per le generazioni future

[29 Dicembre 2020]

Il progetto ATLAS, la più approfondita valutazione degli ecosistemi di acque profonde dell’Oceano Atlantico effettuata fino ad oggi ha portato alla scoperta di nuove specie, fornito maggiori approfondimenti sulla biodiversità e una migliore comprensione degli impatti dannosi dei cambiamenti climatici.

ATLAS, che ha coinvolto più di 80 ricercatori provenienti da 13 Paesi che si affacciano sul Nord Atlantico ha anche fornito ai governi e all’industria strumenti per garantire che le risorse dell’oceano siano utilizzate in modo più sostenibile.

Negli ultimi 4 anni, gli scienziati di ATLAS hanno partecipato a 45 spedizioni di ricerca che hanno apportato un cambiamento radicale nelle conoscenze sugli ecosistemi delle acque profonde del Nord Atlantico  ma gli scienziati avvertono che «Gli ecosistemi delle acque profonde, tuttavia, sono ad alto rischio». ATLAS ha dimostrato che negli ultimi 150 anni l’Atlantic Meridional Overturning Circulation è rallentata in modo eccezionale a causa dei cambiamenti climatici e «I risultati suggeriscono anche che, entro il 2100, il riscaldamento degli oceani, l’acidificazione e la diminuzione dell’approvvigionamento alimentare potrebbero alterare drasticamente la disponibilità e la posizione di habitat adatti per i coralli di acqua fredda che formano l’habitat e per i pesci di acque profonde commercialmente importanti».

Il coordinatore del progetto ATLAS, J Murray Roberts della School of Geo Sciences dell’università di Edimburgo, sottolinea che  «Le implicazioni di questo sono complicate, ma potenzialmente le connessioni tra gli ecosistemi si stanno riducendo perché le correnti oceaniche sono le autostrade che collegano insieme diversi habitat nella vastità dell’oceano profondo. Tutti sanno quanto sia importante prendersi cura delle foreste pluviali tropicali e di altri preziosi habitat sulla terraferma, ma pochi si rendono conto che ci sono altrettanti, se non di più, posti speciali nell’oceano. Ad ATLAS abbiamo studiato gli ecosistemi più vulnerabili nelle profondità dell’Atlantico e ora comprendiamo quanto siano importanti, interconnessi e fragili».

Le ricerche di ATLAS hanno portato alla scoperta di più di 30 comunità dei fondali marini e alla descrizione di almeno 12 nuove specie, tra le quali la Myonera atlasiana che prende il suo nome dal progetto che ha anche valutato il valore economico e sociale delle profondità marine e ha riscontrato un forte sostegno tra l’opinione pubblica per strategie di gestione degli oceani più sostenibili. Roberts conferma: Abbiamo scoperto che le persone dall’altra parte dell’Atlantico vogliono vedere ecosistemi di acque profonde sani per i loro figli e nipoti. La sfida per il prossimo decennio consisterà nel cogliere questa nuova comprensione scientifica e sociale e utilizzarla per creare piani e politiche migliori per attività umane veramente sostenibili nell’oceano».

Jake Rice, di Fisheries and Oceans Canada e presidente dell’Advisory Board di ATLAS, ricorda che «Quando sono stato invitato a presiedere l’Advisory Board di ATLAS, sono stato attratto dalla portata della sfida che veniva raccolta, dall’ampiezza delle discipline che comprende ATLAS, dalla profondità delle competenze dei ricercatori e dalle opportunità offerte da questo mix. E’ un punto culminante della mia carriera essere stato in grado di svolgere anche un piccolo ruolo nei risultati di ATLAS e condividere la sua eredità».

ATLAS è stato finanziato dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione europea ed è stato realizzato grazie a una collaborazione tra Unione europea, Canada e Stati Uniti. Il progetto iAtlantic da 10 milioni di euro, iniziato nel 2019, si basa sul lavoro pionieristico di ATLAS e utilizza le più recenti tecnologie per valutare la salute dell’oceano e per aiutare i governi a creare politiche per proteggerlo meglio.

Le 12 specie nuove per la scienza erano sfuggite alla scoperta perché il fondo del mare è praticamente inesplorato. Come ha sottolineato George Wolff, un chimico oceanico dell’università di Liverpool che ha partecipato al progetto: «Possiamo ancora dire di avere mappe migliori della superficie della Luna e di Marte che del fondo marino. Quindi, ogni volta che vai nelle profondità dell’oceano, trovi qualcosa di nuovo: non solo singole specie ma interi ecosistemi».

Gli scienziati avvertono che «Gli animali appena scoperti potrebbero essere già minacciati dal cambiamento climatico. L’anidride carbonica assorbita dall’oceano lo rende più acido, provocando la corrosione in particolare degli scheletri dei coralli». Ma hanno sottolineato che  «Non è troppo tardi per proteggere queste specie speciali e gli importanti habitat che occupano».

Roberts ha detto a BBC News che «Quasi cinque anni di esplorazione e indaginie hanno rivelato alcuni luoghi speciali e abbiamo capito come funzionano. Abbiamo trovato intere comunità formate da spugne o coralli oceanici profondi che formano delle città delle profondità marine. Sostengono la vita. Quindi i pesci molto importanti usano questi luoghi come terreno di riproduzione. Se quelle città vengono danneggiate da usi umani distruttivi, quei pesci non hanno un posto dove deporre le uova e la funzione di quegli interi ecosistemi è persa per le generazioni future. E’ come capire che la foresta pluviale è un luogo importante per la biodiversità sulla terraferma; lo stesso vale per il mare profondo: ci sono luoghi importanti che devono essere protetti e, soprattutto, sono tutti collegati».

Il progetto ha combinato chimica e fisica oceanica, oltre a scoperte biologiche, per capire come l’ambiente oceanico sta cambiando mentre il mondo si riscalda e mentre gli esseri umani sfruttano di più le acque profonde per la pesca e l’estrazione di minerali.

Claire Armstrong, economista delle risorse naturali dell’università di Tromsø, fa notare che «Il valore di tutta questa conoscenza è che ci consente di capire cosa potremmo rischiare di perdere. L’oceano profondo può essere così lontano dalla vista e dalla mente che non siamo realmente consapevoli di ciò che stiamo facendo ai suoi ambienti e delle conseguenze di ciò che facciamo».

Con una popolazione globale in crescita, un inquinamento crescente e attività economiche emergenti che puntano allo sfruttamento delle profondità marine, compresa la ricerca di prodotti utili dal punto di vista medico e industriale, gli scienziati marini affermano che «E’ fondamentale colmare le lacune nella nostra conoscenza degli oceani».

La Armstrong conclude: «L’oceano non è una risorsa infinita. Salvaguardarlo e sapere di cosa potremmo aver bisogno in futuro è davvero molto difficile».

Videogallery

  • Understanding deep Atlantic ecosystems - final overview of ATLAS