La natura è il rimedio alla crisi climatica ma in Italia le aree protette aspettano la loro primavera

Nicoletti: dopo l’adozione della Strategia Ue per la biodiversità, in Italia nessuno dei target previsti ha evidenziato avanzamenti, a partire dal 30% del territorio e del mare protetti

[29 Dicembre 2022]

A Montreal la 15esima Conferenza delle Parti (COP15) ha raggiunto un accordo che ci pare insufficiente a contrastare efficacemente la perdita di biodiversità: la principale emergenza del Pianeta strettamente connessa alla crisi climatica in atto. Un accordo che, sostanzialmente, conferma che gli obiettivi che intendono perseguire i 196 Paesi firmatari sono gli stessi che ha individuato la Ue con la sua Strategia per la biodiversità al 2030.

Se anche la COP 15 conferma le stesse preoccupazioni di noi Europei vorrà dire che va tutto bene? Non proprio, perché l’aver condiviso il problema a livello globale, comprese le soluzioni da mettere in pratica, non ci assicura che poi ognuno farà il dovuto.  Perché troppo spesso la pratica ha smentito le buone intenzioni che abbondano negli accordi sottoscritti in occasione dei Summit globali. Perché raramente i Paesi ricchi rispettano gli impegni verso quelli più poveri ed i sacrifici li devono fare sempre i più deboli che sperano, invano, in risorse finanziarie e di aiuti allo sviluppo che non arrivano mai. Perché alle popolazioni indigene viene proposto di tutelare le risorse naturali e in cambio non si offrono più diritti per utilizzarli direttamente ma prevalgono accordi che favoriscono chi vuole sfruttare le loro ricchezze.

Ma per capire quanto siano fragili gli accordi globali come questo sottoscritto a Montreal, e quanto sia ampio lo scarto tra le parole ed i fatti, basta riflettere su quanto non è avvenuto nel nostro Paese da maggio 2020 a oggi.

Da maggio 2020, appunto, data di adozione della Strategia della Ue per la biodiversità al 2030 ancora nessuno tra i tanti target previsti ha evidenziato avanzamenti, a partire da quello che appare “più semplice” e prevede la tutela legale di almeno il 30% del territorio e del mare dell’intera Unione Europea. In questi ultimi due anni, ad esempio, in Italia nemmeno un ettaro di nuovo territorio o di mare è stato tutelato e nessuna area protetta istituita e, al contempo, è aumentato il consumo di suolo (nel 2021 è cresciuto di 19 ettari al giorno) mentre le strategie per la gestione della fauna selvatica le orientano le pressioni dei cacciatori anziché gli esperti ed i ricercatori.

Sappiamo bene che istituire nuove aree protette nel nostro Paese non è una cosa semplice, perché Legambiente è attivamente impegnata su questo obiettivo, ed è un dato di fatto che, dall’approvazione della legge alla operatività di una qualsiasi area protetta, passano dai 7 ai 10 anni in media. Una lunga fase che attraversa diverse generazioni di persone che, da una parte reclamano i territori “promessi” alla natura e dall’altra difendono altre scelte. Processi decisionali carenti durante i quali, mentre le comunità locali e tutti i loro interessi si confrontano e si scontrano, può succedere che l’integrità dei luoghi interessati venga compromessa irrimediabilmente e si perda la motivazione stessa per tutelare quel territorio.

Perciò è un atto di civiltà democratica decidere sull’iter istitutivo delle troppe aree protette che attendono di vedere la luce e, in alcuni casi, sono in un limbo da oltre 30 anni.

Questi ritardi sono la cifra del fallimentare processo politico e burocratico che sta alla base delle nostre leggi in materia che prevedono un processo decisionale lungo con un iter complesso e, dal 2010 in poi, abbiamo assistito a un “inverno” delle aree protette durante il quale, la politica e la burocrazia hanno congelato la nascita di qualsiasi nuova area protetta mettendo in atto una strategia dilatatoria e sfiancante. Se analizziamo le statistiche scopriamo che, dal 2010 al 2022, sono state istituite pochissime aree protette e tra queste solo 3 interesse nazionale: il Parco nazionale di Pantelleria nel 2016, l’Area marina protetta di Capo Testa-Punta Falcone nel 2018 e l’Area marina di Capo Milazzo nel 2019.

La legge quadro sulle aree protette 394/91 ha generato nel Paese tante aspettative positive, ed ha accompagnato efficacemente l’obiettivo di realizzare un sistema di aree protette basato sulla crescita della tutela della natura per creare nei territori protetti laboratori dove promuovere lo sviluppo sostenibile e far crescere i benefici per le comunità locali.

In effetti dal 1990 al 2010, anche grazie all’entusiasmo dei sostenitori della legge, la percentuale dei territori protetti è aumentata del 7,5%, passando dal 3% pre-legge quadro al 10,5% del 2010 (dato certificato dal 6° aggiornamento dell’Elenco ufficiale delle aree protette del MASE) e in 20 anni il territorio nazionale protetto si è triplicato.

Nel periodo successivo tra il 2010 e il 2022, invece, la crescita delle aree protette ha visto un incremento quasi decimale dovuto al solo impegno dello Stato e senza il contributo delle Regioni che se d’intesa decidessero di inserire le aree di Rete Natura 2000 tra quelle protette, che in totale rappresentano il 25% del nostro territorio, i target previsti sarebbero alla nostra portata.

Con i ritmi attuali lenti e farraginosi, invece, nel nostro Paese l’obiettivo del 30% di territorio e di mare protetto sarà raggiunto nel 2097: tra 75 anni quando il cambiamento climatico avrà mutato il paesaggio, aggravato la desertificazione e reso più fragili gli ecosistemi.

Occorre perciò fare presto e, in coerenza con gli accordi sottoscritti nei Summit e concordati con l’Ue, accompagnare le scelte giuste per puntare sulla natura quale rimedio alla crisi climatica. Deve crescere la fiducia nelle soluzioni basate sulla natura, che sono una occasione per migliorare il nostro benessere e quello del Pianeta e non un limite alle opportunità. Ma per ottenere risultati concreti servono nuove aree protette ed è necessario che quelle esistenti diventino un modello da replicare e non una zavorra per i territori che, da troppo tempo, aspettano la primavera dopo un lungo inverno.

di Antonio Nicoletti

responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente