Il teschio della Festa del Papà getta nuova luce sull’evoluzione umana

Diverse specie dei nostri antenati convivevano e la loro evoluzione era segnata dai cambiamenti climatici

[10 Novembre 2020]

Lo studio “Drimolen cranium DNH 155 documents microevolution in an early hominin species”, pubblicato su Nature Ecology & Evolution  da un team di paleoantropologi guidato dall’università La Trobe di Melbourne e del quale fa parte anche Giovanni Boschian delle università di Pisa e Johannesburg , frende conto della scoperta di un cranio di ominide adulto di due milioni di anni fa: il primo esemplare di Paranthropus robustus conosciuto e meglio conservato mai trovato.

I ricercatori del Dipartimento di archeologia dell’Università La Trobe che hanno guidato lo scavo, la ricostruzione e l’analisi del raro fossile maschile proveniente dalla cava principale di Drimolen a nord di Johannesburg, in Sud Africa sottolineano che il cranio «E’ stato scoperto nel 2018 in occasione della festa del papà sudafricana (20 giugno) e per questo il fossile DNH 155 è anche conosciuto come fossile Father’s Day. Paranthropus robustus era un ominino dai denti larghi e dal cervello piccolo che coesisteva con i nostri primi antenati umani diretti come “specie cugina”».

I ricercatori sostengono che il campione DNH 155 che hanno trovato «Fornisce la prima prova ad alta risoluzione della microevoluzione all’interno di una delle prime specie di ominidi».

All’università di Pisa spiegano che «Prima del ritrovamento del nuovo reperto, si credeva che la specie di Paranthropus fosse caratterizzata da un forte dimorfismo sessuale, con individui maschi che presentavano dimensioni corporee e struttura cranica molto superiori rispetto alle femmine, come oggi in gorilla, oranghi e babbuini. Il nuovo fossile, classificato con la sigla DNH 155, è chiaramente appartenuto a un maschio della specie di Paranthropus, ma è di dimensioni minori dei maschi rinvenuti nel vicino sito di Swartkrans, e a sua volta è più grande di DNH 7 “Eurydice”, un individuo presunto femmina trovato sempre a Drimolen alcuni anni fa. Il ritrovamento di DNH 155, chiaramente contemporaneo di DNH 7 e proveniente dallo stesso sito, fa supporre che il dimorfismo fosse molto meno pronunciato e indica che Paranthropus robustus si sia evoluto rapidamente. Infatti Drimolen è di almeno 200.000 anni più antico di Swartkrans, come è risultato da uno studio del medesimo gruppo di ricercatori, pubblicato su Science all’inizio di quest’anno. Drimolen rappresenta quindi una popolazione più arcaica della medesima specie, mentre Swartkrans ne rappresenterebbe una anatomicamente più derivata».

Andy Herries dell’università La Trobe,  direttore del Drimolen project finanziato dall’Australian Research Council, ha evidenziato che « Il cranio DNH 155 mostra l’inizio di un lignaggio di grande successo che è esistito in Sud Africa per un milione di anni. Come tutte le altre creature sulla Terra, per mantenere il loro successo i nostri antenati si sono adattati e si sono evoluti in base al  territorio e all’ambiente che li circondava. Per la prima volta in Sud Africa, abbiamo la risoluzione della datazione e le prove morfologiche che ci consentono di vedere tali cambiamenti in un’antica stirpe di ominidi attraverso un breve lasso di tempo. Riteniamo che questi cambiamenti siano avvenuti durante un periodo in cui il Sudafrica si stava prosciugando, portando all’estinzione di un certo numero di specie di mammiferi contemporanei. E’ probabile che il cambiamento climatico abbia prodotto fattori di stress ambientali che hanno guidato l’evoluzione nei Paranthropus robustus».

Boschian aggiunge che «La nuova scoperta mette in evidenza un sottile cambiamento avvenuto in tempi relativamente brevi durante il processo evolutivo di una specie. E’ un caso estremamente raro e difficile da osservare nella documentazione fossile, che è notoriamente molto discontinua e incompleta, soprattutto nel caso degli ominini e che rende particolarmente importante questa scoperta. In questo caso possiamo osservare una piccola finestra spazio-temporale nel processo evolutivo, ovvero ciò che avvenne a una specie, in un’area ristretta e in un breve periodo di tempo».

La co-autrice principale dello studio, Angeline Leece di La Trobe, conferma: «E’ importante sapere che Paranthropus robustus è apparso più o meno nello stesso periodo del nostro antenato diretto Homo erectus , il bambino fossile che il team ha scoperto nello stesso sito di Drimolen nel 2015. Queste due specie molto diverse, Homo erectus con i loro cervelli relativamente grandi e piccoli denti, e Paranthropus robustus con i loro denti relativamente grandi e piccoli cervelli, rappresentano esperimenti evolutivi divergenti».

All’Ateneo pisano spiegano ancora:«»Tuttavia lo stress si manifestò attraverso il tempo su Paranthropus, infatti le caratteristiche anatomiche di DNH 155 mostrano che le forme più arcaiche di Drimolen non erano in grado di masticare con una forza pari a quella dei loro successori di Swartkrans. In 200.000 anni si manifestò un processo evolutivo in grado di favorire coloro in grado di nutrirsi di cibo sempre più resistente. Per quanto Paranthropus robustus sembri esser stato le specie dominante nell’area, alla fine però fu Homo a resistere alla pressione selettiva».

Mentre siamo il lignaggio che alla fine vinse,  la documentazione fossile suggerisce però che due milioni di anni fa in quel territorio il Paranthropus robustus era molto più comune dell’Homo erectus.

Secondo Stephanie Baker, co-direttrice del progetto Drimolen, «Questo straordinario studio sulle popolazioni antiche evidenzia l’approccio su una scala fine del team di Drimolen per comprendere i cambiamenti incrementali nei nostri antenati ora estinti. Ora possiamo iniziare a capire quali adattamenti morfologici e comportamentali associati sono arrivati per primi nel Paranthropus robustus man mano che il territorio  diventava sempre più arido. Questo è un passo fondamentale per capire come le diverse specie di esseri umani abbiano gareggiato per le risorse in quel momento critico della nostra evoluzione».

Un alytro autore dello studio, David Strait della Washington University – St. Louis, co-direttore della field school  che porta a lavorare a Drimolen studenti sudafricani e di tutto il mondo, è convinto che «La scoperta ha ampie implicazioni per l’interpretazione della diversità nella documentazione fossile umana. Riteniamo che la paleoantropologia debba essere un po’ più critica sull’interpretazione della variazione dell’anatomia come prova della presenza di più specie. A seconda dell’età dei campioni fossili, le differenze nell’anatomia ossea potrebbero rappresentare cambiamenti all’interno dei lignaggi piuttosto che prove di più specie».