Lotta alla deforestazione, il programma Redd+ dell’Onu è un fallimento?
Aumentano critiche e perplessità dopo la debacle dell’accordo miliardario tra Indonesia e Norvegia
[13 Ottobre 2021]
Secondo Global Forest Watch, dato che la perdita della foresta pluviale tropicale rappresenta circa l’8% delle emissioni annuali di anidride carbonica «La protezione degli alberi è la chiave per raggiungere obiettivi climatici ambiziosi» e Frances Seymour, esperta di selvicoltura del World Resources Institute aggiunge che «Questo è il fattore decisivo per il clima globale»,
Il meccanismo REDD+, sostenuto dall’Onu e che prevede che vengano pagati fondi pubblici e privati ai Paesi in via di sviluppo per ridurre le emissioni riducendo la deforestazione, è stato a lungo considerato uno strumento importante nella lotta contro la deforestazione. In tutto il mondo nell’ultimo decennio sono stati attuati progetti REDD+ che vedono tra i principali donatori Norvegia, Germania e Gran Bretagna e che vanno da iniziative nazionali sostenute da governi stranieri a progetti privati più piccoli che generano “crediti di carbonio” da vendere a imprese che cercano di compensare le loro emissioni.
Ma fin dall’inizio REDD+ è stata criticata da diverse associazioni ambientaliste secondo le quali i progetti realizzati in Paesi come la Cambogia, il Perù e la Repubblica democratica del Congo, non hanno coinvolto le comunità locali e non hanno dato i benefici promessi, portando in alcuni casi a scontri con le popolazioni autoctone.
A settembre, l’Indonesia, che ospita la terza più grande distesa di foresta tropicale al mondo, si è ritirata dall’accordo da 1 miliardo di dollari con la Norvegia, perché aveva ricevuto solo una piccola parte del denaro promesso. Va anche detto che l’Indonesia era stata la prima a violare la promessa di impedire la deforestazione, consentendo sia l’estensione delle piantagioni di palma da olio che i continui incedi che distruggono la foresta pluviale.
A marzo un’inchiesta dell’Università del Maryland e di Global Forest Watch ha rivelato che nel 2020 i tropici hanno perso 12,2 milioni di ettari di copertura arborea e che «Di questi, 4,2 milioni di ettari, un’area delle dimensioni dei Paesi Bassi, si trovavano all’interno di foreste primarie tropicali umide, che sono particolarmente importanti per lo stoccaggio del carbonio e per la biodiversità. Le emissioni di carbonio risultanti da questa perdita di foresta primaria (2,64 Gt CO2) sono equivalenti alle emissioni annuali di 570 milioni di auto, più del doppio del numero di auto in circolazione negli Stati Uniti. La perdita di foresta primaria è stata del 12% superiore nel 2020 rispetto all’anno precedente, ed è stato il secondo anno consecutivo che ai tropici la perdita di foresta primaria è peggiorata». E questo nonostante un rallentamento economico globale dovuto alla pandemia di Covid-19.
Secondo Joe Eisen, direttore esecutivo della Rainforest Foundation UK, «REDD+ è fondamentalmente imperfetto: l’architettura è sbagliata. Riduce le foreste ai loro valori di carbonio, piuttosto che agli altri valori intrinseci che hanno, come le persone e la natura. Le foreste sono molto più della quantità di carbonio che assorbono».
E chi da sempre critica REDD+ vede le sue accuse confermate dal fallimento dell’accordo del 2010 dell’Indonesia con la Norvegia, che avrebbe dovuto ridurre la dilagante deforestazione indonesiana.
Come spiega PhysOrg, «L’accordo delineava i passi che Jakarta doveva intraprendere, compreso lo sviluppo di una strategia per combattere la perdita di foreste e l’elaborazione di un sistema di monitoraggio con la maggior parte del pagamento che doveva basarsi sui risultati della riduzione della deforestazione». Ma già nel 2015 un rapporto del Center for Global Development faceva notare v che «I cambiamenti sono andati avanti più lentamente del previsto» e in realtà, fin dall’inizio, in realtà la deforestazione in Indonesia era aumentata.
Ora l’Indonesia dice che negli ultimi 5 anni la perdita di foreste è rallentata ma che non ha ricevuto dalla Norvegia il primo pagamento previsto di 56 milioni di dollari per il REDD+. Esponenti del governo indonesiano hanno detto al Jakarta Post di aver disdetto l’accordo perché la Norvegia non mostrava buona volontà e aveva stabilito requisiti aggiuntivi come la documentazione su come sarebbe stato speso il denaro dei finanziamenti REDD+. Il ministero norvegese del clima e dell’ambiente ha ribattuto che «I pochi problemi rimasti avrebbero potuto essere risolti in tempi relativamente brevi».
Ora gli ambientalisti, anche quelli più critici con il REDD+, temono che il fallimento dell’accordo con la Norvegia dia al governo indonesiano la scusa per ridurre il suo impegno climatico. Kiki Taufik, forests campaigner di Greenpeace Usa, si è chiesto: «Questo respingimento della più importante partnership internazionale da parte dell’Indonesia segnala una mancanza di ambizione nel raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni?»
Secondo Global Forest Watch, l’Indonesia nel 2001 aveva 93,8 milioni di ettari di foresta primaria, foreste vetuste che in gran parte non sono state disturbate dall’attività umana, un’area grande quanto l’Egitto. Nel 2020 si erano ridotte di circa il 10%, una perduta di foresta vergine grande quanto il Portogallo.
Anche se è vero che dal 2016 in Indonesia il tasso di perdita delle foreste sia rallentato, gli esperti sono scettici sul fatto che l’accordo con la Norvegia abbia svolto un ruolo importante e puntano più su altri fattori, come la crescita economica più lenta e l’aumento delle precipitazioni.
Un’altra grossa critica che viene rivolta al REDD+ è che spesso i suoi programmi non prendono in considerazione i popoli indigeni, le cui terre e i cui diritti sono spesso oggetto proprio di interventi finanziati da REDD+, oppure non li compensano adeguatamente per il loro ruolo nella protezione delle foreste. Secondo un rapporto di Rainforest Foundation UK, «Nella Repubblica democratica del Congo, le comunità locali non sono state consultate prima dell’inizio dei progetti, portando a violenze e spargimenti di sangue». Un rapporto della ONG Fern ha scoperto che gli abitanti di un villaggio cambogiano coinvolto in un progetto REDD+ denunciano di aver ricevuto poco o nulla del denaro promesso per il loro lavoro di pattugliamento per aiutare a prevenire l’abbattimento degli alberi.
Alain Frechette, della Rights and Resources Initiative, che ha studiato alcuni schemi REDD+, è convinto che «Finora REDD+ è stato attuato senza prestare attenzione ai diritti delle comunità indigene».
L’Amazon Fund, istituito nel 2008 per pagare la riduzione della deforestazione in Brasile, al quale la Norvegia ha contribuito con 1,2 miliardi di dollari, è stato salutato da alcuni come un successo REDD+ e ha consolidato il sostegno politico e finanziario all’iniziativa. Ma la deforestazione è aumentata drasticamente da quando il presidente neofascista Jair Bolsonaro è salito al potere e ha annullato le politiche ambientali brasiliane.
Seymour, che è anche presidente dell’Architecture for REDD+ Transactions che certifica i crediti di carbonio su scala nazionale e provinciale nell’ambito del meccanismo, dice che «Il sistema non dovrebbe essere gettato via ma revisionato, per concentrarsi su iniziative su larga scala». E ricordando l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali, ha concluso: «Non c’è modo di raggiungere gli obiettivi sulle temperature dell’Accordo di Parigi senza fermare la deforestazione tropicale».