In Brasile la deforestazione avanza ancora. I diritti dei popoli indigeni retrocedono

Greenpeace: Italia terzo importatore di soia dalla Rondônia tra i Paesi Ue

[26 Ottobre 2021]

I sorvoli condotti ad agosto e settembre 2021 da Greenpeace Brasil in collaborazione con il Popolo Indigeno Karipuna e il Conselho Indigenista Missionário (CIMI) hanno rivelato «Una uova ondata di deforestazione in Brasile per la richiesta crescente di carne e soia. La deforestazione che interessa il nord dello stato di Rondônia e mette a rischio la sopravvivenza del Popolo Indigeno Karipuna, è legata alla conversione della foresta in pascoli per il bestiame, e apre la strada all’espansione delle piantagioni di soia, e quindi alla produzione ed esportazione di carne e soia in tutto il mondo, Unione europea inclusa».

Greenpeace Italia ricorda che «Con oltre 48 mila tonnellate di soia proveniente dalla Rondônia, nel 2020 l’Italia è stata il terzo principale importatore dell’Ue dopo Paesi Bassi e Spagna, e tra i primi 5 principali importatori di soia dallo Stato brasiliano a livello internazionale. Tra gennaio e settembre di quest’anno, l’Italia ha importato dalla Rondônia quasi 23 mila tonnellate di soia, posizionandosi come quinto importatore dell’Ue e tra i primi 10 importatori a livello internazionale».

Secondo Martina Borghi, campagna Foreste di Greenpeace Italia, «Il problema è di portata internazionale: negli ultimi 10 anni, la produzione di soia nello stato del Rondônia è triplicata e in buona parte è destinata all’esportazione. Tanto che l’area è minacciata anche dal mega-progetto “Corridoio Nord”, che prevede la costruzione di strade, ferrovie e porti per aumentare la capacità logistica dei trasporti di soia verso il mercato globale. L’Ue deve varare una normativa rigorosa che impedisca l’ingresso sul mercato comunitario di prodotti e materie prime legati alla violazioni dei diritti di Popoli Indigeni e alla distruzione di foreste ed ecosistemi essenziali».

Dal 2017 il Popolo Karipuna collabora con Greenpeace Brasil e il CIMI per monitorare la deforestazione in un’area di circa 150 mila ettari che nel 1998 il governo brasiliano ha riconosciuto di proprietà esclusiva dei Karipuna.  Greenpeace denuncia che «Tra il 2019 e il 2020 la deforestazione all’interno delle loro terre è stata di 589 ettari, ma tra agosto 2020 e luglio 2021 sono stati rilevati 850 ettari di terreno deforestato: un aumento del tasso di deforestazione del 44%».

Negli anni ‘70, quando gli occidentali arrivarono nelle terre dei Karipuna, li sterminarono. Sopravvissero al genocidio solo 8 persone, tra cui Katiká Karipuna, il padre di Adriano Karipuna, che oggi è uno dei leader del suo Popolo che ha spiegato: «Noi Karipuna ci occupiamo di monitorare la deforestazione nelle nostre terre per denunciare deforestazione e attività illegali, ma lo Stato deve attuare un piano di protezione permanente e fermare l’accaparramento delle terre».

L’aumento delle invasioni nelle aree protette da parte di gruppi criminali è il risultato della legge complementare 1.089 approvata quest’anno dal governatore di Rondônia, il colonnello Marcos Rocha, che ha tolto 202.000 ettari di aree protette nello Stato, rimuovendo la protezione di arre significative della Reserva Extrativista Jaci-Paraná e del Parque Estadual de Guajará-Mirim. Anche se la legge è stata impugnata in tribunale. La Resex Jaci-Paraná ha perso quasi il 90% del suo territorio e il Parco Guajará-Mirim ha perso 55.000 ettari.

Amanda Michalski, una geografa dell’Universidade Federal de Rondônia, spiega che «Dal 2019 ad oggi c’è stato un aumento dell’area del land grabbing in Rondônia, e spesso quello che chiamiamo land grabbing online, in aree vicine alle unidades de conservação e persino all’interno delle unidades de conservação . Oggi possiamo già vedere che questo allevamento di bestiame che si trova nel nord del Rondônia si sta già spostando verso il sud dell’Amazzonia e parte dell’Acre, e la soia sta avanzando qui a Porto Velho.  L’azione dei governi statale e federale è stata decisiva per l’intensificazione di questo processo nella regione.  Rondônia è come un laboratorio di criminalità ambientale. Se ha funzionato in Rondônia, questo si intensificherà e vedremo questo processo basato su ciò che stanno cercando di mettere insieme, questa nuova regionalizzazione che si chiama AMACRO».

Cristiane Mazzetti, della campanha de Amazônia di Greenpeace Brasili, spiega a sua violta che « AMACRO è un acronimo formato dalle iniziali di Amazonas, Acre e Rondônia, ed è una regionalizzazione economica che mira a incoraggiare la produzione agricola nella regione. Nonostante la parola “sostenibilità” compaia in tutte le pubblicazioni ufficiali sul progetto, la sua struttura è costruita attorno all’ampliamento delle infrastrutture e degli incentivi finalizzati alla produzione agricola. Questo è preoccupante, soprattutto perché, oltre a incoraggiare un modello non inclusivo che si nutre della deforestazione, non parla dell’urgenza climatica e della crisi della biodiversità, e può aprire sempre più l’accesso a parti praticamente intatte dell’Amazzonia».

Per Queops Silva de Melo, rappresentante del CIMI di Lábrea, «Purtroppo le politiche pubbliche nella regione sono più orientate all’agrobusiness che alle attività che coesistono con la foresta, il che si traduce in questa disparità tra i modelli economici. Ciò di cui la gente non ha bisogno qui è incoraggiare la produzione estrattiva. Questa regione a sud dell’Amazzonia è vista come un’area di libera esplorazione, si prende la produzione degli indigeni, dalla riva del fiume, ed è molto economica. Allo stesso tempo portano dall’estero cose che non fanno parte della nostra cultura, della nostra vocazione, il nostro sistema qui è un sistema ricchissimo di biodiversità. Se lo valorizzassimo con le politiche pubbliche, avremmo risorse sufficienti per vivere bene tutti».

Le continue minacce che vengono da Brasilia, dal governo del presidentre neofascista Jair Bolsonaro, come la possibilità di approvazione della legge del Marco Temporal, aggiungono un ulteriore livello di pressione. La tesi, difesa ardentemente dalla destra ruralista, dentro e fuori il Congresso, e da Bolsonaro, che ha promesso di «Non demarcare un pollice di terra indigena», sostiene che un popolo indigeno può avere la propria terra delimitata solo se può dimostrare che vi si trovava il 5 ottobre 1988, data in cui fu promulgata la Costituzione, ignorando l’intero processo di colonizzazione, durante il quale molti popoli furono decimati, ridotti in schiavitù, fu loro vietato di  parlare la propria lingua e ad esercitare la propria identità culturale, nonché espulsi dalle loro terre.

Antônio Enésio Tenharim, coordenatore generale dell’Organização dos povos indígenas do Alto Madeira (Opiam), ribatte: «Non è così, siamo qui da molto tempo, siamo qui da molto prima del 5 ottobre 1988. Quindi capiamo che la demarcazione dei nostri territori deve essere completata. Ho delimitato il mio territorio. Altri parenti qui nella nostra regione non ce l’hanno fatta. Quindi dobbiamo lottare per loro».

Questa non è l’unica minaccia proveniente da Brasilia. Anche la demolizione della Fundação Nacional do Índio (Funai), il Projeto de Lei 191/2020, che punta a consentire l’estrazione mineraria nelle Terre Indigene  minacciano che l’integrità delle popolazioni indigene non solo in Amazzonia, ma in tutto il Brasile.

La Mazzetti conclude: «Viviamo in un’epoca in cui la foresta e le sue popolazioni sono gravemente minacciate dall’indebolimento degli organi di controllo pubblico, da una serie di proposte legislative, che mirano a consegnare le foreste pubbliche alla deforestazione, e da una visione di sviluppo sbagliata per l’Amazzonia. La regione dell’Amazzonia meridionale, della Rondônia settentrionale e dell’Acre è un’altra espressione di questa visione che deve essere rivista immediatamente, vista l’emergenza climatica e la vulnerabilità sociale presenti in Brasile. E’ necessario rendere praticabile un’economia capace di convivere con la foresta e promuovere un reale sviluppo della regione. A pochi giorni dal 26° Summit delle Nazioni Unite sul clima, noto anche come COP26, i brasiliani e il resto del mondo stanno rivolgendo la loro attenzione ad ascoltare ciò che i governi presenteranno come contributo alla risoluzione della crisi climatica. Il Brasile, che potrebbe essere protagonista in questo dibattito, purtroppo va nella direzione opposta».