Non basta proteggere i pesci che si nutrono di alghe per salvare le barriere coralline

Uno studio mette in dubbio una convinzione molto diffusa. «Ha più senso sostenere strategie che promuovono la conservazione di diversi habitat e tipi di barriera corallina»

[5 Ottobre 2022]

Le barriere coralline sono tra gli ecosistemi più ricchi di biodiversità e produttivi del pianeta, ma sono anche tra i più in pericolo e in rapido cambiamento. Le minacce alle barriere coralline includono specie predatrici, inquinamento da nutrienti, acidificazione degli oceani, pesca eccessiva, sedimentazione e sbiancamento dei coralli, causato da temperature della superficie del mare sostenute e più calde della media. Con il riscaldamento climatico, gli eventi di sbiancamento di massa durano più a lungo, sono o più frequenti e colpiscono le barriere coralline che sono completamente protette da tutti gli impatti umani diversi dai cambiamenti climatici. Come possiamo aumentare la resilienza delle barriere coralline del mondo, che sono minacciate da molteplici stress, compresi gli eventi di sbiancamento di massa legati al riscaldamento climatico? Una strategia sostenuta da alcuni ricercatori, gestori di risorse e ambientalisti è quella di ripristinare le popolazioni di pesci di barriera che si nutrono di alghe, come i pesci pappagallo. Secondo questa idea, nota come resilienza mediata dai pesci, la protezione dei pesci che tengono sotto controllo le alghe porta a coralli più sani e può favorire il recupero delle barriere coralline in difficoltà,.

Ma il nuovo studio “Fish community structure and dynamics are insufficient to mediate coral resilience”, pubblicato su Nature Ecology & Evolution da Timothy Cline e Jacob Allgeier dell’università del Michigan, che ha analizzato i dati a lungo termine di 57 barriere coralline intorno all’isola di Moorea, nella Polinesi Francese, mette in dubbio questo canone dell’ecologia della barriera corallina.

Infatti, dice Allgeier, «Lo studio fornisce nuove prove convincenti che i pesci non regolano i coralli nel tempo. Questo studio potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui pensiamo alla conservazione delle barriere coralline. La gente dice da anni che possiamo proteggere i coralli attraverso la gestione della pesca e il nostro lavoro sulle barriere coralline di Moorea dimostra che è improbabile che funzioni, ci sono troppe altre cose in corso. Dal punto di vista funzionale, non c’è alcun effetto misurabile dei pesci sulla copertura corallina nel tempo».

Cline e Allgeier ricordano che «Il sostegno all’idea di una resilienza della barriera corallina mediata dai pesci ha portato a richieste di moratoria sulla pesca dei pesci di barriera che si nutrono di alghe per prevenire la crescita eccessiva delle alghe e il degrado della barriera corallina. Tali strategie di gestione ben intenzionate ma fuorvianti potrebbero avere enormi implicazioni per i milioni di persone che dipendono dalla pesca nella barriera corallina per cibo e reddito. Invece, ha più senso sostenere strategie che promuovono la conservazione di diversi habitat e tipi di barriera corallina in vari stadi di degrado».

Per Allgeier, «Dobbiamo gestire la pesca in questi ecosistemi, ma invece di cose come le restrizioni all’ingrosso sui pesci pappagallo, dovremmo prendere in considerazione gli sforzi di gestione che promuovono la raccolta sostenibile in tutta la catena alimentare per disperdere gli impatti della pesca».

Il nuovo studio ha realizzato na serie di analisi statistiche dei dati sulla barriera corallina raccolti tra il 2006 e il 2017 da due progetti di monitoraggio a lungo termine: il Mo’orea Coral Reef Ecosystem LTER (finanziato dalla National Science Foundation Usa) e il Centre de Recherches Insulaires et Observatoire de l’Environnement (finanziato dal governo francese). I dataset sulla barriera corallina di Mo’orea contengono alcune delle più lunghe osservazioni continue delle popolazioni di pesci e della crescita delle alghe sulle barriere coralline. Le macroalghe competono con i coralli per lo spazio sul fondo del mare e possono soffocarli se diventano troppo densi. Se i coralli sono indeboliti da un evento di sbiancamento o da qualche altro disturbo, le macroalghe spesso li colonizzano e li sostituiscono.

Durante il periodo di raccolta dei dati 2006-2017 analizzato nello studio, le barriere coralline di Moorea sono state significativamente colpite da due grandi attacchi: un’infestazione di stella marina corona di spine mangiatrice di coralli e l’impatto diretto del del ciclone Oli nell’inverno 2010. I due eventi hanno permesso ad Allgeier e Cline di studiare il degrado e il successivo recupero delle barriere coralline  di Moorea e di valutare i fattori che hanno contribuito al loro recupero. Poi, hanno utilizzato modelli matematici per testare l’ipotesi che la velocità di recupero dei coralli fosse correlata a vari attributi della comunità ittica, tra cui la diversità delle specie, la biomassa e la ricchezza.

I due ricercatori concludono: «Non abbiamo trovato prove che la variazione sostanziale nella biomassa e nella diversità della comunità ittica abbia avuto un’influenza sul modo in cui i siti si sono ripresi dai disturbi. Invece, suggeriamo che ulteriori attributi specifici della posizione siano fondamentali per il recupero e la comunità ittica è solo una componente di una serie di variabili che devono essere considerate».