Riceviamo e pubblichiamo

Per il Congresso 2023 di Federparchi

Il commento di Carlo Alberto Graziani sui temi sollevati dal presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani

[9 Gennaio 2023]

Leggo solo oggi la lettera del 23 dicembre inviata dal presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani ai soci di Federparchi in occasione del prossimo congresso di questa organizzazione.

La lettera contiene alcune considerazioni condivisibili: la necessità, nell’attuale fase storica caratterizzata da grandi cambiamenti, di un “deciso cambio di passo” del sistema delle aree naturali protette e di Federparchi che ne rappresenta la grande maggioranza; l’apertura di “un nuovo scenario che deve far diventare le aree protette il soggetto protagonista e non l’oggetto della transizione ecologica”; il conseguente dovere che incombe su tutte le aree protette, terrestri e marine, di contribuire concretamente al raggiungimento degli obiettivi globali ed europei(lotta alla crisi climatica, tutela della biodiversità, economia circolare); il ruolo spettante a Federparchi di guidare il sistema delle aree protetteverso questi obiettiviaprendosi a “nuove interlocuzioni politiche” con il Governo, il Parlamento, le Regioni, i Comuni, il mondo produttivo all’interno dei confini delle aree protette,  rafforzando il rapporto con università e centri di ricerca e costruendo una “nuova sinergia con Ispra”.

Dobbiamo però chiederci: perché questo cambio di passo non si è finora verificato? E soprattutto, perché in questa fase le aree protette e Federparchi sono state e continuano a essere completamente assenti nei tavoli in cui si discute e si decide sulla transizione ecologica, pur essendo le aree protette le uniche istituzioni per le quali l’ordinamento giuridico, se interpretiamo in profondità la legge quadro del 1991, fissa come obiettivo fondamentale proprio quella che oggi chiamiamo trasformazione ecologica?A questi cruciali interrogativi la lettera non dà risposta, ma si limita ad attribuire la causa dell’assenza all’attuale presidente di Federparchi che nell’ultimo anno non ha accolto le “ripetute sollecitazioni” sulla necessità di far partire un “vero dibattito interno sul ruolo futuro dell’associazione”.

Ma se è vero quello che è scritto nella lettera, e cioè che “Legambiente più di 30 anni fa ha contribuito a far nascere Federparchi e in questi 3 decenni ha lavorato per fare crescere la sua forza e autorevolezza, con sostegno convinto e leale”, la conseguenza logica è che Legambiente non può sottrarsi alla sua porzione di responsabilità per tale assenza e in generale per la situazione critica in cui versa attualmente Federparchi, anche perché essa è presente addirittura nella Giunta esecutiva con il suo rappresentante,  né d’altra parte si può comprendere come, in mancanza di una risposta a quegli interrogativi, una presidenza targata Cigno verde – questa è la proposta lanciata dalla lettera – possa ovviare a tale situazione.

In realtà, proprio perché siamo in una fase storica di grandi cambiamenti, il problema di fondo, che in tanti abbiamo inutilmente posto,è quello del ruolo che hanno le aree protette soprattutto se si considera che oggi si pone al centro con drammatica urgenza la grande questione della conservazione della natura tutta e non solo in determinate aree.  Se non si affronta questo problema – e se non lo si affronta in condivisione fra tutti coloro che sono impegnati sul fronte della conservazione – le varie “interlocuzioni” altro non sono che meri esercizi di potere.

Ma vi è un altro grave errore nella lettera del presidente di Legambiente e riguarda il ruolo delle associazioni ambientaliste. Questo ruolo , nelle sua autenticità e bellezza(anche i ruoli possono essere belli), non è certamente quello di esercitare il potere e perciò di partecipare a organi di gestione del potere, ma quello di sospingerei detentori del potere in direzione dell’interesse generale, del bene comune, e perciò, nel caso delle aree protette, in direzione della realizzazione degli obiettivi previsti dalla legge quadro, interpretati alla luce della modernità e perciò aperti anche a quel “nuovo scenario” a cui si riferisce la lettera. Sarebbe però assolutamente distorcente se questo ruolo venisse svolto da soggetti scelti in quanto esponenti di associazioni ambientaliste: verrebbe infatti meno quella forza di impulso anche critico e dialettico che solo restando all’esterno le associazioni  possono garantire.

Ne è chiara dimostrazione la stessa presenza delle associazioni ambientaliste in seno ai consigli direttivi dei parchi nazionali, che pure ha una sua giustificazione storica e che ha portato alcuni vantaggi concreti (soprattutto per quanto riguarda l’accesso alle informazioni), ma che ha finito per deresponsabilizzare le associazioni nei confronti dei problemi dei singoli enti perché confidano sui  loro rappresentanti, i quali peraltro quasi sempre vengono messi al margine dei processi decisionali.

Comunque questa presenza non ha evitato l’attuale crisi in cui versano gli enti di gestione: una crisi – sia detto per inciso – che. come si deduce dalle relazioni della Corte dei conti, non è dovuta a motivi finanziari ai quali invece solitamente si fa riferimento. Si aggiunga che una presidenza di Federparchi con la targa di un’associazione comporterebbe inevitabilmente il sorgere e l’acuirsi di conflitti interassociativi.

È pur vero, come sottolinea il presidente Ciafani, che in Federparchi “serve un gruppo dirigente rinnovato”, perché l’attuale non è stato assolutamente in grado di rispondere alle nuove sfide, e serve altresì un presidente “radicato nel mondo delle aree protette”,  ma non si comprende perché a presiederla non possa essere un presidente di parco: questa esclusione non solo è offensiva nei confronti dei presidenti in carica, ma non si può nemmeno giustificare con i motivi indicati nella lettera se si tiene conto del bilancio e dei collaboratori di cui gode attualmente l’organizzazione.

Ma soprattutto, presidente Ciafani, non serve un presidente che sia “riconosciuto ben al di là” delle aree protette e “che porti in dote a Federparchi relazioni, collaborazioni e alleanze”:  è una immagine brutta quella che emerge da queste parole perché sta a cavallo tra la politica di corridoio e una concezione  patrimoniale e proprietaria  insita in quella paroletta “dote” che dal diritto di famiglia – e i parchi dovrebbero essere una famiglia – è stata espulsa mezzo secolo fa.

Federparchi invece ha bisogno di immagini belle che mostrino l’importanza fondamentale per il presente e per il futuro delle aree protette e perciò del rapporto tra le persone e la natura. Certo, è necessario, come hanno scritto Luigi Bertone e Enzo Valbonesi, “tessere alleanze sociali,   costruire dei veri e propri patti  territoriali con la miriade di soggetti istituzionali e non che operano nelle comunità locali”: ma se non si parte dalle persone per coinvolgerle e impegnarle in maniera tale che sentano  come propria la missione dell’area protetta al cui territorio appartengono, una missione dalla quale oggi – dobbiamo avere l’onestà di riconoscerlo – sono troppo spesso lontane, se non si parte da loro ogni “alleanza”, ogni “interlocuzione”, ogni “patto territoriale” sarà inutile.

Proprio perché oggi tutto sta cambiando il mondo dei parchi e delle aree protette ha estremo  bisogno di una visione alta ed è su questa visione che il prossimo Congresso di Federparchi dovrebbe incentrare la sua riflessione.

di Carlo Alberto Graziani, già presidente del Parco nazionale dei Monti Sibillini