Ombrina Mare: minaccia per l'economia sana, è in contrasto con il Parco della Costa Teatina

No piattaforme petrolifere offshore, in 60.000 alla grande manifestazione in Abruzzo

Legambiente e Wwf: «Solo rischi e danni e niente da guadagnare per il Paese»

[23 Maggio 2015]

Grande manifestazione oggi a Lanciano, in Abruzzo, per dire no alle piattaforme petrolifere offshore e al progetto Ombrina Mare, presentato dalla Medoilgas Italia, oggi Rockhoppe.

Per il Coordinamento No Ombrina 2015  hanno partecipato  in 60.000, «Un corteo incredibile e commovente, un atto di popolo contro la deriva petrolifera e per salvare l’Adriatico. Una manifestazione ancora più imponente di quella di Pescara di due anni fa che portò in piazza 40.000 persone. Una scommessa vinta dagli organizzatori che hanno scelto Lanciano, un centro molto più piccolo, come sede della manifestazione. Sessantamila persone e 482 adesioni di comitati, associazioni ed enti, molte provenienti anche da altre regioni, per una manifestazione di carattere nazionale. Comitati da tutta Italia che stanno lavorando insieme per fermare le politiche del Governo Renzi. Il coordinamento ringrazia i partecipanti e le migliaia di persone che in questo mese hanno collaborato a questa iniziativa, da chi ha condiviso una foto sui social a chi è stato impegnato nell’organizzazione, dal Comune di Lanciano, medaglia d’oro per la Resistenza, che si è attivato per questa nuova forma di lotta, per l’ambiente salubre e l’economia diffusa del turismo e dell’agroalimentare, agli altri enti, comitati ed associazioni».

Domani a Pescara nazionale Blocca lo Sblocca Italia, dove i comitati da tutta Italia decideranno assieme le prossime iniziative.

Secondo Legambiente, «La battaglia contro le trivellazioni in mare si fa sempre più dura. E su Ombrina Mare dobbiamo denunciare l’inerzia di tutti coloro che hanno ostacolato la nascita del Parco, a cominciare dagli amministratori locali. Dopo l’ennesima norma pro-trivelle, ovvero il decreto Sblocca Italia, è ripresa, infatti, la pressione per realizzare nuovi pozzi e piattaforme. Tra queste, Ombrina Mare,  di fronte alla costa abruzzese, prevede un impianto di estrazione con annesso centro di trattamento galleggiante – in altre parole una vera e propria raffineria – a sole tre miglia dal Parco nazionale della Costa Teatina di cui si attende l’istituzione».

Il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, che ha partecipato alla manifestazione di Lanciano, ha sottolineato che «Nell’anno della Cop21, dove si giocherà la partita del nuovo protocollo per combattere il cambiamento climatico questo progetto ha una drammatica valenza simbolica per tutto il paese, e non riguarda solo l’Abruzzo. E’ in assoluto contrasto con ogni strategia che voglia lottare contro i cambiamenti climatici. Un ennesimo progetto della vecchia economia novecentesca del petrolio, che mette a rischio tutta l’economia sana della zona ed è in radicale contrasto con la costituzione del Parco della Costa Teatina, che da anni stiamo inseguendo».

Decine di piattaforme sono già attive per l’estrazione di gas e petrolio nel mare Adriatico, Ionio e nel Canale di Sicilia. Sul versante italiano dell’Adriatico, le piattaforme già attive per l’estrazione di greggio sono 6 e sono attive, anche, 39 concessioni per l’estrazione di gas, da cui si estrae il 70% del metano prodotto in Italia. L’Adriatico, per le sue caratteristiche di “mare chiuso”, è un ecosistema molto importante e un ambiente estremamente fragile già messo a dura prova, ciononostante le aree interessate da attività di ricerca petrolifera in questa fetta di mare coprono quasi 12.000 kmq. Complessivamente, le richieste presentate per le attività di ricerca e prospezione di idrocarburi nei fondali italiani sono 72 e interessano un’area marina pari a circa 32mila kmq nel caso della ricerca e 92mila kmq nel caso della prospezione.
Le quantità di idrocarburi in gioco, però, inciderebbero ben poco sull’economia e sull’indipendenza energetica dello Stato. Tutto il greggio presente sotto il mare italiano, stimato in circa 10 milioni di tonnellate, sarebbe infatti sufficiente, stando ai consumi attuali, al fabbisogno energetico di sole 8 settimane. La maggior parte del guadagno andrebbe a compagnie private. Gli eventuali e possibili danni ricadrebbero sulla collettività.
Ed è dei giorni scorsi il via libera del Consiglio dei ministri al recepimento della direttiva 2013/30/UE sul rafforzamento delle condizioni di sicurezza ambientale delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi. Che parla chiaro: serve un’accurata relazione sui grandi rischi e sugli incidenti che potrebbero verificarsi, la verifica delle garanzie economiche da parte della società richiedente per coprire i costi di un eventuale incidente durante le attività, l’applicazione di tutte le misure necessarie per individuare i responsabili del risarcimento in caso di gravi conseguenze ambientali fin dal rilascio dell’autorizzazione.
Giuseppe Di Marco, presidente di Legambiente Abruzzo, ha evidenziato come  «Un ultimo punto importante della direttiva sull’offshore riguarda la partecipazione del pubblico e come nel processo di autorizzazione vada tenuto conto del parere dei cittadini, amministrazioni e enti dei territori interessati dalle richieste. Passaggi che a quanto pare non sono stati considerati dal governo nell’iter autorizzativo di Ombrina Mare. Mancano inoltre all’appello valutazioni sugli effetti che l’attività avrà sul mare e sulle aree protette già oggi presenti sulla costa, tra cui aree SIC che richiedono una valutazione di incidenza ambientale. Soprattutto, il progetto Ombrina Mare non ha senso: gli studi presentati parlano di un greggio di pessima qualità, presente in quantità trascurabile, sufficiente a coprire a fatica lo 0,2% del consumo annuale nazionale e di una quantità di gas sufficiente a coprire appena lo 0,001% del consumo annuale nazionale, con una ricaduta locale (in termini di royalties) equivalente all’importo di mezza tazzina di caffè all’anno per ogni abruzzese.
Con le trivellazioni, se c’è qualcosa da guadagnare non è certo per il Paese. Il governo si faccia due conti».

Alla vigilia della grande manifestazione di Lanciano, il Wwf era sceso scende in campo per «Contrastare la decisione del Governo italiano di entrare in rotta di collisione con l’Europa dopo l’approvazione lunedì 18 maggio di uno schema di decreto legislativo farsa di recepimento della Direttiva comunitaria “Offshore”. Un recepimento che rimuove di fatto dalla storia il gravissimo disastro del Golfo del Messico del 2010, non fornendo un quadro di garanzie e controlli indipendenti adeguati per evitare che le trivellazioni degli idrocarburi mettano a  rischio l’ambiente dei nostri mari e delle nostre coste.  Contro questo recepimento il WWF farà subito arrivare la voce dei manifestanti di Lanciano a Bruxelles. È questo l’impegno che l’associazione del Panda porterà avanti nei prossimi giorni (con segnalazioni alla Commissione Europea e al Parlamento), insieme alle altre associazioni ambientaliste. Si dovrà in particolare contestare l’ennesimo avallo del Governo alle posizioni insostenibili del Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) determinato a non recepire norme e strumenti scomodi per i petrolieri, contenuti nella Direttiva, che chiede, tra l’altro, agli operatori di fornire garanzie tecnico-finanziarie adeguate a tutela, in caso di incidente, di tutti gli ambienti costieri a marini sensibili sotto il profilo ambientale (norma cancellata nel decreto di recepimento) e che venga istituita un’Autorità competente indipendente, chiaramente distinta per evitare conflitti di interesse dalle strutture dello sviluppo economico, per valutare la capacità dei petrolieri di far fronte ai rischi di incidente e verificare che siano prese tutte le misure di sicurezza (mentre nel decreto si costruisce un carrozzone interministeriale, con diramazioni territoriali, con la smaccata presenza dell’UNMIG, l’ufficio nazionale per gli idrocarburi  e le georisorse del MiSE)».

Stefano Lenzi, responsabile ufficio relazioni istituzionali del Wwf Italia. Ha detto: «Non si capisce come sia stato possibile che il Ministero dell’ambiente non abbia fatto valere le sue ragioni, rinunciando a far prevalere l’interesse a tutelare l’ambiente marino e costiero, chiaramente dichiarato dalla Direttiva 2013/30/UE che – approvata dopo il disastro del Golfo del Messico del 2010 (incidente alla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, che ha provocato il più grave inquinamento ambientale mai avvenuto nelle acque USA) – deriva direttamente dall’articolo 191 del Trattato europeo nel quale si chiede il pieno rispetto dei principi di precauzione e chi inquina paga».

Anche il Wwf ricorda che ancora una volta che «Si mettono a rischio i mari italiani, che danno lavoro alle centinaia di migliaia di persone che nel nostro Paese operano nei settori e nell’indotto del turismo e della pesca, per consentire ai petrolieri libertà di trivellazione, quando tutte le riserve certe (10,3 mln di tonnellate) di petrolio in mare, stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per appena 7 settimane (dati DGRME – UNMIG). In un paese quale l’Italia considerato un paradiso fiscale dai petrolieri, dove oltre a esenzioni e franchigie c’è un sistema royalty, da cui si ricavano risorse per la prevenzione il contrasto dell’inquinamento, che prevede le percentuali più basse al mondo, 7% per l’olio e 10% per il gas, quando in Guinea sono del 25%, in Arabia Saudita del 50%, in Alaska del 60%, in Russia dell’80%, in Norvegia dell’80%, fonte “The Economist”».