Nuova strage di attivisti comunitari e ambientali nelle Filippine di Duterte

Polizia ed esercito assassinano 9 attivisti “red tagged” come comunisti maoisti

[10 Marzo 2021]

Le notizie che arrivano dalle Filippine, dove il governo neofascista di Rodrigo Roa Duterte sembra aver ordinato una nuova stretta contro gli oppositori e i movimenti sociali e per i diritti umani e l’ambiente sono terribili. La portavoce dell’United Nations commissioner for human rights (Unchr) Ravina Shamdasani, ha detto: «Siamo sconvolti dall’uccisione apparentemente arbitraria di 9 attivisti in operazioni simultanee di polizia-militari nelle province di Batangas, Cavite, Laguna e Rizal, confinanti con metro Manila, nelle Filippine, nelle prime ore di domenica mattina».

La Shamdasani  ha precisato che «Secondo le informazioni che abbiamo ricevuto, gli otto uomini e una donna sono stati uccisi in operazioni congiunte di polizia e militari che sarebbero iniziate intorno alle 3:15 di domenica per eseguire i mandati di perquisizione emessi da un tribunale di Manila. Sappiamo che tra le persone uccise ci fossero l’attivista per i diritti dei lavoratori Emanuel Asuncion, nonché Chai Lemita-Evangelista e Ariel Evangelista, marito e moglie, che lavoravano su questioni relative ai diritti delle comunità di pescatori e che sarebbero stati uccisi a colpi d’arma da fuoco all’interno della loro casa. Altri due, Melvin Dasigao e Mark Lee Coros Bacasno, erano attivisti che difendevano il diritto alla casa degli homeless. Tra le vittime c’erano anche due attivisti delle popolazioni indigene e due attivisti per il diritto alla casa. Secondo quanto riferito, 6 persone sono state arrestate durante le operazioni».

Human Rights Watch ricorda che «Le forze di sicurezza filippine hanno una lunga storia di uccisioni illegali, sparizioni forzate e arresti arbitrari di attivisti di sinistra, difensori dei diritti umani e altri». E in effetti la nuova strage sembra una vera è propria “pulizia” di attivisti scomodi noti per i loro metodi non violenti ma, come fa notare la portavoce Unchr, «Il governo ci ha informato che l’operazione si basava su mandati di perquisizione emessi nel contesto della sua campagna di contro-insurrezione contro il New People’s Army (quel che resta dell’ala armata del Partito comunista marxista-leninista-maoista delle Filippine, ndr). L’esecuzione di mandati di perquisizione, spesso condotti di notte, hanno provocato uccisioni in precedenti occasioni. Il 30 dicembre 2020, 9 attivisti per i diritti delle popolazioni indigene Tumandok sono stati uccisi durante operazioni congiunte per eseguire mandati di perquisizione a Panay».

I raid facevano parte di quello che il governo di destra filippino ha chiamato Coplan Asval , una “esecuzione simultanea di mandati di perquisizione” da parte di squadre composte da unità di polizia e militari. Si sono verificati due giorni dopo che il presidente Rodrigo Duterte aveva esortato le forze dell’ordine a “uccidere” i comunisti e a ignorare i diritti umani: una minaccia che aveva già fatto diverse volte in passato in passato.

La polizia ha affermato che i raid erano legittimi perché delle armi sono state trovate in possesso delle vittime e gli arrestati presumibilmente hanno reagito, «Un’affermazione che la polizia fa spesso  – dicono a  Human Rights Watch  – per spiegare l’uccisione di presunti sospetti di droga nella “guerra alla droga” abusiva del governo». Nrelle loro inchieste su sugli omicidi della “guerra alla droga”, Human Rights Watch e altre ONG hanno riscontrato che queste affermazioni non avevano basi concrete.

Anche i difensori dei diritti umani fanno notare che «Le incursioni presentavano anche somiglianze con le incursioni del dicembre 2020 nelle province di Capiz e Iloilo nelle Filippine centrali, in cui morirono 9 membri di un gruppo di popolazioni indigene . Come nei raid del sud di Luzon, la polizia ha affermato che gli uccisi avevano reagito. Allo stesso modo, le vittime in tutti questi raid appartenevano a gruppi che il governo aveva precedentemente “red tagged” accusandole di essere guerriglieri comunisti o loro sostenitori. I membri del Congresso hanno chiesto un’indagine su quei raid».

Duterte, dopo aver proclamato un accordo con quel che resta della guerriglia comunista ha cambiato idea e la sta utilizzando per reprimere gli attivisti sociali  e ambientali, come ribadisce Human Rights Watch, «L’utilizzo di elementi combinati della polizia e dell’esercito per prendere di mira individui o gruppi sospettati di essere ribelli comunisti e fare raid in aree separate simultaneamente, è stato precedentemente utilizzato sull’isola di Negros nelle Filippine centrali. La polizia e l’esercito sono stati implicati nell’uccisione di attivisti, lavoratori agricoli e di un avvocato. L’attuale capo della polizia nazionale filippina, Il Mag. Gen. Debold Sinas, ha supervisionato queste operazioni quando era capo della polizia in quella zona. Un rapporto del Senato pubblicato nel gennaio 2020 richiedeva un’indagine, ma tale raccomandazione non è stata ascoltata».
Gli attivisti di sinistra nelle Filippine sono stati a lungo bersaglio delle operazioni di controinsurrezione del governo, che spesso comportavano uccisioni mirate e che Human Rights Watch ha descritto nei rapporti pubblicati nel 2007 e nel 2011 . L’ONG ricorda che «Il governo accusa questi attivisti di essere membri o sostenitori del New People’s Army e non fa distinzione tra combattenti armati e attivisti politici, che sono soggetti alla spesso mortale “red-tagging”.

Pur essendo queste morti frutto della politica repressiva – e con licenza di uccidere di Duterte, ancora una volta l’Onu non affonda il colpo contro l’uomo forte delle Filippine e la Shamdasani fa comunque un quadro preoccupante di impegni disattesi: «Accogliamo con favore l’impegno del governo a indagare su questi casi, che rappresenterà un test critico per i meccanismi investigativi interni che ha stabilito per casi di questo tipo. Le Nazioni Unite stanno lavorando con il governo per rafforzare questi meccanismi, ma sottolineiamo che devono essere rapidi, trasparenti ed efficaci per soddisfare gli standard internazionali. Il rapporto dell’High Commissioner all’Human Rights Council del giugno 2020 sulle Filippine ha documentato una grave mancanza di un giusto processo nelle operazioni di polizia e una quasi totale impunità per l’uso della forza letale da parte della polizia e dei militari. Esortiamo la polizia ad adottare misure urgenti per prevenire l’uso eccessivo della forza con conseguente perdita di vite umane durante le operazioni di contrasto. Chiediamo inoltre al governo e ai membri delle forze di sicurezza di astenersi dalla retorica che potrebbe portare a violazioni e di assumere invece impegni pubblici per difendere i diritti umani e lo stato di diritto».

La portavoce dell’Unhcr ha aggiunto: «Siamo profondamente preoccupati che questi ultimi omicidi indichino un’escalation di violenze, intimidazioni, molestie e “red-tagging” dei difensori dei diritti umani. Questa è una storia in cui i difensori dei diritti umani sono stati “red-tagging” – o sono stati accusati di essere i fronti dell’ala armata del partito comunista. Nella relazione del giugno 2020, l’Alto Commissario ha avvertito che tale etichettatura pubblica si è rivelata estremamente pericolosa e ha sollecitato la protezione dei difensori dei diritti umani, dei giornalisti e di altre persone a rischio. Negli ultimi mesi sono stati arrestati decine di attivisti e diversi giornalisti, anche nella Giornata dei diritti umani, il 10 dicembre 2020».

Per Phil Robertson , vicedirettore per l’Asia di Human Rights Watch, «I raid di Luzon meridionale erano apparentemente omicidi politicamente motivati ​​che la polizia e l’esercito hanno cercato di giustificare con giustificazioni non convincenti che riecheggiano le affermazioni della  ‘guerra alla droga. Gli Stati membri delle Nazioni Unite dovrebbero svelare questo inganno mortale e premere per un’azione internazionale che ritenga responsabile l’amministrazione Duterte».

Di fronte a migliaia di uccisioni di “drogati” e di attivisti sociali e ambientali da parte delle forze dell’ordine durante discutibili operazioni di polizia, nel 2020 l’Unhrc ha approvato una risoluzione che chiedeva «assistenza tecnica» e «rafforzamento delle capacità« per le Filippine. I difensori dei diritti filippini hanno detto subito che quella risoluzione era insufficiente per affrontare luna crisi scoppiata nel Paese da quando Duterte è stato eletto nel 2016. Human Rights Watch  sottolinea che «Gli omicidi di South Luzon e incidenti simili negli ultimi mesi dimostrano la necessità di un’indagine internazionale indipendente sugli abusi dei diritti nelle Filippine. I Paesi interessati dovrebbero agire congiuntamente per portare avanti questo appello in via prioritaria. L’UN High Commissioner for Human Rights dovrebbe inviare una “Unità di risposta rapida” nelle Filippine per indagare sugli omicidi. L’UN High Commissioner for Human Rights è incaricato di inviare tali unità per rispondere alle crisi umanitarie e dei diritti umani in tutto il mondo».
Robertson conclude: «La “guerra sporca” del governo filippino contro gli attivisti politici deve finire. I governi interessati dovrebbero sostenere sforzi significativi per indurre il governo di Duterte a rendere conto delle gravi violazioni dei diritti umani».