Più di un quarto delle foreste vergini del bacino del Congo rischiano di scomparire entro il 2050

Dal 2000 il declino delle foreste vergini nei Paesi dell'Africa centrale è notevolmente peggiorato, con una forte accelerazione negli ultimi 5 anni

[29 Novembre 2022]

Secondo il rapporto “Les forêts du bassin du Congo: État des Forêts 2021 – The State of the Congo Basin Forests 2021”, pubblicato dalll’Observatoire des Forêts d’Afrique Centrale (OFAC) e dal Center for International Forestry Research (CIFOR), se la deforestazione e il degrado forestale continueranno al ritmo attuale, «Il 27% dell’area di foreste pluviali  non disturbate nel bacino del Congo osservata nel 2020 scomparirà entro il 2050». In Africa centrale, comprese alcune aree dell’Uganda e dell’Angola, nel gennaio 2020 c’erano circa 200 milioni di ettari di foreste sempreverdi e semi-decidue, 184,7 milioni dei quali non mostravano segni di disturbo antropico, da allora le foreste intatte si sono ridotte a un ritmo accelerato e l’area di foresta indisturbata si è ridotta di 18 milioni di ettari.

La versione francese del rapporto è stata lanciata in occasione della 19esima Réunion des Parties du Partenariat pour les forêts du bassin du Congo e quella inglese è stata presentata alla COP27 Unfccc in Egitto. Secondo gli autori del primo capitolo del rapporto diretto da Juliette Dalimier, «Tra il 2015 e il 2020 si è registrato un aumento significativo del tasso annuo di disturbo della foresta pluviale, che ha interessato 1,79 milioni di ettari all’anno. Nel decennio 2005-2015 la superficie scomparsa ogni anno è stata di 1,36 milioni di ettari. Dal 2009, il tasso annuo di disturbo è aumentato in tutti i Paesi dell’Africa centrale».

Con 105,8 milioni di ettari, la Repubblica democratica del Congo (RdC) è il primo Paese dell’Africa e il secondo del mondo tropicale con la più vasta area di foresta pluviale tropicale vergine. Anche il Camerun, il Gabon e la Repubblica del Congo hanno vaste aree di foresta intatta che vanno da 19,8 milioni di ettari a 23,4 milioni di ettari.

La Dalimier. Spiega che «Prima di pubblicare questo rapporto, la foresta è stata mappata in termini di flora, fisionomia e stock di carbonio. Per la mappatura floristica sono stati presi in considerazione anche i dati dell’inventario gestionale raccolti da 105 concessioni forestali dell’Africa centrale, escluse le regioni di alta quota o acquitrinose. Sono stati analizzati circa 6 milioni di alberi di oltre 30 centimetri di diametro e che coprono quasi 90.000 ettari, il che ha permesso ai ricercatori di classificare tre gradienti floristici in base al clima, alla stagionalità e alle temperature massime, nonché all’attività umana».

Puntando soprattutto alla precisione dei risultati, gli scienziati hanno anche applicato una recente tecnica per mappare i tipi forestali a livello fisionomico, il che ha fornito loro informazioni dettagliate, sia semanticamente che spazialmente, con una risoluzione di 20 metri.  Il team di ricerca evidenzia che «Questo grado di precisione, mai visto prima per un’area geografica di questo tipo, è stato ottenuto grazie ai dati del satellite Sentinel-2 acquisiti nel 2020 e a un nuovo metodo di correzione dell’immagine che permette di riempire le aree nuvolose con osservazioni risalenti al 2018- 2019 effettuata dal satellite Sentinel-1. Questo satellite infatti non è disturbato dalle nuvole poiché funziona come un radar e questo metodo permette quindi di produrre un composito annuale coerente».

Tuttavia, a causa della scarsità di osservazioni sul campo e delle difficoltà di estrapolare gli stock di carbonio attraverso il telerilevamento, i ricercatori non sono stati in grado di determinare la distribuzione spaziale degli stock di carbonio nelle foreste dell’Africa centrale.

Grazie agli studi che hanno permesso di classificare l’area analizzata in foresta indisturbata, foresta degradata e area non forestale a livello subnazionale, gli scienziati hanno scoperto che «Le unità amministrative con poca foresta indisturbata erano più fragili perché generalmente hanno anche un percentuale più elevata di foreste degradate» e hanno scoperto che «La maggior parte dei boschi africani convertiti in piantagioni forestali tra il 1990 e il 2020 si trovano nella RdC (80.000 ha), in Camerun (70.000 ha) e in Gabon (40.000 ha)».

Sulla base di questo studio, supportato dalla Commissione Europea attraverso il progetto RIOFAC, gli scienziati sono stati anche in grado di determinare che, «Nel bacino del Congo nel suo complesso, il 5% delle aree protette si trova all’interno del perimetro di una concessione mineraria, mentre il 65% dell’area di queste concessioni  è costituito da foreste vergini o degradate».

Secondo il rapporto, «E’ nella RdC e nella Repubblica Centrafricana che il settore minerario ha il maggiore impatto sul degrado forestale e sulla deforestazione. Per non parlare dell’attività mineraria artigianale. Va notato che l’11,6% del territorio della RdC è coperto da concessioni minerarie, mentre il 35% della loro superficie è coperto da foreste».

I ricercatori hanno anche scoperto che «La deforestazione indotta dalla realizzazione delle infrastrutture necessarie per le attività minerarie su vasta scala produce effetti diretti (perdita di biodiversità) e indiretti (inquinamento degli ambienti acquatici). Allo stesso tempo, le conseguenze dell’afflusso di persone che vogliono beneficiare dei vantaggi economici dell’estrazione mineraria sono il bracconaggio e l’agricoltura di sussistenza nelle foreste adiacenti o nei loro dintorni».

Per rispondere alla necessità di alleviare la pressione che danneggia le foreste, di preservare gli ecosistemi ricchi di fauna e flora, ma anche di fornire benefici alle comunità forestali, negli ultimi 20 anni gli Stati del bacino del Congo hanno creato numerose aree protette. Ma il rapporto fa notare che «Sfortunatamente, questi sforzi sono stati vanificati dalla mancanza di fondi, risorse umane e tecniche, instabilità politica e conflitti che affliggono molti Paesi della subregione. Tutto ciò ha complicato la corretta gestione di queste aree protette». Aanche se i ricercatori sono convinti che «Le politiche di allocazione del territorio all’interno del perimetro delle aree protette siano misure preziose nella lotta alla deforestazione e al degrado forestale».

Un altro autore del rapporto, Pierre Ploton del CIFOR, sottolinea che «Le aree protette, le concessioni forestali e le foreste comunitarie consentono di ridurre notevolmente la distruzione delle foreste e di coinvolgere le popolazioni locali nella conservazione dei massicci garantendone la sussistenza».

Le fitte foreste pluviali del bacino del Congo sono le seconde al mondo per estensione dopo l’Amazzonia e costituiscono un eccezionale serbatoio di carbonio (circa 40 gigatonnellate), ma anche di biodiversità per i Paesi dell’Africa centrale e per il pianeta. Il rapporto avverte che «Non c’è più tempo da perdere per preservare queste foreste, perché quasi 60 milioni di persone dipendono direttamente da esse per la loro sussistenza e 40 milioni di abitanti urbani che vivono nelle città vicine si nutrono in parte grazie a loro».

Nelle conclusioni del rapporto, Richard Eba’ a Atyi, coordinatore regionale CIFOR per l’Africa Centrale, scrive: «L’Africa centrale è una regione prioritaria per la conservazione della biodiversità a causa del suo eccezionale patrimonio e del gran numero di specie endemiche. I suoi ecosistemi costituiscono un bene comune, sia per le generazioni attuali, i milioni di persone che beneficiano delle risorse naturali che forniscono, sia per le generazioni future. Come nel resto del pianeta, la biodiversità della sub-regione è minacciata da molti fattori, e bisogna quindi considerare che il suo futuro è responsabilità comune dei Paesi dell’Africa centrale e della comunità internazionale».