L’incredibile e sconosciuta vita dell’hotspot minerario in acque profonde di Clarion Clipperton Zone

Il 90% delle specie scoperte nella CCZ sono sconosciute alla scienza. E potrebbero essere molte di più

[26 Maggio 2023]

In molte aree dei fondali profondi dell’Oceano sono in corso esplorazioni per capire quali siano le loro risorse minerarie potenzialmente estraibili, ma si sa anv cora molto poco di cosa viva davvero sul fondo del mare.

Lo studio “How many metazoan species live in the world’s largest mineral exploration region?”, pubblicato su Current Biology da un team di ricercatori britannici e svedesi, e lo studio “A review of the International Seabed Authority database DeepData from a biological perspective: challenges and opportunities in the UN Ocean Decade”, pubblicato su Database da un team di ricercatori britannici del Natural History Museum e del  National Oceanography Centre, hanno esaminato tutti  dati pubblicati per le specie trovate nella Clarion-Clipperton Zone (CCZ), una vasta area dell’Oceano Pacifico tra le Hawaii e il Messico, una pianura abissale che finora era considerata insignificante sotto molti aspetti, tranne che per una cosa: è disseminata di noduli di minerali di grande valore.

Ma i due team di ricercatori, guidati entrambi da Muriel Rabone del Deep-sea systematics and ecology research group del Natural History Musem London, hanno scoperto che il fondale marino di Clarion-Clipperton  «E’ probabilmente molto più diversificato di quanto si pensasse» e stimano  «Tra le 6.000 e le 8.000 specie siano in attesa di essere scoperte, anche che questa è probabilmente una sottostima».

I noduli presenti in grande quantità  sui d fondali della CZZ sono aggregati di minerali come idrossidi di ferro e manganese, materiali che si prevede saranno sempre più richiesti  con l’acelerazione della trasizione energetica e verso la green economy. Una delle principali preoccupazioni è che l’attività mineraria sottomarina di profondità distruggerebbe fragili ecosistemi come quelli scoperti nella CZZ, che probabilmente sopravvivono immutati da milioni di anni. E’ per questo che pullulano le attività per capire cosa vive davvero nelle profondità oceaniche  e come funzionano quegli ecosistemi, prima di dare il via a qualsiasi attività minerari su larga scala che potrebbe distruggerli.

Per cercare di colmare alcune di queste lacune, un team di ricercatori ha approfondito i dati raccolti sulla fauna selvatica che è stata trovata nel CCZ negli ultimi decenni, scoprendo una serie di problemi riguardanti il modo in cui questi dati sono stati raccolti e archiviati dall’International Seabed Authority (ISA), l’organizzazione responsabile della gestione delle operazioni minerarie sul fondale marino. Dagli studi emerge che «Questo ha potenziali impatti sul modo in cui viene calcolata la diversità di queste regioni, il che a sua volta ha un effetto a catena sul modo in cui l’attività mineraria in queste regioni verrà concessa e regolamentata».

La Rabone è ha esaminato i dati raccolti sul CCZ per fissare una baseline su quel che conosciamo e, soprattutto, su ciò che non sappiamo della vita che nella pianura abissale e spiega: «Ho scoperto che alcuni dei dati registrati sono in realtà duplicati. Stiamo parlando di almeno un quarto dei dati, potenzialmente fino a un terzo. Questo sta riducendo le stime sulla diversità delle specie nella CCZ, e questo ha grandi implicazioni per la gestione ambientale delle cose». Questa analisi è stata pubblicata su Database, mentre lo studio pubblicato su Current Biology  e finanziato dal Pew Research Center, ha rilevato che «Circa il 90% di tutte le specie nella CCZ rimane senza nome».

La zona di Clarion-Clipperton  si estende su circa 6 milioni di Km2, un’area larga quanto gli Stati Uniti continentali e, con una profondità media di circa 5.000 metri, è uno degli ambienti più remoti e incontaminati del pianeta.  I ricercatori sottolineano che A prima vista il fango cosparso di noduli immerso nell’eterna oscurità potrebbe apparire inospitale. Ma guardando  un po’ più da vicino e brulica di vita, dai minuscoli vermi pelosi che scavano nel sedimento, agli spettrali anemoni di mare bianchi che si spostano sulla corrente e ai cetrioli di mare viola intenso che si aggirano lungo il fondo. La vita che si può trovare rigogliosa in queste acque gelide degli abissi è sorprendentemente varia, tra cui un’intera gamma di vermi, spugne , stelle marine, crostacei e persino stranipesci. E’ probabile che l’assoluta diversità di questa pianura abissale sia correlata alla sua straordinaria età e al fatto che le condizioni sono rimaste sostanzialmente invariate per tutto questo tempo, dando alle specie letteralmente milioni di anni per diversificarsi».

Nonostante questa apparente straordinaria biodiversità, si sa ben poco di cosa ci sia realmente laggiù. Negli ultimi decenni nella regione sono state realizzate numerose prospezioni da parte di appaltatori minerari e missioni organizzate da istituti scientifici e governi che hanno raccolto migliaia di singoli esemplari di specie, un grandissimo numero delle quali non è mai stato identificato ed è  potenzialmente nuovo per la scienza.

Il team della Muriel ha tentato di capire quale e quanta sia la biodiversità della CCZ  facendo  un inventario degli esemplari raccolti, quali specie rappresentano e cosa deve ancora essere capito.

La Muriel evidenzia che «Ci sono 438 specie note e nominate provenienti dalla CCZ, ma poi ci sono 5.142 specie senza nome o  con nomi informali. Queste sono specie che non sono state ancora descritte, il che significa che potremmo conoscere il genere, ma non possiamo identificare la specie. In realtà è molto più di quanto pensassi».

Mentre alcune creature  potrebbero appartenere a specie che sono già state descritte nella regione ma che sono semplicemente non identificate, sembra probabile che la maggior parte siano specie completamente nuove per la scienza e la ricercatrice  del Natural History Musem London aggiunge: «Sulla base dei dati, prevediamo che laggiù ci siano tra le 6.000 e le 8.000 specie animali per lo più sconosciute. Questo significa che circa il 90% delle specie non è noto alla scienza. Questa è una percentuale enorme, ma è importante notare che è più o meno la stessa per gli oceani nel loro insieme. La differenza significativa qui è che le pianure abissali vengono attivamente esplorate per l’estrazione di minerali prima di comprendere appieno cosa ci vive».

L’estrazione mineraria commerciale in acque profonde è fortemente avversata dagli ambientalisti che – come molti scienziati – div cono che ente contrastata – per decenni.

Alcuni ritengono che non sappiamo abbastanza sugli ecosistemi oceanici per garantire che l’attività mineraria non causi danni irreparabili. Ma drian Glover, ricercatore di merito del Natural History Musem London e coautore di entrambi gli studi, sottolinea che «La tassonomia è la più importante lacuna di conoscenza che abbiamo quando studiamo questi habitat unici. Dobbiamo sapere cosa vive in queste regioni prima di poter iniziare a capire come proteggere tali ecosistemi. L’esplorazione mineraria per creare tecnologie verdi non scomparirà. E’ iessenziale che lavoriamo con le imprese che cercano di estrarre queste risorse per garantire che qualsiasi attività di questo tipo venga svolta in modo da limitare il suo impatto sul mondo naturale. DeepData è un passo importante nella giusta direzione ed è fondamentale che tutti gli stakeholders  supportino l’ISA in questo lavoro».

Ora, però, gli scienziati sono preoccupati perché conoscere le specie che vivono nella CCZ è in realtà solo il primo passo per comprendere l’ecosistema nel suo insieme che e anche allora la tassonomia non avrà la  priorità che dovrebbe avere.  «In un certo senso sono sorpresa di quanto poco sappiamo – dice la Muriel. – Considerando che visitiamo la CCZ dagli anni ’60, ed è in realtà la regione abissale più conosciuta, eppure conosciamo ancora solo il 10% della diversità a livello di specie. E questa è solo la punta dell’iceberg. Perché questo non ci dice quale sia il funzionamento dell’ecosistema, non ci dice quale sia la connettività».

Fattori saranno fondamentali quando si esaminerà come le distruttive industrie minerarie potrebbero influenzare le comunità di organismi che vivono laggiù. »Ad esempio – fanno notare i ricercatori – se non sappiamo quanto sia collegata una parte della CCZ a un’altra, non abbiamo idea di come o se le specie saranno in grado di spostarsi dalle zone minerarie alle aree protette».

Sulla base dei risultati dei due studi, i ricercatori hanno formulato una serie di raccomandazioni su come andare avanti. Il primo passo consisterebbe nell’utilizzare appieno il database globale della Darwin Core, ma anche nel “ripulire” i dati già esistenti e garantire che ogni nuovo dato aggiunto sia incrociato con i database di altre specie per assicurarsi che sia il più accurato possibile. E concludono: «Speriamo che questo significhi che qualsiasi decisione futura presa sulla CCZ sarà presa su basi più solide».