Le modifiche della legge quadro sulle aree protette alla prova della ragionevolezza

[12 Marzo 2014]

Giovedì 6 marzo in Commissione ambiente del Senato è stato presentato un testo elaborato sulla base del confronto dei  tre disegni di legge che contengono modifiche alla legge quadro sulle aree protette (l. 394 del 1991):  n. 119 D’Alì (NCD),  n. 1004 De Petris (SEL), n. 1034 Caleo (PD).

Ricordo in sintesi le tappe precedenti. All’inizio della scorsa legislatura, il 13 ottobre 2009, il sen. D’Alì presentava il ddl n. 1820, Nuove disposizioni in materia di aree protette, che conteneva quasi esclusivamente norme in materia di aree protette di mare. Su questo testo si affastellavano disordinatamente emendamenti e subemendamenti che riguardavano soprattutto i parchi nazionali. Il 21 dicembre 2012, giorno precedente allo scioglimento anticipato delle Camere, la Commissione ambiente del Senato approvava in sede deliberante il testo emendato. Il primo giorno di questa legislatura (15 marzo 2013) lo stesso sen. D’Alì presentava lo stesso testo (ddl n. 119) sul quale l’Assemblea del Senato l’11 settembre concedeva la procedura abbreviata ai sensi dell’art. 81 del suo regolamento. Il 6 agosto e il 10 settembre venivano presentati gli altri due ddl. Tra ottobre e dicembre la Commissione svolgeva una serie di audizioni informali con enti e associazioni.

 Dal punto di vista formale il testo unificato contiene errori, contraddizioni, oscurità e alcune gravi sgrammaticature istituzionali e di tecnica legislativa. Queste negatività sono dovute in parte a una redazione incomprensibilmente affrettata, in parte a una non lodevole assenza di approfondimento, in parte a una sorta di peccato originale: come si è detto, infatti, il testo approvato nella scorsa legislatura, la cui struttura ha costituito la base dei ddl attuali, era nato come riforma delle aree protette di mare ed era dotato di una sua organicità; con gli emendamenti e i subemendamenti, però, si era trasformato in un articolato fortemente disomogeneo e difficilmente correggibile. Il testo unificato aggiunge errori ad errori, accresce la confusione, introduce ulteriori sgrammaticature, sicché appare quasi impossibile sanarlo con gli emendamenti che inevitabilmente verranno riproposti sia in commissione sia in aula e che anzi rischiano di peggiorarne ulteriormente la comprensibilità.

Qui prescindo volutamente dalle questioni di merito,  pur non potendo fare a meno di rilevare che il testo mostra di respingere alcune importanti proposte migliorative contenute nel ddl De Petris e di non tenere  in alcun conto le gravi perplessità manifestate da una parte rilevante del movimento ambientalista con particolare riguardo alla composizione del Consiglio direttivo dei parchi nazionali, all’introduzione delle royalties, alla gestione della fauna.

Faccio invece riferimento ad alcune delle questioni formali più gravi e delicate sottolineando che, almeno in parte,  esse si rinvengono anche nei tre ddl.

Innanzi tutto appare evidente il forte squilibrio verso le aree protette di mare. Lo squilibrio è certamente il frutto di quel peccato originale, ma il fatto che non sia stato avvertito dimostra che oggi l’attenzione non è rivolta al disegno complessivo, ma solo ad alcuni aspetti legati a interessi specifici, con la conseguenza inevitabile di lasciare al margine le questioni di fondo, la strategia generale, i grandi obiettivi e nello stesso tempo i problemi concreti, quotidiani, che affliggono i gestori delle aree protette. Due esempi significativi: la consulta, organo fondamentale per assicurare la partecipazione delle associazioni di categoria, di quelle ambientaliste e del mondo della ricerca, è prevista solo per le aree protette di mare e non per i parchi per i quali invece sarebbe assolutamente necessaria; la data certa per le assegnazioni finanziarie ordinarie dello Stato valgono solo per le aree protette di mare, mentre per le altre resta l’attuale indeterminatezza.

Il testo unificato, poi, ignora che il programma triennale per le aree protette è stato soppresso da oltre quindici anni (dall’art. 76 del d.lgs. 112 del 1998  di cui opportunamente il ddl De Petris ha previsto, inascoltato,  l’abrogazione), con la conseguenza che  alcune sue norme sono prive di senso. Il testo sembra anche ignorare la soppressione del Comitato per le aree naturali protette e il trasferimento delle sue funzioni alla Conferenza Stato Regioni (d.lgs.  281 del 1997): su questo punto massima è la confusione perché per un verso si fa riferimento al Comitato soppresso, per altro verso se ne istituisce uno nuovo e soprattutto si confonde la Conferenza Stato Regioni con la Conferenza unificata, creando problemi di coordinamento pressoché insolubili (a parte la constatazione che al nuovo Comitato vengono affidate funzioni che sarebbero proprie degli uffici tecnici del Ministero dell’ambiente).

Anche l’introduzione  della categoria del parco geologico – non contemplata da nessuno dei tre ddl, ma salutata con entusiasmo da alcuni osservatori, suggestionati forse dall’esistenza della rete Unesco dei geoparchi –  appare assai problematica dal momento che la tutela delle formazioni geologiche è già oggi prevista espressamente dalla 394:  per fare un solo esempio, il più grande parco nazionale italiano, il Parco del Cilento, che è uno dei nove attuali geoparchi Unesco italiani, deve essere considerato parco nazionale con un consiglio direttivo di nove membri o un “parco geologico statale” con un c.d. di soli cinque membri? Sarebbe molto più lineare e significativo prevedere la possibilità di inserire la qualifica di parco geologico, come anche eventuali altre qualifiche (es. parco fluviale), nella denominazione ufficiale di un’area protetta.

Ma soprattutto il testo unificato – e prima ancora tutto il dibattito che si è svolto in questi anni sulle modifiche della 394 – ignora completamente le conseguenze che sulla pianificazione dei parchi ha avuto la riforma del titolo V della Costituzione del 2001, in base alla quale il legislatore statale – come è stato sottolineato dalla dottrina giuridica – ha qualificato la pianificazione urbanistica come funzione fondamentale del comune. Si è aperta pertanto una gravissima questione di legittimità costituzionale delle vigenti norme sulla formazione e sull’approvazione del piano del parco e in questa luce l’inserimento del programma pluriennale economico e sociale nel piano del parco, che oltre tutto priva la Comunità del parco del suo potere più importante, appare ancora più grave.

Anche la previsione delle royalties, al di là delle valutazioni di merito, pone delicati problemi. Attribuire premi – tali sono le royalties – per impianti o attività ambientalmente impattanti contraddice la funzione fondamentale delle aree protette che è quella di conservazione e di valorizzazione, a meno di non tradire il concetto stesso di valore e considerare quei premi una forma di valorizzazione: in realtà di quella previsione emerge con chiarezza la illogicità che porta a dubitare della sua stessa legittimità costituzionale sulla base del principio, più volte fissato dalla Corte costituzionale, secondo cui la ragionevolezza è principio generale che fonda il giudizio di legittimità delle leggi. Ma anche le royalties per attività e impianti non impattanti sono problematiche: escludere dai premi i comuni dove quelle attività si svolgono o quegli impianti sono collocati e attribuirli esclusivamente agli enti gestori delle aree protette senza neppure condizionarli  a un’effettiva ed efficace azione di conservazione appare per lo meno dubbio sul piano della legittimità.

Ancora: il ruolo di Federparchi. E’ giusto e doveroso riconoscerle un ruolo importante nella partecipazione e nella consultazione, ma attribuirle addirittura “la titolarità della rappresentanza istituzionale in via generale degli enti di gestione delle aree protette” purché garantisca “la facoltà di accesso alla federazione a tutte le aree protette” costituisce un’evidente violazione della libertà di associazione. Non dimentichiamo che per i sindacati, ma non per il sindacato unico, a prevedere una rappresentanza sotto un certo profilo analoga vi è un’apposita norma costituzionale.

Tanti altri sarebbero i problemi formali da rilevare e sarebbe altresì  necessario indicare le molte questioni importanti che il testo non affronta: dall’attualizzazione delle finalità fondamentali delle aree protette, e in particolare dei parchi, al coinvolgimento effettivo dei cittadini alla vita di essi; dal rapporto tra le aree protette e il resto del territorio naturalisticamente rilevante all’approvazione della Carta della natura e delle linee fondamentali di assetto del territorio e al ruolo della classificazione dell’Uicn; dalla natura dell’ente parco, il cui inserimento tra gli enti del c.d. parastato  crea notevolissimi problemi, al ruolo della Comunità del parco e al problema dell’eguale composizione delle diverse comunità; dall’introduzione di un effettivo controllo dei risultati della gestione alla “dipendenza funzionale” del personale del Corpo Forestale dello Stato.

Mi limito a sottolineare che, se non si affrontano le questioni fondamentali, inevitabilmente nella riflessione viene a mancare il respiro strategico e il dibattito, come sta succedendo, finisce per esaurirsi in schermaglie tattiche e in conflitti fondamentalmente ideologici e per inasprire quello scontro che sulle aree protette divide attualmente l’ambientalismo italiano.

Non è forse ragionevole, a questo punto, fermare il cammino delle modifiche della legge quadro e iniziare a riflettere,  in modo trasparente, tutti insieme?

Carlo Alberto Graziani per greenreport.it