L’Asinara il turismo, i Parchi e le isole-carceri

Sebastiano Venneri risponde a Enzo Valbonesi. «È un compito difficile, ma chi ha detto che gestire i parchi sia un mestiere facile?»

[31 Agosto 2020]

Caro Enzo, la tua posizione sulla vicenda Asinara riportata su greenreport qualche giorno fa mi trova decisamente in disaccordo. Sintetizzo brutalmente le tue considerazioni: già una ventina d’anni fa il Parco all’Asinara era sostanzialmente inutile perché sull’isola c’era poca natura da proteggere. Oggi, davanti al rischio di uno sviluppo turistico di quel territorio, auspichi addirittura il ritorno dell’istituto di pena. Meglio carcerati e carcerieri insomma che turisti.

Nel corso degli anni passati prima di te numerosi esponenti politici di diversi schieramenti hanno argomentato sull’utilità del ritorno delle carceri sulle piccole isole convinti, in quel caso, che sarebbe stato semplice trovare in questo modo soluzioni a buon mercato al sovraffollamento carcerario. In realtà riattivare gli istituti di pena smessi da decenni nelle isole è un’operazione prima di tutto economicamente svantaggiosa. Troppo vetusti gli immobili, troppo oneroso per l’erario mantenere dipendenti pubblici in quei luoghi e, tutto sommato, forse neanche tanto piacevole e rispettoso dei diritti dei detenuti, più interessati probabilmente a visite agevoli da parte dei loro congiunti o a rapidi trasferimenti in luoghi di cura piuttosto che ad avere una cella al sole.

Nessuno di quei politici aveva però provato ad argomentare che il carcere è preferibile addirittura al parco nella gestione del territorio. A me Enzo questa sembra un’ammissione di sconfitta, tanto più sorprendente in bocca a chi i parchi li ha voluti, creati, diretti (abilmente!) e promossi come presidio avanzato nella buona gestione del territorio. Tu dici che il primo obiettivo del parco è la tutela della natura, ma questo non esime i parchi dal confrontarsi con le economie che insistono sul loro territorio: l’agricoltura, la zootecnia, l’artigianato e anche l’economia turistica. Mi sembra troppo facile nascondersi dietro il dito della difesa della natura, quasi che i presidenti e i direttori dei parchi siano grigi funzionari, occhiuti soprintendenti ambientali preoccupati solo di contabilizzare l’aumento di biodiversità conseguito durante l’anno in corso. La sfida è ben più complessa e non si deve limitare solo a registrare l’aumento della naturalità dei luoghi, ma deve fare i conti con la qualità dello sviluppo, la crescita demografica, l’innovazione dei sistemi territoriali e tanto altro ancora. Dirai che non è compito dei parchi, ma le sfide a volte non possiamo scegliercele. Un filosofo del passato avrebbe detto “Hic Rhodus, hic salta!”

Tu preferiresti addirittura consegnare le chiavi del territorio al generale o al colonnello di turno perché organizzi esercitazioni o tiri al bersaglio all’interno delle aree protette piuttosto che lasciarsi coinvolgere nella sfida della gestione, con buona pace degli enti locali e dei parchi (la storica battaglia del Parco dell’Alta Murgia!) che da anni lottano contro le servitù militari sui loro territori. Probabilmente anche il Covid19 ha avuto effetti benefici sulla biodiversità, ma non mi sognerei mai di auspicarne la sua permanenza neppure per un giorno.

Infine, e non da ultimo, dalle tue considerazioni traspare una valutazione negativa nei confronti del turismo, si tratti addirittura anche di turismo sostenibile. E anche qui mi trovi profondamente in disaccordo. C’è in quel che dici una malcelata condanna della vacanza, come si trattasse di attività connessa al lusso e poco ai bisogni. Vacanze e turismo sono una necessità, un’esigenza, un diritto (le ferie sono addirittura un obbligo!), una conquista di civiltà: il turismo di massa ha fatto danni irreparabili e i paesaggi di Goethe erano probabilmente più suggestivi, ma con lo sguardo rivolto all’indietro non si procede.

Sono d’accordo naturalmente a fissare limiti, criteri d’accessibilità, numeri chiusi e quant’altro serva a vincolare la fruizione di territori delicati come le aree protette, purché i criteri di selezione non facciano riferimento né al censo né alla fedina penale. Per anni l’Asinara è stato luogo di pena e di dolore, ha ospitato criminali e agenti penitenziari, poi il Parco ha liberato quel territorio, ne ha tolto i vincoli, lo ha reso finalmente accessibile a tutti. Alla faccia dei parchi chiusi! Ai gestori il compito di definirne le modalità di fruizione, ma la partita è questa e non si torna indietro. È un compito difficile, ma chi ha detto che gestire i parchi sia un mestiere facile?

Un saluto affettuoso

Sebastiano Venneri – Responsabile Turismo Legambiente

 

P.S.: quanto sopra è frutto di mie considerazioni personali non discusse all’interno di Legambiente, associazione della quale Enzo è pure autorevole membro. Intendevo solo dare seguito a un dibattito interessante, e spero anche utile per chi legge, nel solco della massima di Lippmann che recita: “dove tutti pensano allo stesso modo, nessuno pensa granché”.