Peste suina africana nei cinghiali in Piemonte e Liguria: scattano le misure preventive

Vietata l’attività venatoria, rafforzare la biosicurezza per gli allevamenti di maiali. Le raccomandazioni del ministero della salute

[10 Gennaio 2022]

Gli esami effettuati dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (IZSPLV) su una carcassa di cinghiale ritrovata a Ovada (AL) hanno accertato che la morte è stata provocata dalla peste suina africana. A confermarlo è stato poi il Centro di Referenza Nazionale per le pesti suine (CEREP) dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche. L’IZSPLV ha individuato altri due casi di peste suina africana: a Franconalto nell’alessandrino e a Isola del Cantone in provincia di Genova.

L’area infetta individuata da ministero della salute e regioni Piemonte e Liguria  è molto più ampia e si estende in 78 Comun (54 in Piemonte e 24 in Liguria). Il 7 gennaio, in attesa dell’ordinanza ministeriale che stabilirà in dettaglio l’elenco dei Comuni compresi nella zona infetta da Peste suina africana e le misure straordinarie da attuare per limitare la diffusione della malattia, la Regione Piemonte ha chiesto ai sindaci dei Comuni interessati di «Vietare sul loro territorio l’esercizio venatorio a tutte le specie» e ha ribadito la necessità di «Rafforzare al massimo la sorveglianza nei confronti dei cinghiali e dei suini da allevamento e di innalzare al livello massimo di allerta la vigilanza sulle misure di biosicurezza nel settore domestico, con particolare riguardo a tutte le operazioni di trasporto e di movimentazione degli animali, di mangimi, prodotti e persone. Nella definizione dei confini della zona infetta verranno tenute in considerazione la continuità di areale di distribuzione del cinghiale e la presenza di barriere naturali o artificiali che possano ridurre il contatto tra popolazione di cinghiale infetta e indenne».

Marco Reggio, presidente Coldiretti Asti, ha detto: «Siamo fortemente preoccupati. Gli interventi immediati e urgenti, così come i controlli a tappeto sui cinghiali abbattuti, che da tempo chiediamo, devono ora sicuramente essere fatti e non bastano, di fronte ad uno spettro così grave e rischioso, solo i controlli eseguiti a campione, alla ricerca esclusivamente della Trichinella».

Diego Furia, direttore Coldiretti Asti, ha sottolineato che «Bisogna anche mettere mano definitivamente alla forma di tracciamento della filiera e della commercializzazione dei cinghiali abbattuti L’altra forte preoccupazione è per il danno d’immagine che questa situazione può creare diventando anche uno strumento di speculazione economica nei confronti del nostro territorio, rischiando di colpire ingiustamente i nostri allevatori che, invece, conducono i loro allevamenti con standard di bio sicurezza molto elevati. Chiediamo, pertanto, da subito di attuare tutte le misure necessarie per monitorare la situazione e contenerla il più possibile. Inoltre, per difendere i nostri imprenditori, già fortemente colpiti dalla crisi legata alla pandemia, se dovessero generarsi strumentalizzazioni e speculazioni, non esiteremo a fare causa, a richiedere il risarcimento danni ed a costituirci parte civile nei confronti di chi non ha saputo gestire correttamente la problematica del proliferare dei cinghiali e di chi ha avuto la responsabilità di farla degenerare».

Reggio e Furia concludono: «Non possiamo, però, non riconoscere l’importanza dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta che, già da mesi, si è reso disponibile ad un tavolo di lavoro, nel quale riponiamo ampia fiducia, proprio sull’emergenza sanitaria causata dalla fauna selvatica».

Il presidente dall’Ambito territoriale di caccia (ATC) di Genova, Giovanni Olivieri, ha avvertito i cacciatori liguri che la Regione «Formalizzerà quanto prima il divieto di caccia a tutte le specie e di altre attività su campo, così come previsto dai protocolli vigenti in un’area in via di completa definizione ma comprendente almeno il territorio dei comuni di: Arenzano, Busalla, Campo Ligure, Campomorone, Ceranesi, Cogoleto, Genova, Isola del Cantona, Masone, Mele, Mignanego, Roncoscrivia, Rossiglione, Sant’Olcese, Savignone, Serra Riccò, Tiglieto. Il divieto di caccia e di altre attività su campo, fonti di disturbo per la fauna selvatica è finalizzato a cercare di evitare la dispersione di eventuali altri cinghiali infetti nei territori limitrofi a quello interessato e quindi a contenere l’espandersi dell’epidemia». Olivieri, ha raccomandato a tutti i cacciatori di non  esercitare l’attività venatoria in quei comuni dell’ 8 gennaio e «Chiunque rinvenga, sull’intero territorio dell’Atc, una carcassa di cinghiale a non manipolarla e a segnalare tempestivamente il fatto agli organi competenti».

Come spiega il Ministero della Salute «La Peste suina africana (PSA) è una malattia virale che colpisce suini e cinghiali. Altamente contagiosa e spesso letale per gli animali, non è, invece, trasmissibile agli esseri umani. Le epidemie hanno pesanti ripercussioni economiche nei Paesi colpiti»

Dal 2014 una grossa epidemia di Peste Suina Africana sta interessando alcuni Paesi dell’Est Europa. Attualmente la PSA è diffusa in Polonia, Germania, Estonia, Lettonia, Slovacchia, Grecia, Lituania, Romania, Ungheria, Bulgaria, con migliaia di focolai registrati negli allevamenti di suini domestici e nei cinghiali selvatici.

Il primo caso di malattia nei cinghiali selvatici in Europa è stato segnalato in Belgio nel  2018, evidenziando una rapida preoccupante deffusione della PSA verso l’Europa occidentale. Grazie a un piano di controllo rigoroso e costoso, il Belgio  ha eradicato la malattia a fine 2020. A settembre 2020 il virus è stato rilevato in Germania in alcune carcasse di cinghiale trovate a ridosso del confine con la Polonia.

Fuori dall’Unione europea, la PSA sta interessando alcuni Paesi africani, Russia, Ucraina, Moldova, Cina, India, Filippine e diverse aree dell’Estremo Oriente.

In Italia, la PSA era finora presente, fin dal 1978,  solo in dove la persistenza dell’infezione è stata facilitata dalla diffusione di allevamenti di tipo familiare e da pratiche tradizionali come l’allevamento brado che hanno favorito il continuo passaggio del virus tra animali selvatici e domestici. Il ministero della salute ammette che  anche «La drasticità di alcune delle misure adottate, la scarsa collaborazione da parte degli allevatori e le difficoltà di applicazione del divieto di pascolo brado, hanno determinato l’insuccesso dei piani di sorveglianza e delle misure di controllo adottate». Anche se fonora si era riusciti ad impedire l’ingresso della malattia nell’Italia continentale.

Negli ultimi anni l’approccio alla lotta alla malattia è stato radicalmente rivisto: «L’istituzione, nel 2016, dell’Unità di Progetto, un gruppo di esperti in materia di PSA dedicato all’implementazione del piano di eradicazione, con particolare riferimento alle attività di sorveglianza negli allevamenti, alla verifica dell’applicazione delle misure di biosicurezza, alla lotta all’allevamento illegale e alla pratica del pascolo brado, ha consentito di coniugare la tipicità delle produzioni e dei metodi di allevamento con adeguati requisiti di biosicurezza, innalzamento degli standard di allevamento, implementazione dei controlli ufficiali, identificazione individuale dei suini, e soprattutto l’abbattimento dei capi detenuti illegalmente. Un grado di consapevolezza sensibilmente maggiore è stato raggiunto anche grazie alle campagne di informazione rivolte ad allevatori, cacciatori e addetti del settore. Tutto ciò si è tradotto in un netto miglioramento della situazione epidemiologica, con una notevole riduzione del numero di focolai negli allevamenti domestici (nessun focolaio dal 2018) e nei cinghiali, e il drastico calo degli animali bradi illegali, favoriti da un rapporto di collaborazione e fiducia sempre più stretto ed efficace tra autorità sanitarie, allevatori e cacciatori. Oltre che negli allevamenti, ed in base ai diversi livelli di rischio individuati, la sierosorveglianza si effettua anche sulla popolazione cacciata nel corso della stagione venatoria. Il controllo della malattia nel selvatico rappresenta, infatti, uno dei pilastri nella lotta per l’eradicazione della malattia».

Il ministero ricorda che «A partire dal 2020, in ottemperanza alla strategia di contrasto alla malattia adottata dalla Commissione europea in conseguenza all’epidemia che sta attraversando l’Europa dal 2014, l’Italia ha adottato un Piano nazionale di sorveglianza e prevenzione che contempla una parte dedicata esclusivamente all’eradicazione in Regione Sardegna (…) A partire dal 2021, il Piano Nazionale di Sorveglianza per PSA prevede un nuovo sistema di sorveglianza anche per Peste Suina Classica (PSC), disponendo che tutti i campioni di suini domestici, prelevati nell’ambito delle attività di sorveglianza passiva per PSA, siano testati anche per PSC. La strategia di sorveglianza si basa sulla ricerca virologica del genoma virale per entrambe le Pesti Suine».

Il ministero della salute ha pubblicato alcune raccomandazioni per evitare la diffusione della Peste suina africana:

Chiunque provenga da aree in cui la malattia è presente può rappresentare un veicolo inconsapevole di trasmissione del virus agli animali. Informarsi sui canali ufficiali sulla diffusione della malattia.

Anche i cinghiali, liberi di avvicinarsi alle zone antropizzate, oramai rappresentano uno dei mezzi di diffusione del virus, qualora entrino in contatto con allevamenti che non rispettano le norme di biosicurezza o con rifiuti alimentari abbandonati o con lavoratori del settore domestico.

E’ indispensabile adottare una serie di comportamenti corretti e di precauzioni per prevenire la diffusione della malattia.

Per tutti: Non portare in Italia, dalle zone infette comunitarie, prodotti a base di carne suina o di cinghiale, quali, ad esempio, carne fresca e carne surgelata, salsicce, prosciutti, lardo, che non siano etichettati con bollo sanitario ovale; Smaltire i rifiuti alimentari, di qualunque tipologia, in contenitori idonei e chiusi e non somministrarli per nessuna ragione ai suini domestici o ai cinghiali; Non lasciare rifiuti alimentari in aree accessibili ai cinghiali; Informare tempestivamente i servizi veterinari del ritrovamento di una carcassa di cinghiale.

Per i cacciatori: Pulire e disinfettare le attrezzature, i vestiti, i veicoli e i trofei prima di lasciare l’area di caccia; eviscerare i cinghiali abbattuti solo nelle strutture designate; evitare i contatti con maiali domestici dopo aver cacciato.

Per gli allevatori: Rispettare le norme di biosicurezza, in particolare il cambio di abbigliamento e calzature quando si entra o si lascia l’allevamento e scongiurare i contatti anche indiretti con cinghiali o maiali di altri allevamenti; notificare tempestivamente ai servizi veterinari sintomi riferibili alla PSA e episodi di mortalità anomala.