Rapporto CABS su caccia e bracconaggio in Italia: «Il Piano d’Azione è rimasto una facciata desolatamente vuota»

In Italia mancano i controlli. Scoperto solo lo 0,04% dei reati venatori

[21 Settembre 2020]

Dal 2011, il Committee Against Bird Slaughter (CABS)  raccoglie giornalmente tutte le informazioni disponibili sui  reati commessi da cacciatori e bracconieri ai danni della fauna selvatica sul territorio italiano. Dalla raccolta di questi dati viene compilato il “Calendario del Cacciatore Bracconiere”, una rassegna dei crimini compiuti ai danni della biodiversità da chi persegue per lucro o divertimento gli animali selvatici.

Al CABS dicono che «Seppur perfettibile, questo calendario fino al 2017 rappresentava l’unica fonte su base annuale di informazioni sul fenomeno del bracconaggio, dal momento che l’articolo 33 della 157/92, che richiede un resoconto annuale della vigilanza sul territorio nazionale, è tutt’oggi compilato dalle Regioni in maniera lacunosa e in alcuni casi affatto. In breve l’Italia, proprio il secondo “Stato Canaglia” del Mediterraneo per l’uccisione illegale di uccelli è il Paese dove del fenomeno della caccia e del bracconaggio non si sa quasi nulla: non si sa esattamente quanti siano i cacciatori, quanti reati vengano commessi, non si sa quanta vigilanza intervenga e con quali risultati, né quanti esemplari siano abbattuti ogni anno legalmente o illegalmente. Per ovviare a questa mancanza di informazioni, e in risposta al PILOT 5283/13/ENVI, l’Italia ha approvato il 30/03/2017 un Piano d’azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici. Conseguentemente nel maggio 2018, 2019 e 2020 sono stati rilasciati da Ispra e dal Cufa tre rapporti sull’esecuzione dello stesso piano. Pur essendo in principio i rapporti la fonte più autorevole sullo stato del bracconaggio e dell’antibracconaggio in Italia, abbiamo trovato entrambi i rapporti incompleti e a tratti manchevoli di un’analisi approfondita dei dati».

Il nuovo rapporto “Calendario del cacciatore bracconiere 2019-2020  – Un’analisi della caccia illegale in Italia” appena pubblicato dal CABS, conferma che «In Italia vi è un malcostume venatorio generalizzato: solo riguardando i post di un forum venatorio qualsiasi, in pochi minuti è facile trovare un centinaio di messaggi pubblicitari o di compravendita di richiami acustici, proibiti per la caccia, ma usati comunemente in tutto il Paese».  Oltre a questo, nel nostro Paese ci sono decine di pratiche di caccia illegali e ancora diffuse, caccia a balie e prispoloni (Brescia, Vicenza), caccia ai beccafichi (Calabria), caccia ai fringuelli, pispole e peppole (Lombardia, Veneto, Campania, Calabria, Umbria, Toscana), cacce primaverili (isole campane e laziali), caccia ai falchi pecchiaioli (Calabria), oltre a diversi tipi di uccellagione.

Il rapporto evidenzia che «Gran parte di queste forme venatorie illegali sono correttamente descritte da Ispra nel Piano d’Azione, così come correttamente sono elencate le azioni che porterebbero a un’efficace lotta al bracconaggio. Nessuna azione è stata però fino a ora portata a termine e dal 2013 – anno in cui la Commissione Europea ha aperto la procedura PILOT contro l’Italia per un insufficiente contrasto al bracconaggio agli uccelli – a livello strutturale vi sono stati solo peggioramenti: l’introduzione nel codice penale dell’art. 131 bis che permette la non punibilità per tutti i reati contro la fauna selvatica a discrezione del giudice e il depotenziamento o dissoluzione delle polizie provinciali in molte aree del Paese».

Dal lavoro di ricerca del CABS emerge che ogni anno vengono denunciate per reati venatori meno di 1.500 persone, con intere province o regioni dove risultano poche decine di casi. «Conseguentemente  – dicono i difensori dell’avifauna – o il fenomeno è puntiforme e poco grave, oppure c’è un’assenza strutturale di controlli. Sfruttando i case studies e i dati raccolti da quei nuclei di vigilanza che hanno dato prova di capacità e dedizione, la nostra conclusione è che l’Italia non ha mai sviluppato un serio sistema di contrasto al bracconaggio, con solo un 0,04% dei reati venatori portato alla luce. Complice una magistratura poco attenta a questo tipo di criminalità e un sistema sanzionatorio rimasto congelato al 1992 – per una chiara volontà politica a tutela della lobby della caccia – lo sforzo antibracconaggio si sta contraendo negli ultimi anni, come dimostra il crollo delle CNR redatte dalla polizia provinciale, non controbilanciato dal lieve aumento prodotto dai Carabinieri Forestali».

Il CABS denuncia che «Il Piano d’Azione, che doveva dare impulso a un miglioramento strutturale in nome della difesa della biodiversità, è rimasto una facciata desolatamente vuota. Agli addetti ai lavori appare evidente come siano tre i pilastri su cui strutturare un buon sistema per la lotta al bracconaggio: una normativa con sanzioni che fungano da deterrente, una vigilanza efficace e un sistema giuridico che assicuri l’effettiva punizione in caso di violazione. Il miglioramento di tutti questi aspetti era previsto dal piano d’azione, sotto forma di rafforzamento della vigilanza venatoria (Obiettivo specifico 1.2.), adeguamento del quadro sanzionatorio (Azione 2.1.1.), formazione della magistratura sulla gravità dei reati contro la fauna selvatica (Azione 2.1.2.). Niente di questo è stato realizzato. Solo per l’adeguamento delle sanzioni, come specificato nel III rapporto Ispra all’azione 2.1.1. (da completarsi entro 24 mesi), delle proposte di modifica sono contenute nel collegato ambientale alla legge di stabilità 2020, per il quale però è appena iniziato l’iter legislativo e il cui esito è tutt’altro che scontato. Oltre al nulla di fatto per i 3 punti principali, parole al vento sono rimaste anche l’uniformazione dei regolamenti delle guardie volontarie, necessaria per eliminare condizioni scoraggianti e capestro (2.1.3). Stesso discorso vale per il miglioramento della tracciabilità delle specie ornitiche detenute legalmente (Azioni 2.2.1. e 2.2.2.), così da impedire l’immissione di esemplari catturati nel mercato legale. Solo poche azioni hanno preso corpo, marginali e utili se a supporto delle azioni centrali, non in alternativa ad esse: sono aumentati I nuclei e I controlli antiveleno (Azioni 1.1.3., 1.1.4. e 1.2.4.) , funzione importante ma la cui utilità è limitata alla tutela di alcune specie di avifauna e per le quali ci sono già specifici progetti LIFE. Allo stesso modo I rimborsi a agricoltori e itticoltori (Azione 2.2.5.) sono utili per la gestione dei conflitti con alcune specie, principalmente grandi mammiferi, ma più raramente o indirettamente coinvolgono specie ornitiche».

Inoltre,  l’organizzazione internazionale antibracconaggio  dice che queste azioni, pur ampiamente descritte nei rapporto «Sono fuorvianti perché distolgono l’attenzione dagli altri ambiti su cui è necessario concentrarsi, forse con lo scopo di nasconderne le lacune. Altri due punti che a nostro parere vengono inseriti con questo obiettivo sono la sensibilizzazione (Obiettivo specifico 3.1.), fatta già da tempo dalle associazioni e I risultati dei controlli sul bracconaggio ittico, che poco hanno a che fare con la tutela dell’avifauna».

Il CABS conclude con amara ironia: «In questo quadro è notevole che la Commissione [europea]si sia ritenuta soddisfatta delle risposte addotte dall’Italia. La nostra speranza è che i dati qui apportati possano gettare luce sulle inadempienze e inaugurare un nuovo e reale processo di tutela dell’avifauna».