La malattia fungina che stermina gli anfibi porta a picchi di malaria

Uno studio che mette in evidenza l'importanza della biodiversità per la salute umana

[28 Settembre 2022]

Tra gli anni ’80 e 2000. decine di specie di rane, salamandre e altri anfibi sono scomparse silenziosamente da molte aree dell’America Latina, estinzioni locali o globali che hanno suscitato scarso interesse tra l’opinione pubblica, escluso un piccolo gruppo di ecologisti. Eppure, secondo lo studio “Amphibian collapses increased malaria incidence in Central America”, pubblicato su Environmental Research Letters da un team di ricercatori statunitensi, panamensi e keniani, «Il declino degli anfibi ha avuto conseguenze dirette sulla salute delle persone».

Infatti, lo studio collega la scomparsa di un anfibio in Costa Rica e Panama con un picco di casi di malaria nella regione ed evidenzia che «Al culmine del picco, fino a 1 persona ogni 1.000 ogni anno ha contratto la malaria che normalmente non ci sarebbe stata se non si fosse verificata la morte dell’anfibio».

Il principale autore dello studio, Michael Springborn del Department of environmental science and policy dell’università della California – Davis, ricorda che «Gli ecosistemi stabili sono alla base di tutti i tipi di aspetti del benessere umano, compresa la regolazione dei processi importanti per la prevenzione e la salute delle malattie. Se permettiamo che si verifichino enormi interruzioni dell’ecosistema, possono avere un impatto sostanziale sulla salute umana in modi difficili da prevedere in anticipo e difficili da controllare una volta che sono in corso».

Dall’inizio degli anni ’80 alla metà degli anni ’90, il Batrachochytrium dendrobatidis (Bd), un micidiale patogeno fungino, si è diffuso nel Costa Rica, devastando le popolazioni di anfibi. Poi, negli anni 2000, questo fungo chitride degli anfibi ha continuato il suo percorso verso est attraverso Panama. In tutto il mondo il Bd ha portato all’estinzione di almeno 90 specie di anfibi e al declino di almeno altre 500 specie.

Poco dopo la morte di massa di anfibi in Costa Rica e Panama, entrambi i Paesi hanno registrato un picco di casi di malaria.

I ricercatori spiegano che «Alcune rane, salamandre e altri anfibi mangiano centinaia di uova di zanzara ogni giorno. Le zanzare sono un vettore per la malaria». Gli scienziati si sono chiesti, la morte  degli anfibi potrebbe aver influenzato l’aumento dei casi di malaria? Per scoprirlo hanno messo insieme le loro conoscenze sull’ecologia degli anfibi, i dati sulla salute pubblica appena digitalizzati e i metodi di analisi dei dati sviluppati dagli economisti.

Uno degli autori dello studio, Joakim Weill del Federal Reserve Board Usa,sottolinea che «Sappiamo da tempo che esistono interazioni complesse tra gli ecosistemi e la salute umana, ma misurare queste interazioni è ancora incredibilmente difficile. Ci siamo arrivati ​​unendo strumenti e dati che di solito non vanno insieme. Non sapevo cosa studiassero gli erpetologi prima di collaborare con uno di loro!»

I risultati dmostrano «Una chiara connessione tra il momento e il luogo della diffusione del patogeno fungino e il momento e il luogo dell’aumento dei casi di malaria». Gli scienziati fanno notare che «Sebbene non possiamo escludere completamente un altro fattore confondente, non abbiamo trovato prove di altre variabili che potrebbero portare la malaria e seguire lo stesso schema di morte».

Anche la perdita di copertura arborea è stata associata a un aumento dei casi di malaria, ma non nella stessa misura della perdita di anfibi. I normali livelli di perdita della copertura arborea fanno aumentare i casi annuali di malaria fino a 0,12 casi ogni 1.000 persone, rispetto a 1 su 1.000 per la morte degli anfibi.

La principale motivazione che ha spinto i ricercatori a condurre lo studio è la preoccupazione per la futura diffusione di malattie simili attraverso il commercio internazionale di specie selvatiche. Ad esempio, il Batrachochytrieum salamandrivorans , o “Bsal”, minaccia di invadere allo stesso modo del Bd gli ecosistemi attraverso i mercati globali.

Springborn ha concluso: «Le misure che potrebbero aiutare a prevenire la diffusione di agenti patogeni nella fauna selvatica includono l’aggiornamento delle normative commerciali per individuare meglio le specie che ospitano tali malattie, man mano che la nostra conoscenza delle minacce si evolve. I costi per mettere in atto tali misure di protezione sono immediati ed evidenti, ma i vantaggi a lungo termine derivanti dall’evitare interruzioni dell’ecosistema come questa sono più difficili da valutare ma potenzialmente enormi, come dimostra questo studio».