L’eredità ecologica dei giganti marini erbivori scomparsi

Come le ritine di Steller estinte avrebbero rimodellato le foreste di alghe nel Pacifico settentrionale

[18 Ottobre 2021]

Circa 250 anni fa, al largo delle Isole Komandorskie, un arcipelago che sorge nel Mare di Beriing ad est della penisola della Kamchatka,  Russia, venne probabilmente uccisa l’ultima retina di Steller (Hydrodamalis gigas), un gigantesco e pacifico sireniano, parente stretto dei dugonghi e dei lamantini e che, con alcuni esemplari che potevano raggiungere 8 metri di lunghezza e le 10 tonnellate di peso, era probabilmente il più grosso mammifero vivente ad esclusione dei grandi cetacei.

L’ultimo di questi gentili megaerbivori marini di cui si ha notizia fu ucciso, macellato e mangiato nel 1768 da commercianti di pellicce affamati che stavano cacciando lontre marine della regione. Ora ci si chiede quali conseguenze l’estinzione delle gigantesche retine di Steller abbia avuto sull’ecosistema marino dove vivevano.

A dare qualche risposta è lo studio “The ghost of a giant – Six hypotheses for how an extinct megaherbivore structured kelp forests across the North Pacific Rim”, pubblicato recentemente su Global Ecology and Biogeography da un team di ricercatori dell’università della British Columbia (UBC) che ricorda

questi megaerbivori hanno influenzato la dinamica delle foreste di alghe nell’Oceano Pacifico settentrionale.

Come ricorda Devon Bidal su Akai Magazine, «Dalle balene ai mammut lanosi, la megafauna è fatta di creature carismatiche e di grandi dimensioni. In genere, gli animali che pesano più di 45 chilogrammi rientrano in questa categoria, mentre i megaerbivori pesano più di 1.000 chilogrammi. In passato, c’erano molti più di questi giganti e ognuno ha lasciato il suo segno colossale sugli ecosistemi in cui viveva. Ma il cambiamento climatico, la caccia e la perdita dell’habitat ne hanno spinto molti all’estinzione, con conseguenze incalcolabili per la funzione dell’ecosistema».

Le retine o mucche di mare di Steller vennero formalmente descritte per la prima volta dalla scienza occidentale nel 1741 dal naturalista Georg Wilhelm Steller, meno di 30 anni dopo erano già estinte.  Le retine, che in media pesavano 5 tonnellate (quanto un elefante africano) e 10 volte di più di un dugongo e di un lamantino, che pure ci sembrano enormi. I resoconti storici suggeriscono che le retine di Steller non fossero in grado di immergersi completamente e che pascolassero vicino alla superficie. Animali grandi e indifesi che vennero spazzati via facilmente dalla colonizzazione del nord Pacifico, ma prima una popolazione significativa di Hydrodamalis gigas viveva nelle aree costiere del Pacifico settentrionale, dal Messico all’Alaska al Giappone, convivendo con le popolazioni umane autoctone.

Analizzando le osservazioni fatte da Steller sul comportamento e la biologia di questi giganti estinti e confrontandole con le prove archeologiche e la conoscenza dei moderni ambienti costieri, il team della UBC guidato dall’ecologo marino Cameron Bullen, ha cercato di capire come le fretine di Steller influenzassero le dinamiche dell’ecosistema marino.  Bullen  fa notare che «Mentre è impossibile testare come questi megaerbivori influenzassero le foreste di alghe, è difficile immaginare che non avessero avuto alcun impatto. Le mucche di mare [di Steller] avrebbero cambiato il modo in cui altre specie presenti nel sistema avrebbero potuto interagire e aumentato la produttività delle foreste di alghe».

Visto che consumavano la parte superficiale delle grandi foreste di alghe come il kelp, permettevano a più luce solare di raggiungere il fondale, a beneficio delle alghe che crescono lì sotto. Il pascolo delle retine di Steller  potrebbe anche aver influenzato la dispersione di alghe, spore e sostanze nutritive all’interno dell’ecosistema e in altre parti dell’oceano.

L’australiana Helene Marsh, esperta di dugonghi alla James Cook University, che non è stata coinvolta nello studio, ha detto ad Akai Magazine che «Un analogo moderno della mucca di mare di Steller è il suo parente vivente più prossimo, il dugongo. I dugonghi vivono nelle praterie di alghe costiere nell’Oceano Indiano e in parti dell’Oceano Pacifico. Sono ingegneri ecosistemici che scavano prati di alghe, sgranocchiano piante e spargono semi. Se i dugonghi scomparissero, salvo importanti cambiamenti climatici, la composizione comunitaria delle fanerogame cambierebbe profondamente nel lungo periodo. Tuttavia, è improbabile che si estinguano presto. Sebbene i dugonghi siano vulnerabili a livello globale, la popolazione intorno all’Australia è fiorente».

Gli scienziati si sono chiesti a lungo come le retine di Steller svolgessero le stesse funzioni di dugonghi e lamantini nelle foreste di alghe e  commentando il nuovo studio Paul Dayton, un ecologo marino della Scripps Institution of Oceanography dell’università della California a San Diego, sebbene non sia del tutto convinto delle ipotesi  fatte dal team dell’UBC concorda sul fatto che «Le mucche di mare abbiano probabilmente avuto un ruolo nell’assottigliare la chioma di alghe e nell’aumentare la produttività e la diversità del sottobosco».

Bullen conclude: «Capire come la megafauna estinta abbia alterato l’ambiente è fondamentale quando si tenta di ripristinare gli habitat. Spesso i cambiamenti dell’ecosistema vengono valutati rispetto al presente, mentre dovrebbero essere confrontati con una baseline storica. Osserviamo le foreste di alghe e le vediamo in tutta la loro meraviglia… ma non si notano le cose che forse avrebbero potuto esserci se non fosse stato per l’azione umana o per altre influenze. Pensare ai fantasmi ecologici delle mucche di mare è un modo prezioso per cercare di capire davvero il passato e il presente di questi ecosistemi».