Perché alcuni rettili e anfibi vivono oltre 100 anni. E perché le tartarughe sono così “particolari”

Il Cnr-Iret ha partecipato al più ampio studio mondiale sulla longevità e l'invecchiamento nei rettili e negli anfibi

[4 Luglio 2022]

Con i suoi 190 anni, la tartaruga gigante Jonathan delle Seychelles è considerata l’animale terrestre vivente più antico del mondo. Sebbene esistano prove aneddotiche che alcune specie di tartarughe e altri ectotermi – o animali “a sangue freddo” – vivano a lungo, sono imprecise e si concentrano principalmente sugli animali che vivono negli zoo o su alcuni individui che vivono allo stato brado.

Ora, due studi pubblicati Science e ai quali hanno partecipato un team internazionale di 114 ricercatori – compresi quelli dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Cnr  (Cnr-Iret)- hanno scoperto «Una correlazione profonda tra l’ambiente e il processo di invecchiamento di alcune specie che possono allocare maggiori quantità di energia alla sopravvivenza piuttosto che alla protezione dell’organismo, allungando la propria aspettativa di vita».

Da entrambi gli studi emerge che «Il processo di invecchiamento, in alcune specie di rettili e anfibi, può dipendere direttamente dalle condizioni ambientali in cui si trovano».

David Miller, autore senior dello studio e professore associato di ecologia della popolazione della fauna selvatica alla Penn State University, spiega: «Esistono prove aneddotiche che alcuni rettili e anfibi invecchiano lentamente e hanno una lunga durata della vita, ma fino ad ora nessuno lo ha effettivamente studiato su larga scala in numerose specie in natura. Se riusciamo a capire cosa consente ad alcuni animali di invecchiare più lentamente, possiamo comprendere meglio l’invecchiamento negli esseri umani e possiamo anche informare le strategie di conservazione per rettili e anfibi, molti dei quali sono minacciati o in via di estinzione».

Nel primo studio “Diverse aging rates in ectothermic tetrapods provide insights for the evolution of aging and longevity”, pubblicato su lavoro, il team di ricerca ha eseguito un’analisi comparativa dei tassi di invecchiamento e della durata della vita nei tetrapodi a sangue freddo, utilizzando i dati disponibili in letteratura su 77 specie e 107 popolazioni selvatiche di rettili e anfibi, tra cui tartarughe, serpenti e coccodrilli. In particolare, il Cnr-Iret ha studiato una popolazione di tritone crestato che vive sui Poggi di Prata, nelle colline metallifere del Grossetano.

Emiliano Mori, del Cnr-Iret, spiega che «Le operazioni di monitoraggio hanno coperto un arco temporale di 19 anni in cui abbiamo cercato di capire in che modo la termoregolazione, la temperatura ambientale, il corredo genetico e il ritmo di vita contribuiscano all’invecchiamento degli animali. Abbiamo così scoperto che le specie ectoterme, in cui la temperatura corporea dipende dall’ambiente esterno, mostrano una maggiore diversità di tassi di invecchiamento rispetto a quelle endoterme, la cui temperatura corporea è invece regolata dalla produzione di calore metabolico interno. Nelle prime la longevità media stimata varia da 1 a 137 anni, nei primati questo valore è compreso tra 4 e 84 anni».
Nel secondo studio, il team ha esaminato i cambiamenti del tasso di mortalità di 52 specie di testuggini, tartarughe marine e animali in cattività, scoprendo che «La senescenza era particolarmente lenta nel 75% delle categorie considerate. L’80% degli animali valutati mostrava un tasso di invecchiamento addirittura inferiore rispetto a quelli associati agli esseri umani moderni».

La principale autrice dello studio, Beth Reinke, una biologa della  Northeastern Illinois University, evidenzia che «Questi vari meccanismi protettivi possono ridurre i tassi di mortalità degli animali perché non vengono mangiati da altri animali. Quindi, è più probabile che vivano più a lungo, e questo esercita una pressione per invecchiare più lentamente. Abbiamo trovato il più grande supporto per l’ipotesi del fenotipo protettivo nelle tartarughe. Ancora una volta, questo dimostra che le tartarughe, come gruppo, sono uniche».

Nel loro studio, i ricercatori hanno applicato metodi filogenetici comparativi, che consentono di indagare sull’evoluzione degli organism Gli animali sono stati catturati, etichettati, rilasciati in natura e osservati. L’ obiettivo era quello di «Analizzare la variazione dell’invecchiamento e della longevità dell’ectotermia in natura rispetto agli endotermi (animali a sangue caldo) ed esplorare le ipotesi precedenti relative all’invecchiamento, inclusa la presenza o l’assenza di tratti fisici protettivi e la modalità di regolazione della temperatura corporea». Ne è venuto fuori che «L’ipotesi dei fenotipi protettivi suggerisce che gli animali con tratti fisici o chimici che conferiscono protezione, come armature, spine, conchiglie o veleno, hanno un invecchiamento più lento e una maggiore longevità». Il team ha documentato che questi tratti protettivi consentono davvero agli animali di invecchiare più lentamente e, nel caso della protezione fisica, di vivere molto più a lungo rispetto ad animali senza fenotipi protettivi delle stesse dimensioni.

Un’altra autrice dello studio, Anne Bronikowski, che insegna biologia integrativa alla Michigan State University. sostiene che «Potrebbe essere che la loro morfologia alterata con carapaci duri fornisca protezione e abbia contribuito all’evoluzione delle loro storie di vita, incluso l’invecchiamento trascurabile – o la mancanza di invecchiamento demografico – e l’eccezionale longevità».
Miller spiega ancora che «L’ipotesi della modalità termoregolatoria suggerisce che gli ectotermi, poiché richiedono temperature esterne per regolare la loro temperatura corporea e, quindi, hanno spesso un metabolismo più basso, invecchiano più lentamente delle endoterme, che generano internamente il proprio calore e hanno un metabolismo più elevato. Le persone tendono a pensare, ad esempio, che i topi invecchiano rapidamente perché hanno un metabolismo elevato, mentre le tartarughe invecchiano lentamente perché hanno un metabolismo basso».   Tuttavia, i risultati del team internazionale  rivelano che «I tassi di invecchiamento e la durata della vita degli ectotermi variano sia ben al di sopra che al di sotto dei tassi di invecchiamento noti per endotermi di dimensioni simili, suggerendo che il modo in cui un animale regola la sua temperatura – a sangue freddo contro sangue caldo – è non necessariamente indicativo del suo tasso di invecchiamento o durata della vita».

Miller conferma «Non abbiamo trovato supporto all’idea che un tasso metabolico più basso significhi che gli ectotermi stanno invecchiando più lentamente. Quella relazione era vera solo per le tartarughe, il che suggerisce che le tartarughe sono uniche tra gli ectotermi».

È interessante notare che i ricercatori hanno osservato un invecchiamento trascurabile in almeno una specie in ciascuno dei gruppi ectotermi, inclusi rane e rospi, coccodrilli e tartarughe.  La Reinke evidenzia che ««Dire che non invecchiano affatto sembra strabiliante, ma fondamentalmente la loro probabilità di morire non cambia con l’età una volta che hanno superato la riproduzione. Il nuovo studio del team è stato possibile solo grazie ai contributi di un gran numero di collaboratori provenienti da tutto il mondo che studiano un’ampia varietà di specie. Essere in grado di riunire questi autori che hanno tutti svolto anni e anni di lavoro nello studio delle loro singole specie è ciò che ci ha permesso di ottenere queste stime più affidabili del tasso di invecchiamento e della longevità che si basano sui dati della popolazione anziché sui singoli animali».

Mori conclude: «Questi risultati suggeriscono che alcune specie di tartarughe, in risposta a condizioni ambientali migliori, possono ridurre l’invecchiamento fisico e aumentare l’aspettativa di vita, allocando maggiori quantità di energia alla sopravvivenza piuttosto che alla protezione dell’organismo. Comprendere le strategie con cui gli animali ritardano la senescenza può aiutarci a spiegare i modelli macroevolutivi dell’invecchiamento».