Le tartarughe marine embricate e comuni si incrociano. E potrebbe essere un problema

Il mistero dei maschi delle tartarughe marine, mentre nascono troppe femmine

[31 Marzo 2021]

Le tartarughe marine frequentavano già i mari e le spiagge del nostro pianeta 110 milioni di anni fa, quando i dinosauri vagavano sulla Terra, eppure la sopravvivenza di questi antichi rettili è a rischio e 6 delle 7 specie esistenti sono classificate come minacciate o in via di estinzione.

Come sottolinea Horizon – The EU Research & Innovation Magazine,  «Mentre sono in corso sforzi per proteggere le tartarughe, parte del puzzle che richiede una maggiore conoscenza riguarda gli effetti dell’accoppiamento interspecie, o ibridazione, in particolare tra le tartarughe marine embricate (Eretmochelys imbricata) e comuni (caretta caretta) in un’area del Brasile».

Nelle tartarughe marine l’ibridazione è stata osservata in 5 specie, ma quasi sempre a livelli molto bassi. Però, lo studio “New Genetic Insights About Hybridization and Population Structure of Hawksbill and Loggerhead Turtles From Brazil”, pubblicato nel luglio 2020 sul Journal of Heredity da un team di ricercatori brasiliani dell’ Universidade Federal de Minas Gerais e tedeschi del BeGenDiv – IZW, ha scoperto che, di alcuni siti di nidificazione nello Stato brasiliano nord- orientale di Bahia, il 30 – 40% delle femmine di tartarughe embricate sono, in realtà, ibridi di prima generazione derivanti da incroci con caretta caretta. Ibridi che possono quindi produrre una prole vitale di seconda generazione attraverso incroci, o “backcrossing”, sia accoppiandosi con meschi di embricata che di caretta caretta.

Horizon evidenzia che «Capire perché questo sta accadendo può essere importante per informare gli sforzi di conservazione perché l’ibridazione può avere conseguenze per la sopravvivenza delle specie. Potrebbe anche gettare una luce intrigante sul potenziale ruolo svolto dall’ibridazione nell’evoluzione a lungo termine, dato che si stima che le embricate e le Caretta  si siano separate geneticamente già 0 milioni di anni fa».

Una delle autrici dello studio poubblicato sul  Journal of Heredity la genetista Sibelle Torres Vilaça  . che all’epoca lavorava al BeGenDiv IZW in Germania e che ora è all’università degli studi di Ferrara (Unife) – sottolinea che nel regno animale non è molto comune che specie che si sono discostate così tanto tempo fa siano ancora in grado di ibridarsi: «Dal punto di vista evolutivo c’è una domanda interessante: cosa succede quando questi genomi si incontrano di nuovo? Alcuni casi di ibridazione delle tartarughe comportano incroci tra specie divergenti più di 60 milioni di anni fa, il che è molto insolito. Se si pensa ai primati, sarebbe qualcosa di simile all’ibridazione tra  umani e lemuri».

La Vilaça sta studiando le cause di questa ibridazione e le sue implicazioni nel progetto TurtleHyb, finanziato dall’Ue, che studia le ragioni e le conseguenze dell’ibridazione delle tartarughe marine. All’università di Ferrara spiegano che «Il progetto studierà i casi di ibridazione antichi e il loro rapporto con le popolazioni attuali; inoltre, analizzerà i genomi dei genitori e dei piccoli ibridi. I dati raccolti aiuteranno a comprendere il processo di ibridazione di queste tartarughe marine e a far progredire la nostra comprensione generale dell’ibridazione delle specie».

La Vilaça, ricercatrice del laboratorio del professor Giorgio Bertorelle del Dipartimento di scienze della vita e biotecnologie di Unife e vincitrice della borsa di studio europea Marie Skłodowska-Curie, spiega che ha deciso di dedicarsi allo studio delle tartarughe marine perché «Sono animali fantastici: nuotano nei nostri oceani da più di 100 milioni di anni. Oggi, purtroppo, 6 delle 7 specie rischiano di estinguersi soprattutto a causa della pesca accidentale, del commercio illegale, del bracconaggio delle uova, e dei cambiamenti climatici. La “casa” delle tartarughe è il mondo intero. Pensate che alcuni esemplari nidificano in Africa e poi arrivano fino al Brasile (il mio Paese d’origine) per mangiare. Durante questi viaggi, alcune tartarughe del Mediterraneo raggiungono anche la zona del ferrarese. Ed ecco il motivo per cui mi trovo qui. A Unife mi sono dottorata nel 2013, nell’ambito della biologia evoluzionistica e ambientale. Dopo un periodo in Germania, e una parentesi canadese, sono tornata qui perché ho avuto l’occasione di tornare nel laboratorio del professor Giorgio Bertorelle e studiare come proteggere le tartarughe marine. In particolare, il progetto che seguo, finanziato dal programma europeo Marie Skłodowska-Curie, si occupa di un rischio molto concreto per questa specie: l’ibridazione».

La Vilaça spiega ancora che l’ibridazione in corso lungo le coste di Bahia tra tartarughe embricate e comuni  «Dà vita ad esemplari ibridi poco fertili o sterili. Le conseguenze negative ricadono sia sull’esistenza delle due specie come entità distinte sia nei termini di perdita di adattamenti specifici» e che «Le cause non sono ancora del tutto chiare, ma probabilmente sono legate alla riduzione demografica e alla difficoltà di trovare partner della specie corretta».

Per la Vilaça, a Bahia gli incroci sono aiutati dalle stagioni di nidificazione di embricate e comuni che si sovrappongono e aggiunge che «Tenendo conto del fatto che le due specie maturano tra i 20 ei 40 anni, mentre finora sono state osservate due generazioni ibride, il mio  team ritiene che l’incrocio ad alta frequenza sia iniziato prima del 1980».

Il periodo successivo ha coinciso con il calo delle popolazioni di molte tartarughe marine, colpite dallo sfruttamento di uova e carne, dall’urbanizzazione costiera e dall’inquinamento.

Sebbene lo studio “Global sea turtle conservation successes”, pubblicato nel settembre 2017 su Science Advances da un team di ricercatori greci dell’università Aristotele di Salonicco e australiani della Deakin University conclude che le recenti attività di salvaguardia delle tartarughe marine mostrino i primi segni di successo con aumenti di alcune popolazioni, il cambiamento climatico si è andato ad aggiungere alle minacce precedenti.

La lunga durata della vita delle tartarughe marine, che spesso supera i 50 anni, rende difficile osservare questi processi a lungo termine, anche perché questi pacifici rettili passano gran parte la loro vita in mare. Per cercare di superare questi ostacoli, all’Unife il progetto TurtleHyb sta studiando come ricostruire la dinamica del processo di ibridazione, «Cercando ad esempio di stabilire – dice la Vilaça – quanto tempo fa è iniziato, attraverso lo studio dei genomi completi delle due specie e degli individui ibridi. Inoltre proveremo a identificare i geni che potrebbero causare l’incompatibilità tra genomi separati da così tanto tempo e la riduzione della sopravvivenza degli ibridi». Uno studio che riguarda anche l’Italia: «Grazie alla collaborazione con la Onlus Fondazione Cetacea di Riccione e alle conoscenze acquisite studiando i genomi degli animali campionati in Brasile, il progetto si estenderà anche all’analisi genomica di alcuni individui di tartaruga comune che nuotano nel mar Mediterraneo».

La Vilaça spiega ancora su Horizon che «Gli studi precedenti si sono spesso concentrati sull’analisi del DNA mitocondriale, ovvero le informazioni genetiche trasmesse dalla madre alla prole. Sebbene sia più facile da ottenere e sequenziare rispetto al DNA nucleare ereditato da entrambi i genitori, racconta solo una parte della storia». Ma, grazie ai recenti progressi e a un sequenziamento di nuova generazione meno costoso, TurtleHyb sta esaminando entrambi i tipi di DNA: «Dal genoma nucleare, possiamo dedurre se un ibrido è un F1 (prima generazione) o un backcross; possiamo anche raccontare la storia partendo da eventi di ibridazione più antichi e cercare i geni che potrebbero essere stati ereditati da loro», fa notare la Vilaça.

Questo potrebbe rivelare se l’ibridazione sia stata un evento ricorrente nella storia delle tartarughe marine e se abbia effettivamente fornito loro vantaggi per la sopravvivenza attraverso l’importazione di geni benefici. Il team della Vilaça, che spera di pubblicare presto alcuni risultati su questo, sta anche esaminando quanto gli eventi di ibridazione nella storia antica delle tartarughe possano aver contribuito al loro genoma.

Nel frattempo, la ricerca potrebbe avere implicazioni per la comprensione dell’ibridazione in altri animali, in particolare altre tartarughe e specie marine che possono so postarsi su lunghe distanze: «Possono disperdersi molto e migrare tra gli oceani … ci sono tutti questi possibili luoghi in cui possono incontrarsi», ha ricordato la genetista facendo riferimento a studi sull’ibridazione tra le balene  come “Whole-genome sequencing of the blue whale and other rorquals finds signatures for introgressive gene flow”. Pubblicato su Science Advances da un team di ricercatori svedesi e tedeschi nell’aprile 2018. Inoltre, potrebbero emergere adattamenti speciali che gli animali marini potrebbero sviluppare per restare specie separate in un ambiente così fluido.

Secondo Marc Girondot, ecologo dell’université  Paris-Saclay, «Gli ibridi di tartaruga possono essere un segno di un profondo cambiamento dell’ambiente. Tuttavia, non è nemmeno chiaro quanto fosse prevalente l’ibridazione in passato, quindi ulteriori ricerche possono aiutare a individuare quanto del processo sia un cambiamento “normale” e quanto sia causato dalle pressioni umane».

Per Camila Mazzoni, del Leibniz-Institut für Zoo- und Wildtierforschung, che ha collaborato con la Vilaça nello studio precedente, «E’ necessario scoprire di più sul fatto che l’ibridazione tra embricata e caretta caretta ponga problemi a lungo termine perché potrebbe essere qualcosa che avrà conseguenze tra decenni o tra un secolo. Se è localizzato, potrebbe non essere un grosso problema e potrebbero esserci modi per mitigarlo. Ma se ci sono sempre più ibridi maschi e con il passare del tempo iniziano ad allontanarsi dal loro luogo di nascita, allora si sta diffondendo».

In effetti, il recente studio “Genomic evidence of recent hybridization between sea turtles at Abrolhos Archipelago and its association to low reproductive output”, pubblicato su Scientific Reports da un team di ricercatori brasiliani e tedeschi e condotto nell’arcipelago di Abrolhos a 70 chilometri al largo di Bahia, un algtro sito di dove si incrociano tartarughe embricate e comuni, suggerisce che gli ibridi siano in svantaggio riproduttivo, con solo un quarto delle loro uova che produce piccoli vivi, rispetto a più della metà per le specie pure. La Mazzoni sottolinea su Horizon che «Questi sono i primi risultati che non possono fornire informazioni genetiche storiche dettagliate, con l’analisi dell’intero genoma necessaria per fornire ulteriori informazioni. Tuttavia, suggeriscono che, a prima vista, sembrerebbe improbabile che questo caso di ibridazione sia vantaggioso, dato l’enorme lasso di tempo trascorso da quando le due specie si sono discostate. Allo stesso tempo, le tartarughe si sono evolute più lentamente di molti altri vertebrati, rimanendo quindi potenzialmente compatibili per molto più tempo. Allora chi lo sa? Forse sono il caso speciale in cui, anche se sono molto distanti, possono comunque importare qualcosa dalle altre specie e avere dei vantaggi. Tuttavia, una grande sfida è capire meglio i movimenti e il comportamento dei maschi. Sebbene le tartarughe femmine tornino alla loro spiaggia di nascita per deporre le uova, i maschi rimangono in mare per tutta la vita, rendendo difficile raccogliere campioni e rintracciarli, anche se ne vengono scoperti altri indirettamente attraverso l’analisi del DNA».

Pur non concentrandosi sugli ibridi, Michael Jensen, un biologo marino dell’Aalborg Universitet danese guiderà il progetto SeaTGen che partirà il 21 aprile e chesi concentrerà sulle tartarughe verdi (Chelonia mydas) che vivono nell’Oceano Indiano sud-occidentale. SeaTGen «Studierà il modo in cui le popolazioni interagiscono e in cui possono essere colpite dalle minacce nei terreni di nidificazione e nelle aree di foraggiamento, nonché lungo i loro corridoi migratori – spiegano i ricercatori danesi – In particolare, il progetto impiegherà polimorfismi a singolo nucleotide dell’intero genoma combinati con marcatori tradizionali di mtDNA. Metodi genetici innovativi con dati dall’ecologia del movimento (telemetria satellitare) e dall’oceanografia saranno usati per valutare la struttura della popolazione e la storia demografica recente. I risultati saranno utili per azioni di conservazione future». E il progetto sta proprio cercando di svelare di più sul comportamento dei maschi di tartaruga verde.

Un motivo importante per saperne di più sui maschi di tartarughe marine è al centro dello  studio “Environmental Warming and Feminization of One of the Largest Sea Turtle Populations in the World”, pubblicato da Jensen, insieme a ricercatori australiani e statunitensi, su Current Biology nel gennaio 2018. Si tratta di una ricerca sulla Grande Barriera Corallina, che ha rivelato che ci sono  siti di nidificazione che producono quasi tutte femmine, il che potrebbe avere implicazioni sul modo in cui le tartarughe saranno influenzate dal cambiamento climatico, perché temperature di incubazione più elevate per le uova producono più femmine. «In futuro, in giro ci saranno abbastanza maschi di tartarughe con cui le femmine si accoppieranno?» si chiede Jensen.

SeaTGen, analizzerà sia il DNA nucleare che mitocondriale e utilizzerà la telemetria satellitare e la modellizzazione oceanica. Jensen  conclude: «Saremo in grado di ottenere un quadro più completo di come queste popolazioni sono collegate, cosa che raramente viene eseguita per le tartarughe marine. Saremo in grado di esaminare le rotte migratorie e fattori come le correnti oceaniche e le temperature della superficie del mare che influenzano il modo in cui le popolazioni di tartarughe si mescolano nelle aree di foraggiamento. Questi metodi sono promettenti per ottenere una migliore comprensione su come conservare le tartarughe, insieme ad altri fattori che potrebbero esaurire le popolazioni come l’ibridazione. Quando saremo in grado di collegare accuratamente le tartarughe, o qualsiasi specie, campionate lontano dalle spiagge di nidificazione all’origine della loro popolazione, creeremo uno strumento incredibilmente potente per valutare le minacce alle popolazioni di tartarughe marine, anche se le minacce si verificano lontano dalle spiagge di nidificazione».