La Montagna perduta: come la buona politica può trasformare le aree montane in opportunità

Negli ultimi 60 anni, la montagna ha perso 900.000 abitanti mentre nel Paese ce ne sono 12 milioni in più

[10 Febbraio 2016]

Secondo il  rapporto “La montagna perduta- Come la pianura ha condizionato lo sviluppo italiano”, curato dal Centro Europa Ricerche (CER) e dalla Trentino School of Management (TSM), in Italia «la popolazione montana è crollata dal 42 al 26% in 60 anni». Anche se rappresentano il 43% della superficie italiana, i territori montani subiscono un progressivo e silenzioso spopolamento a delle pianure. «Eppure – sottolinea il rapporto – la responsabilità non è tanto da attribuire all’orografia quanto a scelte politiche sbagliate. Tanto è vero che, dove i decisori pubblici hanno saputo mettere in campo policy pubbliche lungimiranti, i dati sono in netta controtendenza, fino a rappresentare delle vere e proprie best practice per l’intero Paese». Il rapporto ha ricevuto il patrocinio di Senato, dell’Unione nazionale Comuni Comunità Enti Montani e  Fondazione Dolomiti Unesco, presentandolo il presidente del Senato Pietro Grasso ha detto che «I territori montani sono un nodo strategico per l’economia verde, in una società che vede sempre più avanzare la crisi idrica ed energetica. Adeguate politiche pubbliche devono essere in grado di superare le condizioni di svantaggio che limitano le potenzialità della montagna non ancora sufficientemente sfruttate».

Il curatore dello studio, Gianfranco Cerea, economista dell’università di Trento, ha sottolineato che «Del dissanguamento delle comunità residenti in montagna si è parlato sempre molto poco. La letteratura, che pure abbonda di lavori sul divario Nord-Sud, quasi mai ha studiato il rapporto tra pianura e montagna. Ecco il senso di questa ricerca, tutta dedicata alla cosiddetta “questione montana”». Eppure in 9 regioni su 20, oltre la metà dei comuni insiste su un territorio montano.

I numeri dello spopolamento sono davvero impressionanti: già nel 1991, la popolazione residente in montagna era diminuita del 10% rispetto al 1951 e  «A fronte di una popolazione italiana cresciuta di 12 milioni di unità negli ultimi 60 anni, la montagna ha perso 900mila abitanti. La crescita si è quindi concentrata in pianura (8,8 milioni di residenti in più) e collina (+4 milioni). Risultato: se nel 1951 la popolazione montana era il 41,8% rispetto a quella di pianura, oggi rappresenta solo il 26%». Crea fa notare che si tratta di un meccanismo che si autoalimenta: «Avere meno popolazione significa avere meno peso politico, minore domanda di servizi e un’organizzazione più difficile con una conseguente maggiore propensione all’emigrazione in pianura».

Ma i ricercatori fanno tre esempi di rottura di questo  circolo vizioso: «In Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta la popolazione è cresciuta tanto da attestarsi tra le prime cinque regioni che hanno avuto il maggiore incremento generale di popolazione. In particolare, la provincia di Trento è la principale destinazione delle migrazioni interne. E, accanto al saldo migratorio interno favorevole, un altro dato è stato sottolineato nella ricerca: Trentino e Alto Adige hanno anche il secondo più basso rapporto di anziani per bambini, ribaltando una classifica che, 40 anni fa, le vedeva al settimo posto. Il merito di questa apparente contraddizione è delle buone politiche pubbliche adottate nel corso del tempo dagli amministratori locali, che hanno trattato la montagna non come un limite ma come una specificità, puntando su una dotazione di infrastrutture non minore rispetto ai territori di pianura, anche a fronte di un costo più alto, garantendo un maggiore accesso ai servizi pubblici essenziali e una qualità di vita elevata. Elementi che hanno permesso alle imprese di prosperare e all’agricoltura di rivoluzionarsi, divenendo moderna e competitiva. Per raggiungere questi risultati invidiabili, un contributo essenzialeè arrivato dall’autonomia gestionale delle risorse economiche del territorio. Ma da sola l’autonomia non basta: Fatto 100 il valore al 1970 della ricchezza di partenza tale valore, nel 2012 per il Trentino arriva a 345, quello della provincia di Bolzano a 328 mentre la media nazionale è ferma a 264 e la Sicilia, altra regione autonoma, ha un valore di 230. L’aver avuto a disposizione risorse aggiuntive non ha significato avere dovunque gli stessi risultati, ma rimane centrale il tema della capacità non solo di spendere, ma anche di spendere bene, creando reale ricchezza e opportunità per il territorio».

A fare la differenza sono le politiche pubbliche che hanno trattato la montagna non come un limite ma come una specificità, puntando su una dotazione di infrastrutture non minore rispetto ai territori di pianura – anche a fronte di un costo più alto –, che hanno garantito un’accessibilità maggiore ai servizi pubblici essenziali e la creazione di una qualità di vita elevata. Elementi che hanno permesso alle imprese di prosperare e all’agricoltura di rivoluzionarsi, divenendo moderna e competitiva. Proprio l’innovazione, dunque, ha permesso a queste due regioni di uscire dalla triade negativa di agricoltura – anzianità delle persone – spopolamento.

Ugo Rossi, presidente della Provincia Autonoma di Trento, ha concluso: «Da questa ricerca emerge con forza che le diversità delle politiche hanno inciso dal punto di vista qualitativo. Da più parti ci si invita a riflettere sulla nostra autonomia. Ma noi tale riflessione l’abbiamo fatta da tempo, accettando di aumentare le nostre competenze e diminuire al tempo stesso la percentuale di risorse locali che tratteniamo nel nostro territorio per contribuire a ripianare il debito pubblico nazionale. L’autonomia non è la difesa di un mondo e delle proprie prerogative dalle minacce esterne, ma è la tutela delle nostre buone esperienze, del nostro bagaglio di conoscenza, di uno strumento che ha garantito la qualità di vita dei nostri cittadini».