Scimpanzé in via di estinzione contaminati da pesticidi

I primati selvatici vengono esposti a un cocktail di sostanze chimiche nocive anche nei parchi nazionali

[26 Maggio 2023]

Lo studio “Associations between faecal chemical pollutants and hormones in primates inhabiting Kibale National Park, Uganda”, pubblicato su Biology Letters da un team internazionale di ricercatori ha scoperto che le feci di 4 specie di primati che vivono nel Kibale National Park in Uganda – scimpanzé (Pan troglodytes), colobi rossi ugandesi (Piliocolobus tephrosceles), babbuini verdi (Papio anubis) e cercopitechi nasobianco del Congo (Cercopithecus ascanius) –   contenevano livelli significativi di pesticidi e ritardanti di fiamma, suggerendo che le sostanze chimiche potrebbero avere un impatto sulla salute e sullo sviluppo delle scimmie.

Le femmine e i loro cuccioli sono risultati i più colpiti dall’intossicazione e i ricercatori collegano gli inquinanti a ivelli più elevati di stress e ormoni riproduttivi in ​​questi animali e dicono che «Questo suggerisce che i composti potrebbero interrompere il loro funzionamento corporeo e influenzare potenzialmente la loro crescita e sviluppo.

La principale autrice dello studio, Tessa Steiniche del Kibale Chimpanzee Project e del Department of human evolutionary biology dell’Harvard University, spiega che «L’alterazione endocrina nei giovani è particolarmente preoccupante perché l’esposizione a queste sostanze chimiche durante i periodi critici dello sviluppo può avere un impatto davvero duraturo».

I ricercatori avvertono che «Le sostanze chimiche presenti in questo studio potrebbero essere solo la punta dell’iceberg, con più composti che potrebbero avere un impatto su questi primati» e la Steiniche aggiunge che «Purtroppo per questi primati i vantaggi di vivere in un’area “protetta” non includono davvero la protezione dall’inquinamento chimico, L’attività antropica intorno al Parco, e persino il turismo e la ricerca al suo interno, possono introdurre sostanze chimiche potenzialmente dannose. E’ probabile che il nostro studio graffi solo la superficie rispetto alla suite di sostanze chimiche che questi primati stanno incontrando».

Durante l’ultimo secolo c’è stato un aumento senza precedenti dell’inquinamento in tutto il pianeta: dalle microplastiche nell’Artico e all’interno dei nostri corpi, alle acque reflue nei nostri fiumi e mari, influenza le nostre vite su una scala che dobbiamo ancora comprendere appieno.

Tra i molti diversi tipi di inquinamento, gli inquinanti chimici sono forse i meglio conosciuti. Molti studi hanno rivelato gli effetti che possono avere sulla vita a diversi livelli: ad esempio, la crescita delle alghe può essere danneggiata dagli antibiotici nell’acqua limitando la loro capacità di effettuare la fotosintesi. All’altra estremità del vivente, grandi mammiferi marini come le orche assassine sono note per essere contaminate da sostanze chimiche come i bifenili policlorurati (PCB), un gruppo di sostanze chimiche precedentemente utilizzate come refrigeranti che  possono interferire con il sistema immunitario e la riproduzione delle orche mentre si accumulano nel loro grasso.

Ma la ricerca sugli animali e altri organismi in natura è stata problematica e gli studi hanno utilizzato esperimenti di laboratorio che possono trascurare il modo in cui le miscele di sostanze chimiche influiscono sulla salute o si basano su campioni di animali morti che possono avere livelli di inquinanti molto più elevati rispetto alla media.

Più di recente, gli scienziati hanno fatto ricorso a tecniche di biomonitoraggio che consentono loro di studiare gli animali selvatici nel loro habitat, un metodo utilizzato anche dal team che ha realizzato il nuovo studio che ha prelevato campioni di cacca delle 4 specie di primati nel Kibale National Park, il che ha permesso loro di misurare i livelli non solo degli inquinanti, ma anche degli ormoni che potrebbero influenzare.

La Steiniche sottolinea che «La tossicologia ha subito una rinascita negli ultimi decenni con il miglioramento dell’etica degli animali, e il biomonitoraggio fecale può offrire un approccio davvero prezioso. Sebbene i campioni fecali non siano esattamente la matrice più pulita con cui lavorare, l’opportunità di studiare gli impatti dell’inquinamento negli animali selvatici senza alcun tipo di danno o manipolazione è piuttosto evidente».

Analizzando i campioni, i ricercatori hanno trovato nelle feci dei primati 97 diversi inquinanti che sono stati raggruppati in tre gruppi principali: pesticidi organoclorurati (OCP), ritardanti di fiamma bromurati (BFR) ed esteri organofosfati (OPE) utilizzati nella produzione di plastica. Secondo il team di ricerca «E’ probabile che gli animali siano stati esposti a questi composti razziando il cibo dalle fattorie che circondano il parco nazionale, oltre a incontrare rifiuti elettrici e di plastica all’interno della foresta».

Nelle feci dei primati alcune sostanze chimiche erano particolarmente comuni: un BFR è stato trovato in oltre il 70% dei campioni di tutte e quattro le specie. Dato che gli esperimenti sui topi hanno dimostrato che i mammiferi esposti ai BFR in giovane età non riescono bene a espellere il BFR, potrebbe significare che queste sostanze chimiche si stanno accumulando in questi primati e che  li espongono a un rischio maggiore di effetti dannosi per la salute. I ricercatori ritengono anche che anche gli animali più giovani siano maggiormente a rischio perché livelli più elevati di BFR nei primati giovani erano associati a livelli più bassi dell’ormone sessuale estradiolo e a livelli più elevati di cortisolo, l’ormone dello stress.

Anche se gli studi sugli effetti di queste sostanze sui mammiferi sono relativamente pochi, sono state collegate a problemi come danni al fegato, ridotta produzione di ormoni, minore sviluppo del cervello e compromissione del sistema immunitario.

I ricercatori fanno notare che «Per le specie in via di estinzione come lo scimpanzé, i risultati di questo studio aggiungono un altro onere per le popolazioni che sono già sotto pressione. Speriamo che i progetti futuri possano basarsi su questo lavoro per ottenere un quadro migliore di quanto siano contaminati gli altri animali selvatici e scoprire come vengono colpiti».

La Steiniche conclude: «I miei coautori e io siamo interessati a dare uno sguardo più da vicino alle fonti di esposizione chimica a Kibale, oltre a esplorare il motivo per cui le diverse specie sono più o meno sensibili a determinati inquinanti”. Sarà inoltre essenziale includere più dimensioni sociali nella nostra ricerca, in modo che le comunità circostanti dispongano degli strumenti e delle risorse di cui hanno bisogno per prendere decisioni informate in merito all’uso e allo smaltimento delle sostanze chimiche.