Il trend delle emissioni di gas serra può avviare l’estinzione di massa della vita marina

Continuando a riscaldare gli oceani, la biodiversità marina subirà cali mai visti dall'estinzione dei dinosauri

[2 Maggio 2022]

Lo studio “Avoiding ocean mass extinction from climate warming”, pubblicato su Science da Justin Penn e Curtis Deutsch della School of Oceanography dell’università di  Washington – Seattle e del Department of Geosciences della Princeton University,  ha modellato la futura biodiversità marina secondo diversi scenari climatici previsti scoprendo che «Se le emissioni non vengono ridotte, da sole le perdite di specie dovute al riscaldamento e all’esaurimento dell’ossigeno potrebbero rispecchiare l’impatto sostanziale che gli esseri umani hanno già sulla biodiversità marina intorno al 2100. Le acque tropicali subirebbero la maggiore perdita di biodiversità, mentre le specie polari sono al il più alto rischio di estinzione».

Deutsch sottolinea che «Le riduzioni aggressive e rapide delle emissioni di gas serra sono fondamentali per evitare una grande estinzione di massa delle specie oceaniche». Infatti, lo studio rivela anche che «L’inversione delle emissioni di gas serra potrebbe ridurre il rischio di estinzione di oltre il 70%».

Penn evidenzia che «Il lato positivo è che il futuro non è scritto sulla pietra. L’entità dell’estinzione che abbiamo trovato dipende fortemente dalla quantità di anidride carbonica che emetteremo andando avanti. C’è ancora abbastanza tempo per cambiare la traiettoria delle emissioni di CO2 e prevenire l’entità del riscaldamento che causerebbe questa estinzione di massa».

Per prevedere come i cambiamenti nelle condizioni dell’habitat influenzeranno la sopravvivenza degli animali marini in tutto il mondo nei prossimi secoli, Deutsch e Penn, che attualmente sono alla Princeton ma che hanno iniziato questo studio quando erano all’università di Washington, hanno messo insieme i dati fisiologici esistenti sulle specie marine con modelli di cambiamento climatico. Poi hanno confrontato il loro modello con le estinzioni di massa del passato ottenute grazie alle documentazioni fossili. Un lavoro ciclopico che si basa su un loro precedente studio che collegava il modello geografico dell’evento di estinzione più mortale della Terra – l’estinzione della fine del Permiano circa 250 milioni di anni fa – ai suoi fattori sottostanti: il riscaldamento climatico e la perdita di ossigeno dagli oceani.

I due scienziati hanno così scoperto che il loro modello ,che fa riezioni sulla futura biodiversità marina, la documentazione fossile dell’estinzione della fine del Permiano e la distribuzione delle specie che vediamo ora, «Seguono uno schema simile: con l’aumento della temperatura dell’oceano e la diminuzione della disponibilità di ossigeno, l’abbondanza di vita marina precipita».

Alla Princeton University spiegano che «La temperatura dell’acqua e la disponibilità di ossigeno sono due fattori chiave che cambieranno con il riscaldamento del clima dovuto all’attività umana. L’acqua più calda è essa stessa un fattore di rischio per le specie che si sono adattate ai climi più freddi. L’acqua calda contiene anche meno ossigeno dell’acqua più fredda, il che porta a una circolazione oceanica più lenta che riduce l’apporto di ossigeno in profondità. Paradossalmente, i tassi metabolici delle specie aumentano con la temperatura dell’acqua, quindi la domanda di ossigeno aumenta al diminuire dell’offerta».  Penn fa notare che «Una volta che l’approvvigionamento di ossigeno non sarà al di sotto di quel di cui le specie hanno bisogno, ci aspettiamo di vedere perdite sostanziali di specie».

Gli animali marini hanno meccanismi fisiologici che consentono loro di far fronte ai cambiamenti ambientali, ma solo fino a un certo punto. I ricercatori hanno scoperto che «Se si verifica il riscaldamento climatico, le specie polari hanno maggiori probabilità di estinguersi a livello globale, perché non avranno habitat adatti in cui trasferirsi. Le specie marine tropicali probabilmente andranno meglio perché hanno caratteristiche che consentono loro di far fronte alle acque calde e a basso contenuto di ossigeno dei tropici. Poiché le acque a nord e a sud dei tropici si riscaldano, queste specie possono essere in grado di migrare verso habitat di nuova idoneità. L’oceano equatoriale, tuttavia, è già così caldo e povero di ossigeno che un ulteriore aumento della temperatura – e una conseguente diminuzione dell’ossigeno – potrebbe renderlo localmente inabitabile per molte specie».

Deutsch e Penn  hanno detto che «I modello di estinzione previsto dal nostro modello – con una maggiore estinzione globale delle specie ai poli rispetto ai tropici – rispecchia il modello delle estinzioni di massa passate».

Già lo studio “Temperature-dependent hypoxia explains biogeography and severity of end-Permian marine mass extinction”, pubblicato su Science nel dicembre 2018  da Deutsch e Penn e da Jonathan Payne ed Erik Sperling della Priceton, aveva   dimostrato che l’aumento della domanda metabolica di ossigeno dipendente dalla temperatura, insieme alla diminuzione della disponibilità di ossigeno causata dalle eruzioni vulcaniche, può spiegare i modelli geografici della perdita di specie durante l’estinzione della fine del Permiano, che uccise l’81% delle specie marine.

Penn  sottolinea che «Il nuovo studio ha utilizzato un modello simile per dimostrare che, se il riscaldamento diventa abbastanza grande, il riscaldamento antropogenico potrebbe portare all’estinzione dello stesso meccanismo fisiologico su una scala comparabile. Il modello di latitudine nella documentazione fossile rivela le impronte digitali della prevista estinzione guidata dai cambiamenti di temperatura e ossigeno».

Il modello aiuta anche a risolvere un enigma del modello geografico della biodiversità marina: «La biodiversità marina aumenta costantemente dai poli verso i tropici, ma diminuisce all’equatore – ricordano i due scienziati –  Questo “avvallamento” equatoriale è stato a lungo un mistero; i ricercatori non sono sicuri di cosa lo causa e alcuni si sono persino chiesti se sia reale». Il modello di Deutsch e Penn fornisce una spiegazione plausibile per il calo della biodiversità marina equatoriale: «L’apporto di ossigeno è troppo basso in queste acque calde per essere tollerato da alcune specie».

Per Penn, «La grande preoccupazione è che il cambiamento climatico renderà inabitabili vaste aree dell’oceano» e, per quantificare l’importanza relativa del clima nelle cause  dell’estinzione, lui e Deutsch hanno confrontato i futuri rischi di estinzione dovuti al riscaldamento climatico con i dati dell’ International Union for Conservation of Nature (IUCN) sulle attuali minacce a vari animali marini e hanno scoperto che «Il cambiamento climatico colpisce attualmente il 45% delle specie marine a rischio di estinzione, ma è solo il quinto fattore di stress più importante dopo la pesca eccessiva, i trasporti, lo sviluppo urbano e l’inquinamento».

Ma Penn conclude: «Tuttavia, il cambiamento climatico potrebbe presto eclissare in importanza tutti questi fattori di stress Il riscaldamento estremo porterebbe a estinzioni dovute al clima che, verso la fine del secolo, rivaleggiano con tutti gli attuali fattori di stress umani messi insieme».