Il ruolo della plasticità delle praterie sottomarine per rispondere ai cambiamenti ambientali

Essenziali per gli ecosistemi ma a rischio: l’ipotesi di “evoluzione assistita”

[24 Marzo 2021]

Aumento delle temperature, inquinamento e crescente urbanizzazione lungo gli ambienti costieri mettono sotto stress anche le piante marine, che svolgono un ruolo essenziale nella produzione di ossigeno e nello stoccaggio del carbonio dall’ambiente. Per questo è molto importante capire quanto le praterie sottomarine siano tolleranti a tutti questi cambiamenti. E una risposta in tal senso arriva dallo studio “Phenotypic plasticity under rapid global changes: the intrinsic force for future seagrasses survival”, pubblicato su Evolutionary Applications da  un team di ricercatori formato da  Jessica Pazzaglia e Gabriele Procaccini  della Stazione Zoologica Anton Dohrn – Istituto Nazionale di Biologia Ecologia e Biotecnologie Marine: Thorsten Reusch, del GEOMAR Helmholtz-Zentrum für Ozeanforschung Kiel; Antonio Terlizzi, dell’università di Trieste; Lázaro Marín‐Guirao, del Centro Oceanografico de Murcia. Uno studi che si concentra sulle fanerogame marine, «Organismi marini – spiegano alla Stazione Zoologica Anton Dohrn  – che colonizzano gli ambienti costieri. Si tratta di piante marine, molto simili alle sorelle terrestri, che nel corso della loro evoluzione sono ritornate a colonizzare i nostri mari, formando densi ed estesi prati sottomarini lungo la fascia costiera. Le fanerogame marine sono considerate “ecosystem engineering”, sostengono ecosistemi diversificati e produttivi e sono particolarmente sensibili ai rapidi cambiamenti ambientali. Le fanerogame stabilizzano i fondali proteggendo la linea di costa, ospitano una enorme biodiversità, producono enormi quantità di ossigeno e sequestrano carbonio dall’ambiente, al pari o al di sopra delle foreste pluviali. Durante la metà del Cretaceo (145-66 milioni di anni fa), tre linee evolutive di monocotiledoni, appartenenti alle Alismatales, hanno fatto ritorno al mare dimostrando straordinarie capacità adattative».

Ma come possono questi straordinari organismi, che comprendono specie millenarie, fronteggiare repentini e continui cambiamenti ambientali?  I ricercatori evidenziano che La possibilità di sopravvivenza di questi organismi e, dunque, della loro funzione a sostegno delle funzioni ecosistemiche, dipende da quanto questi organismi siano in grado di tollerare un certo cambiamento, ovvero da quanto possano essere considerati plastici. Ecco che quindi la plasticità fenotipica, che viene definita come la capacità di un organismo di modificare i propri parametri fisiologici e genetici adattandosi alle nuove condizioni, può essere considerata ad oggi come una proprietà intrinseca degli organismi per sopravvivere ai futuri cambiamenti ambientali».

Nello studio gli scienziati italiani, tedeschi e spagnoli i ricercatori mettono in evidenza come questi concetti siano oggi fondamentali per analizzare la risposta delle piante marine ai rapidi cambiamenti ambientali.

Procaccini e  Pazzaglia sottolineano che «In questo lavoro vengono esplorati diversi approcci volti a valutare l’acclimatazione e l’adattamento locale delle fanerogame marine, spiegando i punti di forza e di debolezza e viene inoltre discusso il ruolo che i cambiamenti genetici ed epigenetici possono svolgere sulla plasticità delle fanerogame marine sottoposte a cambiamenti ambientali».

Vista l’importanza e la necessità di preservare questi ecosistemi costieri fondamentali per il mantenimento degli equilibri della fascia costiera, nello studio vengono descritti e discussi criticamente  i diversi approcci sperimentali che permettono di indagare sulla plasticità fenotipica delle piante marine.

Gli scienziati concludono: «Lintroduzione di nuove tecnologie di miglioramento genetico, per esempio priming o hardening che si fondano sull’applicazione di tecniche e di nuovi approcci sperimentali di evoluzione assistita e di selezione genotipica ci permettono, inoltre, di incidere sulla plasticità delle piante marine in modo da renderle più tolleranti ai futuri stress ambientali e migliorare così i programmi di restauro e conservazione ambientale. La possibilità di selezionare genotipi resistenti e plastici in grado di fronteggiare un ampio range di cambiamenti ambientali, grazie anche con l’introduzione di nuove tecniche di laboratorio, può favorire un’evoluzione assistita, migliorando il successo dei programmi di restauro e conservazione ambientale».