Le specie marine si adattano meglio di quelle terrestri e di acqua dolce

Per salvare la natura è meglio concentrarsi sulle popolazioni che sulle specie?

Bisogna realizzare più aree marine e terrestri protette per consentire alle singole popolazioni di adattarsi al riscaldamento globale

[6 Dicembre 2022]

I gas serra di origine antropica stanno causando il riscaldamento del pianeta, il che a sua volta aumenta lo stress per molte specie di piante e animali. Un stress diventato così grande e diffuso che molti scienziati ritengono che siamo nel bel mezzo della sesta estinzione di massa, con intere specie che stanno scomparendo fino a 10.000 volte più velocemente rispetto a prima dell’era industriale. Ma gli scienziati sono incerti su quali ecosistemi e quali specie siano maggiormente a rischio.

Lo studio “Greater evolutionary divergence of thermal limits within marine than terrestrial species”, da poco pubblicato su Nature Climate Change da un team di ricercatori statunitensi, è il primo a dimostrare che «L’attenzione sul rischio a livello di specie oscura un’ampia variabilità nella tolleranza alla temperatura, anche all’interno della stessa specie, e che questa variabilità è maggiore per le specie marine rispetto a quelle terrestri».

I ricercatori dicono che i risultati del nuov studio «Hanno implicazioni immediate per le pratiche di gestione e conservazione e offrono una finestra di speranza nello sforzo di adattarsi a un mondo in rapido riscaldamento».

L’autore senior dello studio, Brian Cheng del Department of environmental conservation, dell’università del Massachusetts Amhers, ricorda che «Una delle scoperte biologiche più importanti dell’ultimo secolo è che l’evoluzione può avvenire molto più rapidamente di quanto si pensasse in precedenza. Una delle implicazioni di ciò è che diverse popolazioni della stessa identica specie possono adattarsi ai loro ambienti locali più facilmente di quanto la biologia tradizionale avrebbe ritenuto possibile».

E dallo studio emerge che «Questo adattamento rapido e localizzato potrebbe essere in grado di contribuire a garantire la sopravvivenza in un mondo che si riscalda».

Realizzando una metanalisi di 90 studi pubblicati in precedenza, dai quali il team di Cheng ha estratto dati su 61 specie, i ricercatori sono stati in grado di costruire una serie di “limiti termici superiori”, temperature specifiche al di sopra delle quali ciascuna specie non potrebbe sopravvivere. E. ingrandendo ulteriormente e osservando 305 popolazioni distinte tratte da quel pool di 61 specie, hanno scoperto che «Diverse popolazioni della stessa specie marina avevano spesso limiti termici molto diversi. Questo suggerisce che alcune popolazioni hanno sviluppato abilità diverse per tollerare le alte temperature. La chiave quindi è mantenere diverse popolazioni della stessa specie collegate in modo che le popolazioni che si sono adattate alle temperature più elevate possano trasmettere questo vantaggio alle popolazioni con i limiti termici più bassi».

All’università del Massachusetts Amhers spiegano ancora: «In altre parole, immaginatevi una specie marina ad ampio raggio, come il minuscolo killifish atlantico, che si trova dalla calda costa della Florida degli Stati Uniti a nord fino alle gelide acque di Terranova, in Canada. Se alcuni dei loro parenti meridionali sono in grado di spostare naturalmente il loro range verso nord, le popolazioni di killifish settentrionali potrebbero essere maggiormente in grado di resistere al riscaldamento delle acque».

Il principale autore dello studio, Matthew Sasaki del Department of marine sciences dell’università del  Connecticut, sottolinea che «Le dimensioni contano. I modelli che vediamo tra le specie non sono gli stessi che vediamo all’interno delle specie e la storia del quadro generale non corrisponde necessariamente a quel che sta accadendo a livello locale».

Il team, finanziato dalla National Science Foundation Usa e composto da biologi specializzati in ecosistemi terrestri e marini, ha scoperto un’altra cosa sorprendente: «Questa variabilità all’interno della specie è principalmente una caratteristica degli animali che vivono nell’oceano e nelle aree intertidali. Le popolazioni di specie diffuse che vivono sulla terraferma o in acqua dolce mostrano una maggiore omogeneità nei loro limiti termici, e quindi potrebbero essere più sensibili all’aumento delle temperature. Tuttavia, sulla terraferma, piante e animali possono sfruttare i microclimi per rinfrescarsi ed evitare le temperature estreme, spostandosi ad esempio in luoghi ombrosi».

Nell’insieme. Lo studio suggerisce che «Un approccio alla conservazione e alla gestione uguale per tutte le specie non funzionerà. Invece, se vogliamo prevedere la loro vulnerabilità al mutare delle condizioni, dobbiamo capire come le popolazioni si sono adattate alle loro condizioni locali. Un approccio più efficace includerebbe il garantire che le specie marine possano trovare ampie fasce di habitat intatto in tutto il loro areale, in modo che diverse popolazioni della stessa specie possano mescolarsi e trasmettere gli adattamenti che le aiutano a sopravvivere in acque più calde. E sulla terraferma, abbiamo bisogno di mantenere ampie zone di ecosistemi freddi, come le foreste secolari, che le specie terrestri possono usare come rifugio». Insomma, bisogna comunque realizzare più aree marine e terrestri protette.

Cheng conclude: «Qui, il barlume di speranza è che con politiche di conservazione su misura per le singole popolazioni, possiamo guadagnare tempo per adattarsi al riscaldamento globale».