Uno studio internazionale realizzato alle Canarie, nel Mar Ligure e alle Azzorre

Per paura delle orche, gli zifi diventano “invisibili” (VIDEO)

L’estrema coordinazione degli zifi per eludere i predatori. Ma sono in pericolo perché scambiano i sonar navali per i richiami delle orche

[10 Febbraio 2020]

Gli zifi sono una famiglia di cetacei che somigliano a grandi delfini e sono noti per le loro immersioni record tra i cetacei: fino a 3 chilometri di profondità e per due ore e mezza. Nel buio impenetrabile delle profondità, scovano le loro prede con l’ecolocalizzazione, ma sono anche diventati tristemente famosi per la loro vulnerabilità ai sonar militari di rilevamento dei sottomarini, con spiaggiamenti legati alle manovre navali in varie parti del mondo.

L’ecolocalizzazione, il click degli zifi però creano un altro problema: li rendono visibili al loro più temiobile e implacabile predatore: le orche. Ora lo studio “Fear of Killer Whales Drives Extreme Synchrony in Deep Diving Beaked Whales”, pubblicato su Scientific Reports da un team di ricercatori delle università de La Laguna (Tenerife, Isole Canarie), Aarhus (Danimarca) St Andrews (Scozia), Amsterdam e Utrecht (Paesi Bassi) dimostra che i gruppi di zifi riducono il rischio di predazione da parte delle orche grazie alla loro estrema sincronizzazione durante l’immersione, un comportamento che li rende “invisibili” ai predatori e che non è stato osservato in altri cetacei che compiono immersioni profonde.

Il problema è che gli zifi sono eccezionalmente difficili da studiare perché vivono lontano dalla costa in acque profonde e sono difficili da individuare in mare aperto. I ricercatori hanno dovuto trovare luoghi ragionevolmente vicini alla costa e questo li ha condotti nelle acque profonde al largo delle Isole Canarie, delle Azzorre e della costa ligure. La sfida successiva è stata quella di trovare un modo per rintracciare questi animali grossi quanto un elefante che però non emergono quasi mai. Il team guidato da Natacha Aguilar de Soto, del Bioecomac del Departamento de Biología Animal, Edafología y Geología dell’Universidad de La Laguna ha utilizzato marcatori DTAG che sono stati attaccati su dorso degli zifi con delle ventose e che hanno registrato la profondità delle immersioni, i movimenti degli zifi e i suoni che emettono per cacciare e comunicare. Posizionare i tag è stato difficile perché gli zifi, tra un’immersione e l’altra, passano in media meno di tre minuti in superficie, ma in tre occasioni – a El Hierro, la più piccola e la più tropicale delle Isole Isole Canarie, nel Mar Ligure e alle Azzorre – due tag potrebbero essere stati posizionati su animali dello stesso gruppo sociale.

Mark Johnson, l’ingegnere dell’università di St. Andrews che ha progettato i dispositivi DTAG utilizzati nello studio spiega che «Rimangono attivi fino a un giorno, ma durante quel periodo registrano un’enorme quantità di dati sul loro comportamento».

I ricercatori hanno studiato in totale 26 zifi: 14 erano mesoplodonti di De Blainville (Mesoplodon densirostris) e 12 zifi (Ziphius cavirostris). E’ stato così osservato che nel 99% dei casi gli zifi coordinano le loro immersioni e il tempo in cui emettono suoni di ecolocalizzazione per cercare la loro preda. Inoltre, nonostante questa forte coesione sociale, gli zifi emettono solo suoni profondi e sono silenziosi nelle acque poco profonde dove potrebbero essere attaccati dalle orche che cacciano i mammiferi marini vicino alla superficie perché, per la loro caccia che richiede un grande dispendio ci energia, hanno bisogno di respirare frequentemente.

Però, gli zifi devono necessariamente vocalizzare durante le loro immersioni alla ricerca di prede con l’ecolocazione nel buio delle acque profonde: in media, iniziano a emettere i click dai 450 metri di profondità, si separano per cercare il cibo in modo indipendente e poi si incontrano di nuovo alla fine dell’immersione, iniziando dai 750 metri di profondità un’ascesa lenta e silenziosa verso la superficie.

Johnson sottolinea che «La cosa più enigmatica è che questa risalita verso la superficie non è in diretta lungo il percorso più breve, in verticale, ma che gli zifi la prolungano in diagonale, il che allunga la risalita del 30%, anche se gli zifi dovrebbero essere già ansiosi di venire in superficie a respirare». Un altro autore dello studio, il danese Peter Madsen dell’università di Aarhus, fa notare che «Energeticamente questo comportamento non ha alcun senso, ma è la chiave per prevenire gli attacchi delle orche».

Anche i capodogli e i globicefali si nutrono in profondità, ma risalgono in verticale e comunicano per ritrovare i cuccioli che hanno in superficie in custodia ad altri membri della loro famiglia. Ma i globicefali possono difendersi dalle orche grazie al fatto che formano grandi gruppi, mentre i capodogli sono molto più grossi e forti dei predatori, ed entrambe queste specie di cetacei odontoceti sono veloci. Invece, gli zifi vivono in piccoli gruppi e devono consumare poca energia per poter fare le loro lunghe immersioni. Non hanno praticamente nessuna difesa contro i grossi predatori, quindi è meglio non incontrarli e “sparire”.

La Aguilar spiega: «Qui l’unione fa la forza anti-predatoria. Grazie al fatto che i gruppi di zifi che si immergono insieme, sono liberi di risalire in modo imprevedibile e silenzioso, poiché non devono comunicare o incontrarsi con nessuno in superficie, sono tutti uniti in profondità».

Questo comportamento è fondamentale perché le orche possono ascoltare le vocalizzazioni degli zifi dalla superficie e seguirle, ma gli zifi riescono ad evitarle quando si zittiscono e raggiungono la superficie tutti insieme in un qualsiasi punto imprevedibile all’interno di un cerchio di circa un chilometro dalla verticale dell’ultima emissione sonora. Un branco di orche in caccia può coprire visivamente solo circa il 10% di quell’area, quindi gli zifi riducono così il rischio di predazione del 90%.

Rispondendo a George Dvorsky di Gizmondo che gli ha chiesto se questo comportamento potrebbe essere dovuto a qualcos’altro, Johnson ha risposto che «La natura è economica e molti comportamenti servono per più di uno scopo, quindi non possiamo dire che la strategia di immersione degli zifi sia solo per evitare la predazione, Ma le altre spiegazioni proposte fanno acqua da tutte le parti. Altri scienziati hanno indagato sulla possibilità che le lunghe risalite potrebbero aiutare gli zifi ad evitare la malattia da decompressione, come per un subacqueo, o se in qualche modo risparmiano energia, ma nessuna delle spiegazioni si è dimostrata adatta».

Ma gli scienziati dell’Universidad de La Laguna fanno notare che «Questo comportamento non solo sacrifica il tempo di alimentazione, allungando le risalite del 30%, ma implica che gli adulti devono adattarsi alle capacità di immersione inferiori della prole del branco. Questo collega la morfologia e il comportamento e risolve un enigma biologico finora irrisolto: gli zifi femmine e maschi hanno le stesse dimensioni e, anche se combattono per le femmine, sono solo quelli più grossi ad accoppiarsi e la Aguilar dice che «Tutto questo si spiega col fatto che delle grandi femmine possono dare alla luce una prole più grande e questo è necessario perché i giovano acquisiscano rapidamente le capacità di immersione necessarie per unirsi al branco nelle sue immersioni profonde».

I ricercatori dicono che «I risultati suggeriscono che il comportamento unico e stereotipato degli zifi si sia evoluto come parte della “caccia alle prede”, così comune in natura, oltre l doversi nutrire di risorse delle acque profonde. Tutto ciò rende gli zifi animali evolutivamente di successo, visto che almeno una delle 23 specie di zifi si trova in tutti gli oceani del mondo. Tuttavia, l’evoluzione si rivolge contro di loro quando affrontano un nuovo stimolo: la contaminazione acustica dei sonar navali, che interpretano come un suono di un’orca e che provoca loro forti reazioni di fuga, che nei casi più intensi si traducono in mortalità di massa».

Johnson ricorda che «Quando gli zifi hanno iniziato ad arenarsi dopo le esercitazioni con i sonar della marina, sapevamo ben poco del loro comportamento. Ma quando abbiamo iniziato a conoscerli, sembravano più strani. Rispetto ad altri odontoceti come i capodogli, si immergono in un modo che non sembra avere senso energetico. Volevamo capire cosa li fa comportare nel modo in cui si comportano e vedere se contribuiva a dare un senso alle loro forti reazioni al sonar». Secondo lo scienziato scozzese, «I Risultati sono una buona indicazione: gli zifi sono fortemente sintonizzati per evitare i predatori e che il sonar potrebbe avere un’influenza negativa sul loro comportamento. Gli zifi non vogliono correre rischi, e quindi qualsiasi suono insolito che potrebbe provenire da un predatore può innescare un forte comportamento evasivo. Questa è una strategia che ha funzionato per milioni di anni, ma l’invenzione del sonar ha portato in acqua una serie completamente nuova di suoni che gli zifi non possono sapere che non provengono dai predatori».

Dvorsky conclude: «Speriamo che i gruppi responsabili dell’inquinamento degli oceani con il sonar lavorino per ridurre questi suoni e limitare i luoghi in cui vengono utilizzati i sonar. Ma purtroppo, è ancora un altro segno del fatto che le attività umane sono in contrasto con la natura e danneggiano alcune  delle creature più affascinanti che siano mai apparse sul pianeta».

Videogallery

  • Beaked whale deep diving behaviour // Comportamiento de buceo profundo de zifios

  • Recreation of beaked whale deep diving behaviour off El Hierro