La farfalla ritrovata dopo 42 anni sui Monti della Laga rischia di estinguersi per il cambiamento climatico

L’Erebia pandrose sevoensis si è rivelata essere una sottospecie endemica che vive solo in meno di 10 km2 intorno alla vetta del Monte Gorzano

[29 Ottobre 2021]

Il cambiamento climatico sta causando cambiamenti nella distribuzione di molte specie e le popolazioni che vivono sulle cime delle montagne sono particolarmente vulnerabili perché non possono spostare il loro areale più in alto. Gli Appennini sono una catena montuosa relativamente stretta e bassa ed< ospitano numerose popolazioni isolate di specie montane. La farfalla Erebia pandrose sevoensis è una sottospecie endemica dell’Appenino, vive soltanto sulle vette più alte dei Monti della Laga ed è geneticamente unica. Si tratta probabilmente della farfalla appenninica che rischia maggiormente l’estinzione a causa dei cambiamenti climatici. Questa popolazione è geneticamente diversa da tutte le altre di questa specie e la sua scomparsa sarebbe una grossa perdita.

L’ultima volta, l’Erebia pandrose era stata segnalata  in Appennino nel 1977, sulla sommità del solo massiccio dei Monti della Laga, ora lo studio “The isolated Erebia pandrose Apennine population is genetically unique and endangered by climate change”, pubblicato su Insect Conservation and Diversity da un team internazionale di ricercatori guidato da Ginevra Sistri dello ZEN Lab del Dipartimento di biologia dell’università di Firenze, ha confermato «La presenza di una piccola popolazione isolata  di E . pandrose nell’Appennino, ad una distanza di oltre 400 km da eventuali altre popolazioni conosciute».

Il team di ricerca sottolinea che «La popolazione appenninica rappresenta un ceppo endemico caratterizzato da otto mutazioni». Nelle Alpi e negli Appennini, all’anno dalla fine del XIX secolo questa specie si è spostata verso l’alto di oltre 3 metri, ma dal 1995 c’è stata una forte accelerazione: oltre 22 metri all’anno dal 1995 e lo studio fa notare che «I modelli di distribuzione delle specie suggeriscono che queste popolazioni montane subiranno una perdita generalizzata di idoneità climatica , che, secondo le nostre proiezioni, potrebbe portare all’estinzione della popolazione appenninica in pochi decenni. L’Erebia pandrose ha il potenziale per diventare una specie di punta per pubblicizzare il rischio di perdere frazioni uniche di diversità genetica per le specie di montagna».

Anche se la maggior parte delle specie di Erebia in Europa sono presenti sui massicci più alti come Alpi, Pirenei e Balcani, 12 specie sono presenti anche lungo la catena appenninica, dove le popolazioni di specie adattate al freddo non possono fare grandi spostamenti verso l’alto e sono inevitabilmente più vulnerabili ai cambiamenti climatici rispetto alle specie  alpine.  Un bel problema, visto che è possibile che le popolazioni appenniniche rappresentino lignaggi endemici «Perché – spiegano ancora i ricercatori – le Alpi e l’Appennino sono due centri di endemicità distinti; in molti casi, popolazioni assegnate alla stessa specie rappresentano lignaggi endemici molto divergenti, anche a livello di quasi-specie».

Lo studio si è concentrato sulla popolazione appenninica di Erebia pandrose (Borkhausen, 1788). Se questa specie è diffusa nelle Alpi, Pirenei, Carpazi, Balcani e in parte della Scandinavia, tutte le segnalazioni in Appennino provengono da un’unica località al di sopra dei 2.000 metri: nei prati in vicini alla vetta del Monte Gorzano, nei Monti della Laga, in un areale che probabilmente è di meno di 10 km2, una zona fortunatamente difficile da raggiungere nel Parco Nazionale. Quindi, come fanno notare i ricercatori, la sopravvivenza di questa popolazione «Non sembra essere minacciata da cambiamenti nell’uso del suolo, mentre il cambiamento climatico può rappresentare una seria minaccia».

Visto che l’ultimo riscontro letterario in Appennino risaliva al 1977, era possibile – come era già accaduto con diverse popolazioni locali di Erebia nell’Appennino – che questa popolazione fosse già estinta quando è partito il nuovo studio, fortunatamente non è stato così e ora i ricercatori possono scrivere; «Abbiamo confermato l’esistenza della popolazione appenninica di E. pandrose sui Monti della Laga (Italia centrale) in un’area ristretta a ridosso della vetta del Monte Gorzano compresa tra 2200 e 2300 m slm. Abbiamo osservato diversi individui (15-20), per lo più femmine logore, il che indica che il picco dell’attività adulta si verifica probabilmente all’inizio di luglio».

Insomma, dopo 42 anni la farfalla era ancora lì e «L’analisi del marcatore mitocondriale COI ha rivelato che questa popolazione appartiene a un ceppo endemico, differenziato da otto e sei mutazioni oltre 658 bp rispettivamente dalle popolazioni europee e asiatiche. Questa stirpe endemica è ristretta ad un’area molto piccola e di alta quota nella parte superiore dei Monti della Laga. Cambiamenti storici nell’areale altitudinale e modelli di distribuzione delle specie tra le Alpi e gli Appennini indicano che nell’Appennino E. pandrose popolazione potrebbe scomparire in pochi decenni».  Quindi la popolazione di  E. pandrose dei Monti della Laga è geneticamente differenziata (1,2%) dal principale aplogruppo distribuito in tutta Europa.

Ma lo studio evidenzia che questa popolazione endemica è a forte rischio: «I modelli di distribuzione delle specie prevedono una forte riduzione dell’idoneità climatica per E. pandrose negli Appennini tra il 2040 e il 2060. Questa previsione si basa su uno scenario intermedio, quindi, in base all’andamento delle emissioni e alle fluttuazioni climatiche imprevedibili, il previsto abbassamento delle l’idoneità e il conseguente declino della popolazione potrebbero essere ritardati o anticipati. Sembra inevitabile che, tra qualche decennio, le aree dove questa specie è ora presente saranno caratterizzate da condizioni climatiche, che attualmente si registrano in aree a bassa quota dove la specie è presente raramente».

Per i ricercatori è purtroppo «Difficile immaginare azioni di conservazione che possano salvaguardare la popolazione appenninica di E. pandrose dai cambiamenti climatici. Tra le soluzioni proposte da Sgrò et al . (2011) per sostenere la resilienza evolutiva a livello di popolazione, la possibilità di aumentare la dimensione della popolazione e mantenere geni e tratti adattivi sembra molto difficile da perseguire. L’area abitata da questa piccola popolazione fa già parte di un Parco Nazionale e il disturbo antropico è minimo. È inoltre difficile ipotizzare azioni per mitigare localmente gli effetti dei cambiamenti climatici come il prolungamento della permanenza del manto nevoso (ad es. mediante l’utilizzo di recinzioni antineve). Difficile è anche il trasferimento in altre aree appenniniche, dal momento che nessuna area di grandi dimensioni appare adatta in futuro e non è previsto alcun trend positivo in tutta la regione. Inoltre, il massiccio dei Monti della Laga è caratterizzato da un substrato geologico marnoso arenaceo anziché di tipo calcareo diffuso nell’Appennino centrale. Questa peculiare condizione geologica consente il mantenimento di un suolo più umido, probabilmente fondamentale per la presenza di E. pandrose . A questo proposito, ogni tentativo di traslocare E. pandrose in altre aree appenniniche (superiori) potrebbe essere inutile».

Lo studio – realizzato in collaborazione con Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e finanziato dal progetto “Ricerca e conservazione sui lepidotteri diurni di sei Parchi Nazionali dell’Appennino centro-settentrionale” e con il supporto di Fundación “La Caixa”, Suomen Akatemia e  Institutul de Cercetare al  Universității din București  –  conclude: «A causa della sua distribuzione molto ristretta e dei distinti requisiti ambientali, questa popolazione è estremamente vulnerabile all’aumento delle temperature. Pertanto, questa popolazione sembra essere a rischio di estinzione nei prossimi decenni, il che rappresenterebbe un’importante perdita di diversità genetica e probabilmente funzionale a livello di specie. Un monitoraggio costante della popolazione sarà fondamentale per capire possibili azioni locali e affrontare gli effetti del riscaldamento globale. Nel frattempo, E. pandrose potrebbe rappresentare un’importante specie ammiraglia per aumentare l’interesse per la conservazione dei ceppi genetici endemici della penisola italiana, nonché di altre aree europee di endemismo con caratteristiche simili».