Riceviamo e pubblichiamo

Pernici rosse all’Isola del Giglio? Non è una buona idea

La loro possibile immissione «appare inopportuna sia per la specie in oggetto che per il messaggio concettualmente distorto da essa veicolato, ovvero far passare un’operazione di interesse venatorio come una forma di conservazione della biodiversità»

[12 Gennaio 2021]

Con riferimento all’articolo apparso su Il Tirreno (edizione di Grosseto) in data 3 gennaio 2021 dal titolo “Pernice rosse da liberare. Così si favorisce la biodiversità”, riguardante la possibile immissione a scopo venatorio di pernici rosse (Alectoris rufa) di allevamento all’isola del Giglio, chiedo ospitalità a Greenreport per esprimere la mia opinione in merito a quanto in esso riportato.

All’Università di Pisa da ormai venti anni mi occupo di genetica della conservazione e gestione della pernice rossa. Questa specie in Italia sopravvive con pochi nuclei in Piemonte orientale e in Liguria, e all’isola d’Elba dove risiede la popolazione naturale italiana di maggior pregio.

In tutto il suo areale di distribuzione (Italia-Francia-Spagna-Portogallo) la pernice rossa è minacciata dal rimescolamento genetico dovuto ad un intenso commercio internazionale di soggetti di allevamento, condotto senza alcun rispetto della struttura genetica spaziale e dell’identità delle sue diverse sottospecie. Nelle operazioni di ripopolamento è infatti consuetudine impiegare pernici rosse provenienti da porzioni assai lontane dell’areale distribuzione. Si tratta di animali che possiedono adattamenti (di tipo comportamentale, fisiologico, etc.) assai diversi da quelli delle pernici locali e, come tali, potenzialmente dannosi per la sopravvivenza delle popolazioni al rinforzo delle quali sono destinati.

La lettura del sopra citato articolo genera molta apprensione per una serie di ragioni. La prima, è relativa all’immissione di una risorsa alloctona quale è la pernice rossa per l’isola in questione. Sebbene il Giglio sia stato collegato con la terraferma ai tempi dell’ultimo massimo glaciale (c. 22.000 anni fa), non essendo note oggi prove fossili della presenza della specie, quest’ultima rappresenterebbe senza dubbio una risorsa aliena.

L’immissione sarebbe dunque una vera e propria introduzione, un’operazione faunistica sempre da sconsigliare se non in condizioni di estremo pericolo per la sopravvivenza di una specie. In questo caso, si svolgerebbe addirittura in un contesto insulare, peculiare per definizione, ed un congruo studio di fattibilità ad opera di esperti sarebbe assolutamente necessario.

La seconda ragione è che tale immissione sarebbe condotta su un’isola parte della quale è compresa nel territorio del Parco nazionale dell’Arcipelago toscano. Al cui interno, prima o poi, gli animali lanciati troverebbero rifugio dalla pressione venatoria. Il Parco nazionale opera da anni contro le specie aliene ed è stato recentemente protagonista dell’eradicazione di risorse esotiche di flora e fauna sulle isole di Montecristo, Giannutri e Pianosa (anche la pernice rossa, ibrida). Inoltre, al Giglio sarebbero precisamente immesse pernici originarie della Vandea (Francia nord-occidentale) incrociate con quelle di una sottospecie alloctona (A. rufaintercedens) importata dall’Andalusia (Spagna), contribuendo in tal modo ad aggravare il quadro zoogeografico di questa specie.

Quanto alla loro “purezza” genetica, la questione è complessa per essere trattata in poche righe; tuttavia, essa è accertabile solo tramite estese analisi genomiche di cui, ad esempio, ci stiamo occupando come gruppo di ricerca in collaborazione con altre università in Asia e in Europa. Peraltro, quand’anche fosse acclarata, la “purezza” non sarebbe un carattere dirimente per avallare un’introduzione pronta caccia. Infine, diversamente da quanto riportato nell’articolo, la biodiversità deve essere protetta e gestita ma non arricchita artificialmente.

Nel complesso, questa immissione appare inopportuna sia per la specie in oggetto che per il messaggio concettualmente distorto da essa veicolato, ovvero far passare un’operazione di interesse venatorio come una forma di conservazione della biodiversità.

di Filippo Barbanera per greenreport.it