L’impatto dei cinghiali sulla vegetazione e la biodiversità di un’area protetta

Il caso della Riserva Naturale Regionale dell’Insugherata

[26 Agosto 2020]

Lo studio “Wild boar (Sus scrofa) as a driving force of vegetation changes in an urban mediterranean forest affecting species richness and biodiversity within a protected area”, pubblicato su Forest@Journal of Silviculture and Forest Ecology da Alberto Todini, Regione Lazio, Direzione Capitale Naturale, Parchi e Aree protette, e Roberto Crosti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e Iucn – Cem, Ecosytems and invasive species, ha analizzato l’impatto del cinghiale sulla vegetazione della Riserva Naturale Regionale dell’Insugherata è un’area protetta che si estende per circa 700 ettari a Nord Ovest di Roma e «contraddistinta da un sorprendente grado di integrità ambientale, come indicato da diversi studi locali che hanno indagato, oltre alla componente vegetale anche varie comunità animali».

Todini e Crosti ricordano che «I residui di vegetazione forestale in ambiente urbano e periurbano, oltre a fornire servizi ecosistemici quali il miglioramento della qualità dell’aria, la mitigazione locale del clima, e ad offrire aree con funzione di svago e valore estetico-culturale, sono riconosciuti come luoghi iconici naturali e rappresentano dei siti di protezione di specie e di genotipi locali fondamentali per la conservazione della biodiversità. Nonostante l’oggettiva importanza di questi habitat marginali, la loro conservazione è sempre a rischio a causa della progressiva frammentazione e delle molteplici pressioni a cui sono sottoposti. Le loro ridotte dimensioni, infatti, riducono le loro capacità di resilienza ed aumentano gli effetti delle continue minacce di origine antropica (quali l’inquinamento, incendi, o l’eccessivo pascolo nelle zone dove è presente, oltre all’avanzare dell’urban sprawl)».

Lo studio evidenzia che «Nella regione mediterranea una delle specie considerate più impattanti (specie ecosystem allogenic engineers, sensu) è sicuramente il cinghiale (Sus scrofa), che per le sue caratteristiche biologiche (elevata capacità riproduttiva, plasticità ecologica, comportamento alimentare onnivoro ed opportunista), l’assenza o la scarsa incidenza di predatori naturali e le difficoltà gestionali di riduzione della densità, è in grado di impattare negativamente gli habitat frammentati; in habitat di fatto alterati il cinghiale può impattare come una specie invasiva, anche se la specie è di origine euroasiatica e quindi appartenente alla biocenosi della penisola italiana. Per poter gestire e mitigare la pressione del cinghiale sugli ecosistemi naturali è importante anche riuscire a quantificare l’entità degli impatti; la possibilità di confrontare lo stato degli habitat prima e dopo la comparsa di specie impattanti quali il cinghiale, non solo può essere utile a quantificarne gli impatti ma permette anche di avere informazioni sullo stato iniziale in caso di ripristino ambientale, in particolare all’interno delle Aree Protette la cui normativa di istituzione include, tra le altre finalità, la conservazione della biodiversità».

Nell’area di Roma nord i cinghiali hanno iniziati a diffondersi massicciamente dal 2005 «grazie anche al sistema ambientale costituito dalla rete delle aree protette periurbane, che ha favorito la diffusione della specie dalle aree verdi del sistema naturale/rurale esteso di Veio-Bracciano alle aree con esse in contatto, tra cui la Riserva dell’Insugherata, in cui non era anteriormente nota e dove ora, invece, ha una elevata densità – si legge nello studio –  I cinghiali, infatti, entrano nelle aree periurbane, dagli habitat naturali/rurali circostanti, sfruttando i corridoi ecologici alla ricerca di cibo e preferendo gli ambienti frammentati».

I ricercatori evidenziano che «Nell’area romana, come in tutto il Lazio ed in linea con il trend osservato in tutta la penisola italiana, il numero di individui di cinghiale è enormemente aumentato a partire dagli anni 2000 ed è tuttora in progressivo incremento, determinando localmente condizioni di vere e proprie “invasioni” anche in ambiti urbani e peri-urbani, di difficile gestione e con il rischio potenziale di impatto sugli ecosistemi forestali».

Dai rilievi effettuati è emersa una diminuzione di oltre il 15% delle specie vegetali nella Riserva Naturale dell’Insugherata. Anche gli altri indicatori utilizzati per valutare l’impatto dei cinghiali hanno evidenziato alterazioni dell’ambiente: «In particolare, le specie erbacee sono diminuite, in numero, di oltre il 20%. Le specie erbacee sono un ottimo indicatore dell’alterazione dell’habitat. A differenza delle fanerogame, infatti, il loro ciclo vitale breve fa sì che in caso di disturbo (non distruttivo come può essere quello, ad esempio, di un incendio), in una finestra temporale relativamente breve, il rinnovamento delle specie possa essere a rischio».

In presenza di intensa e prolungata pressione da rooting dei cinghiali,  «le geofite sono le specie più a rischio di depauperamento – avvertono i ricercatori – Il nostro studio conferma tale relazione, evidenziando come le specie appartenenti a questa forma abbiano subìto un forte impatto, testimoniato da una riduzione del numero di specie pari a circa il 23%, senza significative differenze tra stazioni mesofile e termofile. Analogo andamento ha mostrato la copertura totale delle geofite, ridottasi complessivamente del 30% circa. In generale, però, la diminuzione non è stata costante in tutte le stazioni».

La presenza dei cinghiali, con la loro grande mobilità e la cui diffusione è funzione principalmente della risorsa alimentare, costituisce un elevato fattore di disturbo per il suolo perché:  «(i) ne altera sia la struttura fisica che la composizione chimica; (ii) causa cambiamenti nella struttura dell’humus e del ciclo di mineralizzazione di C ed N nel suolo – scrivono i due ricercatori –  Nei nostri rilievi il disturbo medio del suolo per rilievo è risultato all’incirca del 13%, ma è stato anche evidenziato come nelle cenosi mesofile esposte a nord il disturbo del suolo sia maggiore rispetto a quelle termofile esposte a sud, come già osservato per le foreste decidue boreali in Svezia».

L’impatto dei cinghiali è particolarmente forte sulle orchidee: nel 2015 erano scomparse dell’Insugherata le 3 specie di orchidee rinvenute nello studio del 1994, «con una grave perdita in termini di biodiversità, un notevole impoverimento in termini di attrattività dell’area, dato il valore anche estetico ed evocativo delle specie». Lo studio ricorda che «La scomparsa delle orchidee, in generale, è indicatore di un peggioramento ecologico dell’habitat. L’impatto sulle orchidee è stato anche riportato in uno studio in zone umide in Spagna dove a seguito dei corridoi ecologici della rete Natura2000 la densità dei cinghiali è aumentata.

Preoccupante anche la situazione delle specie “localmente minacciate” o localmente rare, la cui conservazione dovrebbe essere uno degli obiettivi primari della Riserva: «Si sono ridotte, come numero totale di specie, da 19 a 14, con una riduzione pari al 26.3% e se il trend fosse esteso a tutta la Riserva, si avrebbe un’ulteriore prova di come una elevata densità di cinghiali, in assenza di fattori o azioni in grado di limitarla, metta di fatto a rischio la conservazione delle specie vegetali e, presumibilmente, anche le finalità istituzionali dell’Area Protetta».

L’indice di similarità di Sorensen evidenzia che c’è stato un turnover, o meglio un replacement, di specie, di circa il 40%, anche se non si segnala la presenza di specie esotiche invasive.

Concludendo, lo studio ha evidenziato «un impoverimento nella vegetazione, in particolare a carico specie dello strato erbaceo e, tra queste, delle geofite, che, pur in assenza di uno studio specifico causa-effetto, può essere ragionevolmente ricondotto alla presenza continuativa della popolazione di cinghiale nell’area. Da sottolineare la specifica vulnerabilità all’azione trofica del cinghiale, tra le geofite, delle orchidee (anche se le specie con bulbo-tubero presentano una fenologia intermedia tra geofite e emicriptofite). Da quanto detto si evidenzia l’urgenza dell’attuazione di forme di gestione della presenza dei cinghiali all’interno della Riserva Naturale dell’Insugherata, al fine di ridurne l’impatto sulle biocenosi naturali di fatto meno resilienti ai disturbi a causa delle dimensioni dell’area e della frammentazioni degli habitat. La pressione dei cinghiali, infatti, è potenzialmente in grado di causare perdite nette di biodiversità e conseguenti alterazioni nella struttura funzionale delle comunità ecologiche presenti».