Infrastrutture e biodiversità: le misure di compensazione non funzionano

Studio francese: «E’ difficile attestare che i guadagni della bodiversità saranno maggiori delle perdite»

[4 Ottobre 2019]

Anche se ben condotte, le misure di compensazione dei progetti infrastrutturali sottoposti a valutazione di impatto ambientale, come le strade, le ferrovie o le linee elettriche, non permettono di riequilibrare le perdite di biodiversità prodotte dagli interventi. E la sconsolante conclusione alla quale giunge il recente studio “Biodiversity offsetting: Certainty of the net loss but uncertainty of the net gain”, pubblicato recentemente su Biological Coinservation da un team di ricercatori della Sorbonne Université e Université Paris-Saclay.

I progetti infrastrutturali hanno inevitabilmente un forte impatto sulla biodiversità e per quelli più importanti e realizzati nelle aree più delicate devono essere misurate le conseguenze negative che poi dovrebbero essere “compensate” per arrivare a una perdita netta zero di biodiversità. Le misure di compensazione prevedono il ripristino di habitat degradati, la maggiore salvaguardia di alcuni ecosistemi, la piantumazione risarcitoria di alberi. Tutte azioni che devono essere all’altezza del danno causato.

Il problema, come fa risaltare lo studio, è che si tratta di teoria e che per valutare davvero i risultati di queste compensazioni rimane da rispondere a molte domande come: di quali perdite di biodiversità bisogna tener conto? Su quale base vanno valutati i progetti? Come trovare l’equilibrio tra distruzione e biodiversità?

Lo studio dei ricercatori francesi dice che le risposte date finora non sono soddisfacenti e per rispondere «alla necessità di studiare la maniera in cui sono previsti perdite e guadagni e come vengono valutati dai pianificatori di infrastrutture e dalle autorità», e per questo hanno studiato 25 progetti, i relativi studi di impatto ambientale e le ricadute sulla collettività. I ricercatori fanno notare che questa situazione non è la norma, visto che la maggioranza dei lavori che vengono realizzati non necessita di autorizzazioni di questo tipo e non appartengono a categorie che hanno bisogno di valutazioni di impatto o incidenza ambientale.

I 25 progetti studiati autorizzati tra il 2012 e il 2017, sono stati realizzati tutti in Hauts-de-France e in Occitanie (17, un quarto dei progetti autorizzati in quel periodo).

Una delle autrici dello studio, Fanny Guillet del Centre d’Écologie et des Sciences de la Conservation, CNRS, Sorbonne Université, ha spiegato a Liberation che «Nel dettaglio, si tratta di b16 strade e autostrade (10 nuove costruzioni e 6 ampliamenti), una ferrovia, due elettrodotti, due acquedotti sotterranei e tre gasdotti. Le azioni più correntemente previste per compensare questi progetti erano il mantenimento o la protezione di habitat, la creazione di stagni, il trapianto di specie vegetali, l’apertura di habitat (abbattimento di alberi, pacciamatura, triturazione) e il ripristino di coperture arboree».

Studiando le procedure amministrative di questi progetti, gli autori dello studio hanno prima notato un significativo squilibrio tra il livello di dettaglio fornito sugli impatti delle opere e la scarsa accuratezza delle misure compensative da attuare: «Ii siti di compensazione e il loro status ecologico venivano descritti superficialmente. Per quanto riguarda i risultati previsti della compensazione, quasi nessuno dei progetti fornisce un obiettivo esplicito e meno del 5% dei file considera un’opzione di backup in caso di fallimento del loro piano la compensazione. Non è necessariamente inaccettabile, ma implica un ripristino molto efficace. Invece, in alcuni casi, l’ubicazione dei siti su cui doveva avvenire il risarcimento era approssimativa, non identificata o non comunicata». La Guillet fa notare che «In questo tipo di situazione, è difficile attestare che i guadagni della bodiversità saranno maggiori delle perdite».

Un’altra cosa abbastanza sconcertante è che, diverse volte, il risarcimento annunciato è ricaduto in siti già in buone condizioni. I promotori di progetti hanno compensato i loro interventi in aree molto degradate o in aree agricole intensive (17%) mentre solo nel 20% dei casi e solo nel 3% delle aree si trattava di siti artificiali prima del lavoro compensativo. Ma nell’80% delle situazioni studiate, ci si accontentava di preservare ambienti semi-naturali – come macchia, foreste, boschi o prati – significativamente meno degradati rispetto al sito interessato. La Guillet evidenzia che «Con misure più leggere, il potenziale di guadagno ecologico è molto meno importante perché si parte quasi dall’obiettivo ricercato».

Infine, mentre l’area totale delle zone impattate raggiunge i 2.451 ettari (con un solo progetto di oltre 1.000 ettari e la maggior parte degli interventi in un’area continua), le zone di compensazione coprono solo 577 ettari, perché si tiene conto solo dell’area occupata da specie protette che non possono essere soggette a misure di elusione o riduzione. Infatti, nel contesto delle procedure di autorizzazione amministrativa, la compensazione è solo il terzo aspetto giuridico di un trittico, chiamato “CER”, dopo di che la compensazione deve riguardare solo gli impatti residui che le prime tappe non hanno permesso di sopprimere.

Mentre le aree più colpite occupano un’intera area, le aree dedicate alla compensazione sono frammentate in una miriade di piccoli siti, «rendendo ancora più difficili l’ottenimento di guadagni della biodiversità». Secondo lo studio, in media ci sono quasi 4 siti di compensazione per un sito del progetto e questo anche se le specie animali o vegetali che si intendeva “risarcire” preferiscono grandi spazi senza interruzioni o disturbo.

La conclusione della Guillet i è semplice e senza appello: «L’obiettivo iniziale non viene raggiunto, le misure di compensazione non correggono le perdite di biodiversità e non limitano l’impatto dell’artificializzazione dei territori. Vorremmo più biodiversità su meno superficie. Lo studio dimostra che i progetti sono scritti, rivisti e persino approvati senza alcuna informazione per prevedere l’equivalenza tra perdite e guadagni».