Our Ocean a Palau: più aree marine protette per salvare l’oceano e combattere il riscaldamento globale (VIDEO)

La Conferenza ha delineato le misure essenziali per la salute degli oceani

[15 Aprile 2022]

Si è conclusa nella Repubblica di Palau la settima Our Ocean Conference (OOC) che ha avuto come tema “Our Ocean, Our People, Our Prosperity” e che ha segnato una svolta perché per la prima volta un evento internazionale di questo tipo si  si tiene in un piccolo Stato insulare in via di sviluppo (SIDS), evidenziando il ruolo fondamentale e la leadership delle popolazioni indigene e delle comunità locali insulari nell’affrontare il cambiamento climatico e le crisi oceaniche.

L’evento è stato co-organizzato dalla Repubblica di Palau e dagli Stati Uniti d’America e ha visto la partecipazione di oltre 500 rappresentanti di governi, organizzazioni intergovernative, istituzioni accademiche e di ricerca, settore privato e organizzazioni della società civile, compreso un gruppo speciale di giovani delegati che sono leader di diverse iniziative per l’azione oceanica.

Il presidente di Palau Surangel S. Whipps Jr. e l’inviato speciale Usa per il clima John Kerry hanno aperto la conferenza, mettendo in evidenza la lunga storia della gestione degli oceani nel Pacifico e invitando i partecipanti ad affrontare le sfide della la crisi climatica globale dell’oceano con un’urgenza maggiore e più elevata. In una dichiarazione congiunta, Whipps e Kerry hanno fatto notare che «Mentre i governi di tutto il mondo lavorano per ricostruire in modo sostenibile le loro economie sulla scia della pandemia di Covid-19, faremmo bene a ricordare che l’oceano offre altrettante opportunità di crescita resiliente low carbon di quelle che può fornire la terraferma».

La conferenza si è concentrata sulla lotta ai cambiamenti climatici, sulla promozione della pesca sostenibile, sulla creazione di economie blu sostenibili, sull’aumento delle aree marine protette, sul raggiungimento di un oceano sicuro e sulla lotta all’inquinamento marino. L’importanza delle soluzioni climatiche basate sugli oceani e la centralità di un oceano sano per i piccoli stati insulari in via di sviluppo e per tutti i luoghi in cui l’oceano è una fonte primaria di sostentamento sono stati temi trasversali durante la tutta la conferenza.

Whipps e  Kerry hanno sottolineato che «Come per l’azione per il clima sulla terraferma, i progressi nella protezione degli oceani dipendono in ultima analisi dalla volontà politica. Vale la pena ricordare a noi stessi che, alla fine, siamo tutti collegati dall’oceano».

Nel suo intervento a Our Ocean, la direttrice generale dell’Unesco Audrey Azoulay,  ha invitato alla «Mobilitazione internazionale per prevenire la scomparsa delle barriere coralline. L’Unesco sta contribuendo attraverso un piano di emergenza per la resilienza delle barriere coralline Patrimonio dell’Umanità, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. L’Unesco collaborerà con il Global Fund for Coral Reefs (GFCR) per finanziare queste azioni».

Dotate di una biodiversità eccezionale, le barriere 29 coralline dei siti Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco (19 dei quali nei Paesi in via di sviluppo) coprono più di mezzo milione di km2, quanto la superficie della Francia, e svolgono un ruolo fondamentale nell’assorbimento delle emissioni di CO2 e nella protezione delle coste dalle tempeste e dall’erosione. Più di 100 comunità indigene dipendono dalle barriere coralline per il loro  sostentamento.

Ma le barriere coralline spesso una combinazione di pressioni locali, come l’inquinamento, la pesca eccessiva o la distruzione dell’habitat e Fanny Douvere, responsabile del programma marino del l Centro del patrimonio mondiale dell’Unesco, ha ricordato che «A causa del riscaldamento globale, le pratiche locali di conservazione della barriera corallina non sono più sufficienti per proteggere gli ecosistemi della barriera corallina più importanti del mondo. Tuttavia, una barriera corallina sana e resiliente è meglio attrezzata per rigenerarsi e sopravvivere dopo un evento di sbiancamento. L’Unesco intende mobilitare le sue risorse e i suoi partner per ridurre queste pressioni locali e offrire alle barriere coralline le migliori possibilità di sopravvivenza».

La partnership tra l’Unesco e GFCR consentirà di investire in strategie di resilienza climatica, in particolare sulla riduzione dei fattori locali di degrado, sulla gestione sostenibile delle aree marine protette e sul sostegno alle comunità locali. Questo nuovo piano globale si baserà sul successo  dell’iniziativa Resilient Reefs  lanciata dall’Unesco e dai suoi partner al precedente Our Ocean Summit nel 2018 e che negli ultimi 4 anni ha interessato 4 reef pilota Patrimonio dell’Umanità in Australia, Belize, Nuova Caledonia e Palau, dimostrando che « Azioni concrete possono ridurre le pressioni locali consentendo alle comunità locali di continuare a soddisfare i loro bisogni. Sd esempio, nella laguna meridionale delle Rock Islands di Palau, Resilient Reefs forma i gestori dei siti e le comunità sulle più recenti conoscenze scientifiche, gestione della pesca, adattamento e resilienza. L’istituzione di una licenza e di quote di pesca, nonché le misure di protezione degli habitat e dei cicli di vita delle specie, contribuiscono al corretto rinnovamento degli stock ittici. A Ningaloo, in Australia, l’iniziativa sta sviluppando soluzioni innovative per facilitare la riproduzione dei coralli gestite dalle popolazioni indigene.

Intervenendo in chiusura della OOC, il presidente dell’Assemblea generale dell’Onu, il maldiviano Abdulla Shahid, ha esortato la comunità internazionale ad «Espandere le aree protette dell’oceano, sostenere la comunità scientifica e affrontare l’inquinamento da plastica. Non c’è modo di proteggere l’oceano senza guadare all’insieme di tutti gli stakeholders».

Shahid si è detto «Rincuorato dal fatto che l’evento si sia svolto in una delle nazioni insulari in prima linea più a rischio per l’innalzamento del livello del mare indotto dai cambiamenti climatici, riportando a casa questo importante problema»

Nel suo discorso Shahid, ha citato quattro aree principali per la conservazione e l’utilizzo sostenibile dell’oceano e dei mari: «Prima di tutto, chiedo un’espansione delle aree protette. Anche se l’oceano copre circa il 70% del pianeta, meno dell’8% è protetto.  La conferenza Our Ocean continua a promuovere lo slancio globale in questo senso».

Le ultime 6 conferenze hanno portato a più di 1.400 impegni, per un importo di oltre 90 miliardi di dollari, proteggendo almeno 5 milioni di chilometri quadrati di oceano.

Secondo, il presidente dell’Assemblea generale dell’Onu  ha chiesto «Investimenti in dati e informazioni solidi, affidabili e accessibili  basati sulla scienza oceanica, che potrebbero essere utilizzati per informare politiche e programmi».

Le Nazioni Unite nel 2021 hanno dichiarato la Decade of Ocean Science for Sustainable Development.  Su mandato dell’Assemblea genenerale, l’Intergovernmental Oceanographic Commission (IOC) dell’Unesco, sta lavorando con gli Stati membri per sviluppare le capacità scientifiche nazionali «Per comprendere e migliorare la gestione di oceano, coste ed ecosistemi».

Quest’anno saranno organizzati anche diversi importanti vertici internazionali per promuovere la salute degli oceani. A giugno il Portogallo ospiterà l’United Nations Ocean Conference che cercherà di promuovere soluzioni innovative, basate sulla scienza, tanto necessarie per iniziare un nuovo capitolo dell’azione oceanica globale

Nel suo discorso, Shahid ha anche sottolineato «L’importanza di riconoscere e affrontare le minacce che deve affrontare l’oceano». Definendo «Un campanello d’allarme» il recente rapporto del Working Group II dell’IPCC, ha osservato che «Un pianeta che si riscalda significa un oceano che si riscalda, con livelli di acidificazione in aumento e una maggiore perdita di ecosistemi marini e di biodiversità marina. Proprio nelle ultime settimane, la Great Barrier Reef Marine Park Authority (GBRMPA) e l’Australian Institute of Marine Science (AIMS) hanno annunciato che i cambiamenti climatici hanno innescato il sesto sbiancamento di massa della Grande Barriera Corallina.  Nel frattempo, gli scienziati dell’Unesco stanno valutando se aggiungere la barriera corallina, considerata una delle sette meraviglie naturali del mondo, alla loro lista di patrimoni dell’umanità “in pericolo”».

Il quarto punto che ha sottolineato Shahid è stato  quello della lotta all’inquinamento da plastica. Riferendosi allo studio pubblicato su Science of the Total Environment, ha evidenziato che «Proprio la scorsa settimana, i ricercatori hanno trovato, per la prima volta, microplastiche nei polmoni degli esseri umani, evidenziando la portata e la gravità del problema. Dato che la plastica impiega centinaia di anni per degradarsi, si stima che solo il 20% circa della plastica creata dagli anni ’50 sia stata incenerita o riciclata con successo. E’ importante amplificare le sinergie tra l’azione oceanica e altri Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), come la riduzione della povertà e il consumo e la produzione sostenibili. E’ importante arrivare a un divieto completo dell’inquinamento da plastica nel nostro oceano».

Shahid ha concluso ricordando che «Quest’anno ricorre il 40esimo anniversario dall’adozione dell’United Nation Convention on Law of the Sea. L’occasione ci offre l’opportunità di rivedere e rinnovare gli impegni nei confronti dell’oceano: la sua governance, il suo uso sostenibile e la sua conservazione».

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