In Australia la maggior parte dei “cani selvatici” sono in realtà dingo puri

Proteggere l'ecosistema evita l’ibridazione dingo – cane. Rivedere i sistemi di contenimento letale

[1 Aprile 2021]

Il nuovo studio “The myth of wild dogs in Australia: are there any out there?”, pubblicato su Australian Mammalogy da un team di ricercatori dell’University of New South Wales (UNSW) e dell’ University of New England –  Armidale, rivela che «Quasi tutti i cani selvatici in Australia sono geneticamente più della metà dingo»  suggerendo che le misure letali per tenere sotto controllo le popolazioni di “cani rinselvatichiti” sono principalmente mirate ai dingo.

Lo studio raccoglie i risultati di oltre 5.000 campioni di DNA di canidi selvatici in tutta l’Australia, facendone il dataset sui dingo (Canis dingo) più ampio e completo esistente fino ad oggi.

Il team ha scoperto che il 99% dei cani selvatici testati erano dingo puri o ibridi a predominanza dingo (cioè un cane ibrido con oltre il 50% di geni di dingo).  Del restante 1%, circa la metà erano ibridi a predominanza cane e l’altra metà cani rinselvatichiti.

La principale autrice dello studio, la biologa Kylie Cairns di UNSW Science, sottolinea che «In Australia non abbiamo un problema con i cani selvatici. “Semplicemente non si sono stabiliti in natura. Ci sono rari casi in cui un cane potrebbe adattarsi al bush, ma non stanno contribuendo in modo significativo alla popolazione di dingo».

Lo studio si basa su un precedente studio (“Geographic hot spots of dingo genetic ancestry in southeastern Australia despite hybridisation with domestic dogs”), pubblicato nel  2019 su Conservation Genetics dallo stesso team che ha scoperto che la maggior parte dei canidi selvatici nel NSW sono dingo puri o ibridi a predominanza dingo. Il nuovo studio ha esaminato campioni di DNA provenienti da studi precedenti realizzati in tutta l’Australia, inclusi oltre 600 campioni e dati non pubblicati in precedenza.

I ricercatori evidenziano che «I dingo puri – dingo senza ascendenza canina rilevabile – costituivano il 64% dei canidi selvatici testati, mentre un ulteriore 20% erano almeno tre quarti dingo». Risultati che mettono in dubbio l’opinione consolidata che i dingo puri siano praticamente estinti in natura e mettono in dubbio l’utilizzo diffuso del termine “cane selvatico”. La Caims dice che «”Cane selvatico” non è un termine scientifico, è un eufemismo. I dingo sono un animale nativo australiano e a molte persone non piace l’idea di utilizzare un controllo letale sugli animali nativi. Il termine “cane selvatico” viene spesso usato nella legislazione governativa quando si parla di controllo letale delle popolazioni di dingo».

Quando si tratta di animali nativi e culturalmente significativi, la terminologia usata per riferirsi a una specie può influenzare i nostri atteggiamenti nei suoi confronti, specialmente. Questo linguaggio può contribuire ad altri malintesi sui dingo, come il poter essere in grado di giudicare l’ascendenza di un dingo dal colore della sua pelliccia, che invece può essere naturalmente color sabbia, nero, bianco, tigrato, marrone chiaro, irregolare o nero sfocato.

Secondo un altro autore dello studio Brad Nesbitt dell’università del New England,  «Bisogna smettere urgentemente di usare il termine ‘”cane selvatico” e tornare a chiamarli dingo. Solo allora potremo avere una discussione pubblica aperta sulla ricerca di un equilibrio tra il controllo dei dingo e la conservazione dei dingo nella savana australiana».

Anche se lo studio ha rilevato che l’ibridazione dingo-cane non è diffusa in Australia, ha anche identificato in tutto il Paese arre dove le tracce di DNA di cane sono più elevate rispetto alla media nazionale. La maggior parte dell’ibridazione dingo-cane si sta verificando nel sud-est dell’Australia, e in particolare nelle aree che utilizzano il controllo letale a lungo termine, come le esche lanciate dagli aerei. I ricercatori spiegano ancora che «Questa forma di controllo letale a livello di territorio comporta la caduta di esche di carne riempite con il pesticida fluoroacetato di sodio (comunemente noto come 1080) nelle foreste, tramite elicottero o aereo».

La Cairns. Fa notare che «Ora che possiamo vedere l’intero Paese, il modello di ibridazione è davvero netto. Le popolazioni di Dingo sono più stabili e intatte nelle aree che usano un controllo meno letale, come l’Australia occidentale e settentrionale. In effetti, il 98% degli animali testati qui sono dingo puri. Ma le aree del Paese che hanno utilizzato il controllo letale a lungo termine, come NSW, Victoria e Queensland meridionale, hanno tassi più elevati di discendenza canina». Qualcosa che potrebbe tornare utile anche per l’ibridazione lupo – cane.

I ricercatori suggeriscono che «Densità umane più elevate (e, a loro volta, popolazioni di cani domestici più elevate) nel sud-est dell’Australia stanno probabilmente svolgendo un ruolo chiave in questa ibridazione».

Ma il ruolo svolto dalle esche aeree, che frattura la struttura del branco di dingo e consente ai cani di integrarsi nei branchi riproduttivi, è qualcosa che può essere affrontato: «Se vogliamo limitare con le esche aeree la popolazione di dingo, dovremmo pensare più attentamente a dove e quando usiamo questo controllo letale – aggiunge la Caims  – Evitare le esche nei parchi nazionali e durante la stagione riproduttiva annuale dei dingo, aiuterà a proteggere la popolazione dalla futura ibridazione».

Mike Letnic, autore senior dello studio e professore di biologia della conservazione dell’UNSW, che da 25 anni studia i dingo e la loro interazione con l’ecosistema, sottolinea che « I dingo svolgono un ruolo importante nel mantenimento della biodiversità e della salute dell’ecosistema. In quanto predatori all’apice, i dingo svolgono un ruolo fondamentale nel plasmare gli ecosistemi tenendo sotto controllo il numero di erbivori e piccoli predatori. Gli effetti dei predatori apicali possono diffondersi attraverso gli ecosistemi e persino estendersi alle piante e al suolo».

Con la sua ricerca precedente Letnic ha dimostrato che «La soppressione delle popolazioni di dingo può portare a una crescita del numero di canguri, che ha ripercussioni sul resto dell’ecosistema. Ad esempio, le popolazioni di canguri elevate  possono portare a un eccessivo pascolamento, che a sua volta danneggia il suolo ,  cambia l’aspetto del territorio e può mettere a repentaglio la conservazione del territorio».

Lo studio “Remote sensing of trophic cascades: multi‐temporal landsat imagery reveals vegetation change driven by the removal of an apex predator”, pubblicato a febbraio su Landscape Ecology da un team di ricercatori delll’UNSW, ha scoperto che gli impatti a lungo termine di questi cambiamenti sono così pronunciati da essere visibili dallo spazio.  Ma nonostante il ruolo prezioso che svolgono nell’ecosistema, a differenza di molte altre specie autoctone, i dingo non vengono tutelati in tutta l’Australia, La Cairns conferma: «I dingo sono una specie minacciata elencata nel Victoria, quindi sono protetti nei parchi nazionali. Non sono protetti nel NSW e in molti altri Stati».

La Cairns, che è anche consulente scientifica dell’Australian Dingo Foundation, è convinta che l’uscita proprio in questo periodo del nuovo studio è importante: «C’è una grande quantità di finanziamenti attualmente destinati alla esche aeree all’interno dei parchi nazionali. Questo finanziamento serve per favorire il recupero dagli incendi, ma le esche aeree per i cani selvatici non prendono di mira animali invasivi o “cani selvatici”: prende di mira i dingo. Dobbiamo discutere se uccidere un animale nativo – che ha dimostrato di avere benefici per l’ecosistema sia il modo migliore per procedere al recupero dell’ecosistema».

È noto che i dingo predano il bestiame, in particolare le pecore e i ricercatori concordano sul fatto che «E’ importante che questi impatti siano ridotti al minimo, ma il modo in cui gestiamo questi problemi merita una consultazione più ampia, inclusa la discussione di metodi non letali per proteggere il bestiame».

La Cairns  conclude: «E’ necessaria una consultazione pubblica su come bilanciare la gestione e la conservazione dei dingo. Il primo passo per avere colloqui chiari e significativi è iniziare a chiamare i dingo per quello che sono. Gli animali sono dingo o prevalentemente dingo, e praticamente non ci sono cani selvatici, quindi non ha senso usare il termine “cane selvatico”. E’ ora di chiamare un due di picche due di picche e dingo un dingo».